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American Horror Story: Hotel 5×05 – Room ServiceTEMPO DI LETTURA 5 min

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Quando si è affezionati ad un prodotto che ha fatto innamorare per la sua capacità di intrattenere, di osare, servendosi di una storia accattivante sostenuta da un’estetica particolare e da un cast d’eccezione, gli sceneggiatori sanno che, regalando allo show questo tipo di qualità, alzano l’asticella delle aspettative. Se queste non verranno soddisfatte, non basterà qualche scelta ad hoc per evitare le delusioni e l’errore più grande è ignorare questo malcontento senza fermarsi a riflettere se davvero le critiche siano infondate o meno.
Tutta questa premessa è necessaria perché American Horror Story è una serie innovativa nel suo essere spregiudicata ma pop, eppure da un paio di stagioni inciampa su se stessa, offrendo un percorso altalenante composto da momenti narrativi gestiti in modo esemplare e altri troppo superficiali.
Hotel ha una marcia in più rispetto alle deludenti Coven e Freak Show ma arrivati alla quinta puntata, lo spettatore non ha ancora ben chiaro dove si voglia andare a parare e le informazioni sulla trama orizzontale sono sempre troppo poche, poiché si preferisce lasciare spazio a diverse scene costruite per impressionare, piuttosto che approfondire la storia.
“Room Service”, continuazione dell’episodio di Halloween, si divide in momenti distinti che rispecchiano esattamente i pregi e difetti della serie.
La sequenza dedicata alla strage nella scuola da parte dei bambini neo-vampiri soddisfa la voglia di splatter da parte del pubblico ma non aggiunge nulla di concreto al racconto: nessun personaggio principale è coinvolto, non ci sono nuove informazioni sul virus del vampirismo e, anzi, si aggiungono domande che non trovano risposte. La scena funziona ma è inserita al solo scopo di scioccare chi guarda.
Al contrario, ha senso all’interno della narrazione il ruolo di Alex: una madre che ha perso suo figlio, che lo ritrova in condizioni così particolari ma, cosciente della sofferenza provata durante l’assenza del piccolo, compie una scelta disturbata pur di poter stare nuovamente accanto a lui.
La paura del vaccino è un argomento di grande attualità: la scelta di portare sullo schermo questa tematica, esplorando conseguenze così estreme, è una scelta rischiosa e al tempo stesso coraggiosa che Murphy si gioca bene ma non ci si deve dimenticare che nella storia ci vuole unità narrativa e coinvolgimento di tutto il parco personaggi, per evitare una dispersione che, a lungo andare, inciderà sulla qualità dello show e sulla famosa asticella di cui si parlava ad inizio recensione.
Quando la critica sociale si inserisce nella narrazione, American Horror Story torna a distinguersi positivamente: emblematica è la seconda parte di episodio, dedicata ad Iris e Liz Taylor, lasciando spazio al grande talento di Kathy Bates e Denis O’Hare.
Iris, in stato di trasformazione, si rende conto di essere sempre stata la serva maltrattata di qualcuno: questa volta, però, non accetta passivamente il destino ingrato ma, anche grazie all’incoraggiamento da parte di Liz, si ribella e reagisce: la violenza della scena in cui è coinvolta  non è fine a se stessa come nel caso dei baby vampiri, ma è coerente, con la volontà di rivalsa del personaggio, rafforzandone l’intenzione. Kathy Bates è più che mai credibile in questi panni, con lo stesso sguardo della protagonista di “Misery non deve morire“.
Il punto più alto dell’episodio si tocca nell’approfondimento sul passato di Liz Taylor, grazie alla chimica evidente tra lei e il personaggio di Lady Gaga. Liz, all’anagrafe Nick, è un uomo frustrato e costretto ad una vita infelice; l’incontro al Cortez con la Contessa lo spinge ad evolversi, lasciarsi alle spalle un’identità che non lo rispecchia per fare spazio al suo vero io. La delicatezza, sofferenza e ironia, con il conseguente senso di liberazione che traspare da tutta la scena, sono i motivi che hanno reso American Horror Story un fenomeno di culto: la capacità di emozionare all’interno di un genere così particolare, che non trova nei sentimenti il motore principale, è un punto di forza che quando ben usato pone la serie un gradino sopra tutto il resto. Denis O’Hare è semplicemente straordinario e riesce a dare vita ad un personaggio commovente e tragico con un solo sguardo, che sia truccato o meno.
Lady Gaga sta dimostrando di riuscire a stare al passo di grandi interpreti e il merito sta anche nel renderla sinceramente partecipe di momenti che le interessano al di la della finzione scenica: i suoi fan non potranno che riconoscere, nell’approccio tra la Contessa e Liz, la donna di “Born This Way“, manifesto dell’orgoglio di essere se stessi, senza paura di mostrarsi per ciò che si è.
“Room Service” rappresenta pienamente quello che funziona o no all’interno della serie: è un buon episodio che però alterna momenti godibili ad altri poco concreti. Non aggiunge molto alla trama orizzontale che si sta scoprendo troppo lentamente: i personaggi sono interessanti, così come la storia stessa dell’hotel, il misterioso killer dei comandamenti e il virus vampiresco. Il rischio più grande è che non ci sia intreccio e continuità, che la carne al fuoco sia, al solito, troppa. Restiamo in attesa fiduciosi e vediamo che succede.

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • La storia di Liz Taylor con un bravissimo Denis O’Hare
  • Finalmente si sfrutta meglio un’attrice del calibro di Kathy Bates
  • Lady Gaga continua a convincere e stupire
  • Splatter gratuito e fine a se stesso
  • Trama orizzontale che fatica a scoprirsi
  • Nuove domande ancora senza risposta

 

Arrivati quasi a metà stagione, la serie non ha ancora trovato una dimensione, si dimena tra la voglia di stupire e quella di raccontare, risultando buona a tratti ma lontana dalla perfezione. Si attendono episodi dove si scopriranno le carte in tavola unendo l’intrattenimento puro e splatter a quello più emotivo e intenso.

 

Devil’s Night 5×04 3.04 milioni – 1.6 rating
Room Service 5×05 2.86 milioni – 1.5 rating

 

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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.

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