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The Leftovers 2×09 – Ten ThirteenTEMPO DI LETTURA 7 min

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Dopo essersi spinto in un luogo-non luogo, tra la vita e la morte, dopo aver vagato nell’illusione, aver naufragato nelle paure più profonde dell’Uomo e aver combattuto con i propri demoni, The Leftovers ci stupisce ancora una volta con “Ten Thirteen”. Questa serie ci ha abituati a non abituarci a nulla, ci ha resi avvezzi a salite impetuose e discese ardite e ci ha spinto ad accettare l’inspiegabile e a chiamarlo reale. Lindelof ha messo in scena abiti bianchi, sigarette accese, il dolore assurdo, l’imprevedibilità del male: il 14 ottobre è arrivato senza senso; e dopo questa data nulla sarà più lo stesso. The Leftovers ha assorbito mitologia, religione, filosofia e le ha digerite, fatte sue, mostrandosi serie dai mille volti, ricca di sfaccettature e di livelli di lettura.
Dopo “Lens” e “A Most Powerful Adversary” lo show ha smosso il tessuto diegetico/narrativo con un episodio estraniante e spiazzante, “International Assassin“, che cambia rotta, modifica ideologie e coscienze e ci dà qualche risposta in più, sciogliendo nodi, facendo crollare quel pozzo (diegetico) che in queste due stagioni ci eravamo faticosamente costruiti intorno. Se prima avevamo pensato che magia/religione fosse solo figlia di una mente vacillante (“Lens” e “A Most Powerful Adversary”), lasciati lì a terra, privi di vita, accanto a Kevin, poi alla stessa maniera iniziamo a credere che qualcosa di mistico debba pur esistere in questo misero mondo (“International Assassin”), in un purgatorio a metà tra inferno e paradiso, rinati da una “fonte battesimale”. Con “Ten Thirteen” Lindelof ci prende in giro, abbandonandoci in un altro limbo, quello del prima (il 13 ottobre), quello in cui si muove una delirante, folle e crudele Meg, la cui battuta simbolo del suo stato è “volevo metterti incinta”.
Quello di Meg è l’ultimo filo rimasto fuori da quella matassa, intricatissima e difficile da sbrogliare che è The Leftovers, è ciò che mancava per rispondere ad alcuni quesiti, per andare oltre agli ostacoli e arrivare ad un finale di stagione che sicuramente non deluderà gli spettatori. Ogni personaggio ha avuto in queste nove puntate il suo momento per svelare gli arcani che Lindelof ha posto in essere, al centro di questo episodio c’è Meg, protagonista, strumento narrativo e mezzo attraverso il quale capiamo il passato, analizziamo il presente e temiamo ancor di più per il futuro.
“Ten Thirteen” racconta la genesi del male di Meg, l’origine del suo dolore: quel 13 ottobre è il giorno in cui sua madre è morta, è il giorno prima del Giorno, quello dopo il quale il 2% della popolazione non ci sarà più. La rabbia di Meg, finalmente, è comprensibile, dà senso a quei gesti indecifrabili e senza ragione, il suo desiderio di violenza – che dà pace e ristoro agli animi infelici e feriti – è decifrabile non solo nella sua anima fragile già di per sé (vediamo Meg sniffare in bagno), ma anche nel suo corpo, nei suoi gesti, crudeli e sadici (dopo aver messo la bomba nello scuolabus, soddisfatta di sé, fa tremare le nostre vene sogghignando).
La morte è un argomento ormai narrativizzato, digerito nell’arte, che si sa raccontare, ma in The Leftovers la morte (e non la sparizione) non è contemplata. Il lutto è individuale, non universale, è una sospensione della propria vita per un attimo (non a caso Meg esce dal bagno e tutto diventa ovattato), mentre il 14 ottobre è una questione globale e tutto il resto viene messo tra parentesi.
L’incontro con il santone, grazie al quale riviviamo e comprendiamo quel pranzo in cui la madre di Meg è morta, ci fa capire cosa avesse voluto dire per la donna non aver potuto “vivere” il proprio lutto, dovendo soffrire per il male di tutti. Intorno al ruolo di Meg prende forma il concetto di colpa e di peccato: sente il peso di non esserci stata (per desiderio bramoso di farsi) nel momento in cui sua madre è morta, ma vede, anche e soprattutto, il peccato degli altri che non hanno “partecipato” al suo dolore, chiedendole invece di partecipare a quello “totale”. È proprio Miracle il luogo da lei prescelto per mettere in atto i suoi piani, luogo dove il “morbus” non è arrivato, si vive in una coazione a ripetere quotidiana.
Le poche parole con il santone spiegano così il rancore di Meg, il suo livore, quel grumo di odio e voglia di vendetta verso coloro che sono rimasti, convinti che ci sia un posto sicuro nel mondo (Jarden/Miracle). È una Rimasta due volte, una sopravvissuta al suo dolore – alla meno peggio – e a quello del mondo, ma in fondo lei è una debole, non è un caso che sia diventata un’adepta estremista dei Guilty Remnant: mette bombe finte per spaventare, rapisce per colpire e mente spudoratamente per non far capire le sue vere intenzioni.
Meg deve appoggiarsi ad una religione estremista, che non è religione, per non soccombere, per andare avanti; ed ancora una volta vediamo quanto Lindelof anche grazie a storie poco realistiche sia in grado di narrare l’oggi, ancor di più in questi giorni, bastardi e miserabili.
Pensavamo che i Colpevoli Rimasti fossero i peggiori individui sulla faccia della terra, invece è Meg, lo dice chiaramente: a lei non basta fumare una sigaretta e perseguitare la gente, come a tutti gli altri, lei vuole ficcargliela nell’occhio quella sigaretta. Così prende forma una vendetta disperata e miscredente (nell’uomo e forse anche in Dio), che si servirà di Tommy, bisognoso di una famiglia e di un abbraccio. Il giovane è in balìa della donna che lo ha “violentato” – così l’avevano ideato – e che ora lo sta seducendo con il suo delirio d’onnipotenza, anticristo dalle belle forme e dalla mente perversa.
Rimanendo nei riferimenti biblici Meg è come il Serpente, infarcito di tutti i mali del mondo, che striscia sinuosamente e eroticamente – pensiamo alla scena all’interno del locale country in cui Meg e Tommy si baciano, ballano e si appoggiano l’uno all’altro – e “sibila” con la sua voce bassa e roca – la vediamo parlare con Tommy, ma anche nel dialogo con Matt Jamison in cui bene e male si scontrano fragorosamente. Il Serpente dai mille volti è crudele e picchia dura con chi deve colpire, è seducente con il ragazzo – grazie al quale tutti raggiungono Miracle, la madre, la stessa Meg -, ma incredibilmente gioioso e sereno quando incontra Matt, in attesa (inconsapevole) di lei, il suo nemico. Lì, sul ponte, a metà, ancora una volta, tra inferno e paradiso, tra dentro e fuori, tra salvazione (?) e l’ineluttabile assenza di “miracle”, si rappresenta l’eterna partita a scacchi con la morte. Su quel ponte si incontrano e si scontrano tutte le paure, gli sforzi, i dolori, i disagi e le storie; Meg e Matt, l’uno di fronte e contro l’altro, portano la loro credenza (nel nulla e in Dio) e attendono l’epica battaglia finale. Meg è pronta a dimostrare che Miracle è una contraddizione in termini, nessuno è al sicuro e quindi non esistono miracoli, Matt d’altra parte è pronto a scusarsi, a chiedere perdono per gli errori passati, lui crede di essere “living reminder”, non sapendo che per la sua antagonista tutta l’umanità è tale, tutti sono una testimonianza  vivente della mancanza, del lutto, del “peccato originale”.
Lindelof dimostra nuovamente la sua intelligenza e la sua sagacia, stupisce il pubblico; tutto ciò che abbiamo visto e che lui ha costruito dalla prima puntata è un gioco al massacro per i nervi, per il fiato: non c’è nessuna Dipartita, nessuna Sparizione, Evie e le sue amiche non sono scomparse, ma fanno parte del gruppo di Meg.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Meg, protagonista di puntata
  • La morte della madre di Meg e i suoi flashback
  • L’incontro con i colpevoli rimasti
  • Il dialogo con Matt
  • Tommy e Meg che ballano nel locale country
  • La scoperta che Evie e le sue amiche non sono scomparse
  • La musica, fondamentale contrappunto nei momenti più importanti
  • Nulla

 

“Ten Thirteen” con la sua protagonista – incredibilmente perfetta nel suo ruolo di “fuori di testa” – conquista ancora una volta il pubblico, dimostrandosi una sorta di divina commedia moderna in cui si vaga tra anime prave, dannati in vita, miserabili ingobbiti dai loro drammi quotidiani, in balia tra bene e male. La puntata costruisce un mondo in bilico tra dramma e rabbia, disperazione e (falsa) serenità. Nonostante questo nuovo episodio sia diverso per ritmo e per costruzione rispetto ai precedenti, Lindelof non delude, donandoci “Ten Thirteen”, una puntata con tutti i crismi che ci fa sentire già un po’ persi e totalmente soli pensando che il prossimo sarà il finale di una stagione sorprendente e miracolosa.

 

International Assassin 2×08 0.69 milioni – 0.3 rating
Ten Thirteen 2×09 0.86 milioni – 0.4 rating

 

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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.

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