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R.I.P. (Recenserie In Peace) – Batman (1966-1968)TEMPO DI LETTURA 8 min

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Ci sono tanti modi per approcciarsi al discorso riguardante questo storico serial comics, tante luci e interpretazioni con cui lo si potrebbe illuminare al fine di delinearne l’identità e il retaggio che ha lasciato e continua a lasciare dopo quarantasette anni dalla sua conclusione. Poco ma sicuro, la maniera più difficile di tutti, è decisamente quella che segue la politica d’azione scelta da RecenSerie per le sue recensione: un’analisi redatta seguendo una linea di scrittura obiettiva. Forse molti di voi non ci vedono niente di strano nel parlare di una serie tv in maniera obiettiva, e avreste anche ragione a non vederci nulla di così bizzarro; ma quando si parla del celebre Batman di Adam West e Burt Ward, il discorso non deve essere affrontato di petto ma con i guanti e la dovuta calma, perché il serial tv anni ’60 dell’Uomo Pipistrello possiede il doppio titolo di uno dei migliori e peggiori serial comics della storia. E capite anche voi che, se si sceglie di parlarne in maniera obiettiva, bisogna analizzare la suddetta serie da entrambi gli aspetti. Ma andiamo con calma: prima, un po’ di dati tecnici.
Trasmessa dalla ABC e prodotta dalla 20th Century Fox Television, Batman andò in onda sulle reti Americane dal 1966 fino al 1968, per 3 stagioni e un totale complessivo di 120 episodi, dalla durata di 25 minuti l’uno. Il serial DC Comics del Crociato Incappucciato faceva parte di quella che potremmo definire la prima vera ondata di serial comics, dove i network televisivi correvano (come oggi) alla conquista dei diritti manco fossero dei cowboy in cerca dell’oro, per adattare sul piccolo schermo le avventure di quei colorati personaggi dei fumetti che tanto facevano parlare di sé; il Batman con Adam West, nella parte di Bruce Wayne/Batman, e Burt Ward nella parte di Dick Grayson/Robin, fu il terzo esponente di questa prima ondata, seguendo a ruota The Lone Ranger (1949-1957) e Adventures Of Superman (1953-1958).
A differenza di molte altre serie tv e di molti altri serial comics, Batman non aveva una trama precisa e non aveva un filo conduttore che accompagnava lo spettatore fino alla fine della stagione, ma solo un preciso background (nonché incipit della serie) da cui costruire, ad ogni nuovo episodio, una trama diversa pur mantenendo una schematizzazione molto rigida. Possiamo quindi dire che Batman ’66, come viene alternativamente chiamato per non confondersi con altre opere dallo stesso nome (tipo il film di Tim Burton del 1989) è uno dei primi esemplari di telefilm di stampo procedurale, ma un procedurale non tanto alla Person Of Interest, quanto alla Power Ranger. L’unica differenza è che, se gli eroi in technicolor della Saban affrontavano ogni puntata un nuovo nemico (esclusa qualche sparuta occasione), il Dinamico Duo protagonista di Batman ’66 veniva chiamato ad ogni episodio dal Commissario Gordon e affrontava una ristretta cerchia di villains più o meno ricorrenti come il Joker, l’Enigmista, il Pinguino e Catwoman; certo, c’erano altri nemici, ma questi sopra elencati erano i “big four” e quelli comparsi come antagonisti in più episodi. Ma tornando alla domanda madre di questo R.I.P.: questa serie a cosa deve il doppio titolo di migliore e peggiore adattamento televisivo di un media fumettistico?
È la migliore perché nulla è stato toccato, nulla è stato revisionato e rivisto, nulla è stato piegato (in elementi del mythos Batmaniano e personaggi) alle esigenze dello show: com’erano i fumetti di Batman durante tutta la durata degli anni ’60, così sono stati trasposti dalla carta alla televisione, collezionando il raro record di fedeltà al 100% tra opera originale e sua trasposizione; un vero e proprio copia-incolla dalla carta alla tv e questo, tra le altre cose, la dice lunga sul metodo di creazione delle storie di quella psichedelica decade. Ad una prima e poca attenta visione potrebbe sembrare che le atmosfere colorite, le conversazioni dense di sense of wonder, la morale da cartone animato che si traeva alla fine di ogni puntata, le ricorrenti esclamazioni assurde di Robin ed i cameo della finestra, le trame semplicistiche e gli espedienti narrativi prettamente naif possano essere frutto di troppo LSD da parte degli autori della serie tv, ma in verità quest’ultimi si sono solo attenuti fedelmente al testo con un’attenzione così maniacale ai dettagli che addirittura nelle azzuffate tra i nostri eroi e il nemico di turno, saltavano fuori sullo schermo pure le onomatopee del pugni e dei calci: proprio come nei fumetti. Se questa versione kitsch di Batman ha quasi rovinato il personaggio stesso, non è la ABC da incolpare, quanto la DC Comics stessa, che si è deliberatamente allontanata dalla versione originale del personaggio del fine anni ’30 (molto vicina alle celebri reinterpretazioni di Frank Miller e Christopher Nolan più di quanto si possa pensare) per renderla meno violenta, meno dark, più edulcorata e scanzonata, e quindi più accessibile al grande pubblico; quello visto in Batman ’66, è solo il prodotto degli strascichi delle storie anni ’40/’50, arrivato al suo apice di campismo nei fabulous 60’s.
Allo stesso tempo però è anche la peggiore perché nulla è stato toccato, nulla è stato revisionato e rivisto, nulla è stato piegato (in elementi del mythos Batmaniano e personaggi) alle esigenze dello show: com’erano i fumetti di Batman durante tutta la durata degli anni ’60, così sono stati trasposti dalla carta alla televisione, collezionando il raro record di fedeltà al 100% tra opera originale e sua trasposizione; e nel caso ve lo stiate chiedendo: si, abbiamo copiato e incollato la stessa frase di cui sopra. Perché mai avremmo dovuto farlo? Perché, purtroppo, è stata anche questa eccessiva fedeltà a regalare allo show alcuni dei momenti più imbarazzanti della serie. Come enuncia il terzo principio della dinamica: “Ad ogni azione corrisponde una reazione pari e contraria”, e forse complice l’inesperienza con le trasposizioni televisive, la crew coinvolta dietro Batman ’66 (magari proprio per la mancanza di esempi analoghi) non ha pensato che la decisione di riprodurre certe scelte stilistiche prettamente fumettistiche e di mantenere inalterati alcuni espedienti narrativi tipici delle pagine patinate non avrebbe funzionato alla stessa maniera in un altro format come quello del telefilm. Per fare un esempio moderno: visuali in prima persona utilizzatissime in videogame tipo Call Of Duty, in un videogioco sono accolte di buon grado, poiché aumenta il livello di coinvolgimento del giocatore e quest’ultimo è portato a sentirsi come parte del videogioco stesso; d’altro canto, utilizzare queste visuali in un film (come fecero pellicole come Strange Days e Una Donna Nel Lago) potrebbero nauseare facilmente lo spettatore in quanto il percorso del protagonista è impostato dal regista e filmato da una barcollante e inconstante ripresa alla Cloverfield, oltre che a non seguire la volontà di quest’ultimo.
Insomma, non si è cercato di prendere coscienza riguardo al fatto che i due media che la produzione stava trattando fossero diversi e governati da due insiemi di leggi narrative diverse, e non due media equivalenti rappresentati solo utilizzando metodi praticamente opposti per raccontare una storia; dando per scontato che uno vale l’altro, ogni cosa è stata prese per buona e seguita alla lettera come un libretto di istruzioni, trasformando situazioni plausibili (in un media come il fumetto) in ridicole e imbarazzanti (per un media come il telefilm): come Robin che deve la sua vita all’igiene dentale e grotteschi gadget dalle funzioni improbabili. La conseguenza di questa estrema fedeltà al fumetto ha purtroppo contribuito all’immagine che molte persone si faranno dei comics, convincendosi che quest’ultimi siano di infantile e ingenua (se non ignorante) fattura, creando a cascata una sempre più frequente svalutazione che solo in questi ultimi anni sta riuscendo a riscattarsi da tale nomea. Ma, ovviamente, chi ne risentì di più fu Batman stesso, poiché si rafforzò una visione e una caratterizzazione del personaggio e del suo universo assolutamente opposta a quella originale e a quella che dovrebbe essere realmente; caratterizzazione da cui anche quest’ultimo ha impiegato una vita per sdoganarsi: vederlo sconfiggere squali con Bat-repellenti per pescecani e risolvere il leggendario Bat-dilemma sul come liberarsi di una bomba sembrano quasi una barzelletta in confronto ad altre sue memorabili imprese: come quando prese a calci in culo il Superman galoppino di Regan ne Il Ritorno Del Cavaliere Oscuro con una ferocia e una tenacia senza pari.
È la migliore perché dimostrò, in un epoca di povertà di mezzi cinematografici, quanto i fumetti fossero un media di trasudante qualità e fantasia e che tanto potevano regalare al cinema. Ma fu anche la peggiore, perché non si ebbe la prontezza di bonificare lì dove andava bonificato e (in tutta la sua bontà d’intenti) finì per giocare un brutto tiro agli stessi serial comics di cui faceva parte, ritardandone di anni il decollo.
Nel bene e nel male, questo show rappresenta la storia di un genere nato da un media sempre sulla cresta dell’onda con i suoi alti e bassi certo, e come tutte le cose del resto, ma sempre capace di tirare fuori dal suo infinito cilindro dozzine di idee e proposte creative e originali. Nel bene e nel male, sdoganò la figura di Batman da semplice personaggio di successo, a fenomeno di culto di livello internazionale a cui oggi si dedicano ancora film, fumetti, telefilm, giocattoli e quant’altro. Personalmente la si può amare o odiare, ma obiettivamente, la si può solo rispettare per il contributo che ha dato e ancora oggi dà come precedente storico, rappresentando, per chiunque voglia intraprendere una trasposizione televisiva di un fumetto, sia un consiglio su cosa fare bene che un ammonimento su cosa non fare.
Sarà forse esagerato dirlo, ma Batman ’66 è il libro di testo di cui si necessitava all’epoca per sapere come comportarsi con questo genere. Volenti o nolenti, dell’esistenza di questa serie, ne avevamo bisogno.

 

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