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Sense8 1×12 – I Can’t Leave HerTEMPO DI LETTURA 7 min

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Sapete la differenza tra Sense8 e Facebook? In un caso persone sconosciute comunicano tra loro in angoli sperduti del globo, potendo anche vedersi. Si raggiungono in qualsiasi momento e se chiamate ad interagire rispondono. Ognuno ha la sua storia e qualsiasi sentimento e pensiero è visibile e condivisibile con gli altri. Il tutto con la paura costante di qualche organizzazione potente che possa tenere tutti sotto controllo. L’altra è una serie Netflix.
Ora a parte questa cosa poco seria, c’è da dire che il finale è spiazzante. Non è spiazzante per un normale utente delle sale cinematografiche, non sarebbe spiazzante per qualcuno che non ha mai visto una serie TV prima d’ora, non sarebbe neanche spiazzante per qualcuno che con una macchina del tempo fosse arrivato dal 2005 circa. È spiazzante per noi maniaci della serialità televisiva, noi che svisceriamo ogni minimo particolare, che siamo capaci di discutere per ore su dettagli scientifici di qualche tipo per testare la coerenza o l’incoerenza di una soluzione narrativa.
Siamo stati fregati, noi che quando vediamo i primi 10 minuti di un pilot capiamo (o crediamo di capire) subito lo stile della narrazione, lo stile della regia e del montaggio, gli sviluppi di trama per cui spesso arriviamo ad ipotizzare anche il finale. Ormai siamo stati talmente assorbiti dalla narrazione televisiva, captandone ogni sfumatura tecnica, che abbiamo perso totalmente il senso di empatia con i personaggi. Per questo motivo ci piace sempre di più osservare le vicende di anti-eroi, figure criminali, personaggi ambigui a destra e a manca. Siamo inconsapevoli protagonisti di una nuova corrente “verista” dove tutto deve essere reale e verosimile, quando non è così il distacco deve essere radicale, il mondo rappresentato non deve avere niente a che vedere con il nostro (coff coff Game Of Thrones coff coff): allora lì siamo disposti ad accettare tutto.
Per tutta questa serie di ragioni il vostro recensore non è mai stato particolarmente generoso con le recensioni di Sense8 che gli sono toccate, ma è stato anche colui che si è divorato l’intera stagione (nel momento in cui questa recensione viene stilata, online vi sono solo le prime 6) in pochi giorni.
Sense8 non ci ha dato punti di riferimento. Lo dimostra il fatto che la scena di azione che coincideva con la conclusione di quasi tutti gli episodi arrivava dopo un intero e fitto insieme di dialoghi, momenti intimi e di contemplazione, sogni e ricordi. Tutto era nella norma, la nostra esperienza seriale aveva già assorbito il modus operandi, ma nell’episodio 10 succede qualcosa, qualcosa che inizia a far pizzicare il nostro senso di Breaking Bad e ci fa risalire sullo stomaco tutte le sei stagioni di The Sopranos che ci siamo recuperati l’estate. Irrompe il trash, e lo fa senza mezze misure. Lo fa in una serie Netflix che tanto elegantemente, quest’anno, ha presentato una serie fumettistica, o che cerca ogni anno di creare epico interesse nelle vicende della Casa Bianca, il tutto sempre con equilibrio e toni pacati. Il lanciarazzi di Wolf rompe un muro dimensionale e riversa le aspettative di Sense8 in due zone finora separate da compartimenti stagni: il reparto dell’intrattenimento con il reparto dell’alta qualità e dell’originalità televisiva. La trama innovativa proposta dai Wachowski, il sapore multietnico che ha regnato per tutta la stagione lascia lo spazio a scazzottate, ad improbabili uno contro tutti (ok per l’aiuto di Kala dentro la cucina, ma la sparatoria precedente richiede il coma farmacologico dell’incredulità), a battutine ammazza-tensione da film d’azione di serie Z (Lito che dice a Will di aver fatto sesso qui), trans tormentati che improvvisamente diventano hacker visti e stravisti, fino ad arrivare ad un finale che poi tanto finale non è. Almeno non come noi ormai siamo abituati. Vediamo perché.
Cominciamo con il dire che alla coerenza narrativa (che comunque nella sua dimensione macroscopica è presente) si è preferito dare spazio al sentimento lancinante scagliato contro lo spettatore. Ma lo si doveva già capire: quando si cantava “What’s Going On?” alla fine dell’omonimo episodio, era chiaro che la deriva semi-musical dovesse servire ad una momentanea catarsi per lo spettatore con potenziamento dell’affetto verso i personaggi. E così, allo stesso modo, un personaggio ben costruito come Riley ci regala la sua vera storia, anticipata però solo un paio di episodi prima, mai veramente accennata nei precedenti 9. Per dire, il cerchio gira meglio intorno a Wolf, sul cui background si gira parecchio sin dal primo episodio. Il primo caso però vede una soluzione molto più profonda e toccante rispetto alla seconda, sul cui livello di trashume si è già parlato. Allo stesso modo il finale non conclude la vicenda di Whispers (meno male, visto che non è mai stata equamente distribuita nell’arco dei 12 episodi, bensì affrontata veramente solo nell’ultima parte di stagione) né lancia il classico cliffhanger.
Guardandoci indietro, dal pilot sino ad ora, non possiamo che renderci conto di aver appena assistito ad un enorme capitolo introduttivo, perfettamente congegnato per presentare tutti i protagonisti, le loro vite e la loro “nuova” razza. In vista di un secondo, possibilissimo, capitolo, e ricordando che i fratelli Wacho e Stracchino hanno ideato Sense8 come una serie di 5 stagioni, non si può non constatare di come l’incontro non fortuito tra Mr. Whispers e Will Groski abbia una valenza enorme in vista della 2° stagione. Innanzitutto diventa finalmente chiaro che basta un solo e semplice sguardo tra due sensates per entrare in collegamento per sempre, ed il fatto che il big bad sia riuscito a venire in contatto con Will, come dice lo stesso Jonas, condanna a morte tutto il suo “cluster” (un cerchio che si chiuderebbe con l’inizio del primo episodio, quindi). A questo punto le dinamiche e gli equilibri della prossima stagione cambieranno in maniera drastica e si dovrà per forza escogitare un metodo intelligente per ovviare allo scontro diretto con Whispers o tramite il coma farmacologico perenne di Will oppure tramite il suicidio del personaggio, esattamente in maniera identica a quello della sua madre, Angelica. Ad ogni modo un escamotage definitivo o un avvincente sviluppo andrà trovato.
Così si torna al discorso di inizio recensione: noi non siamo abituati granché a finali che non sono né cane né pesce. In certi casi possono capitare conclusioni anticlimatiche dove però le storie sospese sono talmente evidenti che si può, o si deve, considerare il tutto come cliffhanger. Qui, addirittura, lo spettatore si pone la domanda sul fatto stesso di doversi porre o meno delle domande. Eppure tutto questo funziona. Come? Con l’immagine degli 8 sensates insieme nella barca che si allontana nelle acque islandesi. E per chi ha apprezzato tutta la stagione senza capire perché, non spiegandosi la scorrevolezza di scelte narrative che in altri casi avrebbe disprezzato, la risposta è semplice e va ricondotta all’inquadratura finale, così come a questa scena: Sense8 ha dato vita a personaggi a cui, prima di apprezzarne evoluzione, profondità e caratterizzazione, lo spettatore vuole bene.

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Intensità della straziante storia di Riley
  • Collaborazione tra sensates, più corale che mai
  • Scenografie e musiche
  • L’incontro fisico tra Will e Riley
  • Avanzamento di trama che tutto sommato non ha subito grandi scossoni
  • Risoluzione e definizione dell’identità di Wolf
  • Momenti trash
  • Sulla verosimiglianza del parto dopo l’incidente ci sarebbe da indagare
  • Da ricondurre al trash: i personaggi si trasformano improvvisamente in figure stereotipate della serialità televisiva (la scienziata, l’hacker, la lottatrice, il “piacione”…), ma forse questa è una scelta metatelevisiva geniale che ora come ora non riusciamo a capire

 

A metà anni 2000 vi erano Heroes, Lost e Skins (per citarne alcuni) che facevano della diversità dei tanti protagonisti e della loro interazione il fulcro della storia. Dopo altri tipi di rivoluzioni televisive ci ritroviamo a guardare stupiti e assorti un’altra serie con caratteristiche simili che ci piace e non capiamo bene perché (un po’ come la musica dei Coldplay).
La mancata perfezione del season finale fa parte di queste vecchie-nuove caratteristiche che speriamo tornino a stupirci con la prossima stagione. O, meglio ancora, con le prossime stagioni.

 

Just Turn The Wheels And The Future Changes 1×11 ND milioni – ND rating
I Can’t Leave Her 1×12 ND milioni – ND rating

 

 

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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.

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