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White Collar 4×13 – Empire CityTEMPO DI LETTURA 3 min

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Prendete Harlem, un po’ sano e puro Jazz, un locale dal sapore retrò con
tanto di ragazze che vendono sigari, aggiungeteci un affascinante ex
truffatore, un brillante agente del Bureau e uno stravagante psuedo tassista e
avrete una meravigliosa puntata filler di White Collar. Questo show molto
spesso mostra un certo gusto per l’eleganza e la classe, non si è mai tenuto
nascosto
l’amore di Neal, June e Mozzie per la bella vita e il lusso, e
certamente non sfugge neanche l’amore per il teatro e la musica, si veda ad
esempio la locandina della tragedia dannunziana “la città morta” nell’appartamento
di Neal o il cane dei Burke che si chiama Satchmo, soprannome del grande Luis Armstrong
e in questa puntata ritroviamo alcuni di questi elementi , il Jazz in
particolare: questa volta abbiamo Moz che procura un caso allettante a Mr Suit
e al Bureau, caso di falsificazione di licenze dei taxi legato in un intricato
modo al Cotton Club, locale in riapertura a cura di due fratelli, di cui uno
invischiato in questi loschi affari di cui sopra si parlava. Insomma, una
normale giornata di lavoro nel settore finanziario del FBI, ma l’ambiente in
cui si svolge l’episodio dava quel tocco in più, e sarà stato questo elemento o
sarà stata la colonna sonora Jazz, ma non è assolutamente pesato il fatto che
la trama orizzontale, vale a dire la chiave di Ellen e la vicenda del senatore
Pratt, si fosse stagnata un pochino, se escludiamo i minuti finali ovviamente.
Generalmente
parlando non amo il senatore Pratt come bad guy, nelle serie passate ci sono
stati antagonisti di Neal di gran lunga migliori, si vedano Vincent Adler e Matthew
Keller, legati al carillon e al tesoro nazista, story line a mio avviso
decisamente più intrigante e che per quanto sia, sono riusciti a portare avanti
per tre stagione consecutive. Questo voler scavare nel passato di Caffrey è un procedimento
intrigante ma spero che risolvano la questione con il senatore in queste ultime
tre puntate chiudendo anche questa parentesi della vita del truffatore;
tornando alla puntata specifica, nonostante sia stata piacevole scorrevole e
ben fatta ci sono un paio di appunti che vorrei fare. 
Qui, e in altre
occasioni, abbiamo riscontrato delle coincidenze molto particolari: sto
parlando del fatto che in qualunque posto si vada c’è sempre un conoscente,
familiare o parente del duo protagonista che è esperto e addentrato nel campo e
fatalità risolverà la situazione. Nel caso specifico fortuna vuole che June e
Byron fossero Jazzisti, Elizabeth conoscesse il locale prima che anni addietro
chiudesse e aprendo il ventaglio casualità vuole che riciclino le licenze in
questo famoso locale: fosse stato una sartoria avremmo per caso scoperto che
Peter cuce meglio di mia nonna? Capisco che è una necessità funzionale alla
trama, ma molto spesso si tende ad essere poco realistici ed è un vero peccato,
e poi sarebbe carino vedere che c’è qualcosa che il Quantico Team (e affini)
non sa fare.
Tralasciando questo, come avevo già accennato ho apprezzato
veramente questa puntata, anche se Neal questa volta è stato un po’ in disparte
e si è dato tanto spazio a June e moltissimo spazio a Mozzie, il che è stata una
cosa apprezzabilissima, e per finire il colpo di scena sulla chiave ha fatto la
sua parte: per nascondere una cosa bisogna metterla in bella vista, e che c’è
più in bella vista a New York se non l’Empire State Building? 

PRO:

  • L’atmosfera Jazz e retrò.
  • Mozzie che continua a ripetere il proverbio che non è un proverbio.
  • Tanto spazio a June.
  • Il colpo di scena finale.
CONTRO:
  • Il poco realismo di certi avvenimenti.
Staremo a vedere come procederà questa storia, scopriremo il perché
della scelta di questo edificio e sicuramente non mancheranno colpi di scena. White
Collar si avvicina al finale di stagione, e dopo quattro anni la serie ha
ancora molte frecce all’arco e nonostante il mio non grande amore per il
cattivo di turno, la serie non ha mai perso smalto e colpi, anzi i personaggi
sembrano maturare sempre di più. 

VOTO EMMY

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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.

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