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Baskets 1×10 – Family PortraitTEMPO DI LETTURA 4 min

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Termina con questo decimo episodio la prima stagione di Baskets, esperimento che può dirsi riuscito, seppur da ascrivere a quella categoria di telefilm non adatta ad un pubblico generalista e pertanto da subito condannato ad attirare a sé un bacino spettatoriale relativamente contenuto. Un aspetto, quello appena citato, non sempre da considerarsi negativo: la non dipendenza rispetto a un vasto pubblico, di conseguenza variegato in termini di aspettative, ha permesso ai suoi ideatori di mantenere un maggiore grado di libertà per quanto concerne lo sviluppo del prodotto, portando come risultato un dramedy atipico che in più di un’occasione sembra strizzare l’occhio (da lontano, col binocolo) al gioiellino del geniale stand-up comedian Louie CK (Louie, appunto).
L’elemento che ci porta ad azzardare un simile paragone – oltre naturalmente al nome di CK tra gli ideatori della serie – è la natura intima che lo show ha mostrato fin dalla messa in onda dell’episodio pilota, una natura che si colloca ben al di fuori degli steccati concettuali in cui la comedy classica appare racchiusa. Nel caso di Louie questo superamento di una logica per così dire classica si è configurato come tappa finale di un processo di trasformazione durato anni, in Baskets, invece, si parla di una decina di episodi per un totale di cinque ore di girato. Anche per questo un confronto alla pari tra le due serie non è possibile. Ciò che però rende i due prodotti affini è il tentativo di costruire qualcosa che trascenda la semplice comedy, ponendosi come obiettivo un genere di spettacolo diverso, nella direzione di una serialità d’autore, incentrata maggiormente sulla componente drama, relegando a puro “arricchimento” la grottesca verve comica di Galifianakis e colleghi.

 

“Chips, don’t be sad okay? You’re not that kind of ‘cloon’.”

 

In più di un’occasione, specialmente in fase di avvio, abbiamo lamentato una certa latitanza del tema clownerie, almeno in apparenza, motore narrativo del telefilm. Una critica che, mossa dopo una manciata di puntate e senza la benché minima idea della direzione intrapresa dallo show, appare sacrosanta, ma che perde valore una volta messi di fronte al quadro complessivo. Per un’intera stagione abbiamo pensato di seguire la vita di Chip Baskets, quando in realtà siamo stati messi di fronte a Renoir, figura malinconica della quale è difficile ridere se non in sporadici momenti, il più delle volte accompagnati da dolore fisico e ingenti danni materiali.
Questa idea romantica relativa alla figura del pagliaccio – trucco bianco, espressione malinconica e lacrima sotto l’occhio – non è altro che un’immagine simbolica, un’immagine-specchio se vogliamo, della condizione in cui Chip riversa abitualmente: un’intera esistenza orientata nella direzione del fallimento, aggrappato alla speranza racchiusa dentro ogni piccola conquista personale, caldo abbraccio metaforico da conservare avidamente in vista di un lungo inverno fatto di insuccessi e delusioni.

 

“Eddie, I’m a clown. I need this place. What am I going to do?”
“Oh, hell. You’ll be a clown whether this place is here or not”

 

La consapevolezza riguardante l’infima posizione occupata all’interno della piramide sociale e il suo continuo desiderio di realizzarsi per mostrare agli altri il proprio valore, sono le due caratteristiche che portano il pubblico a tifare per Chip nonostante il suo comportamento a tratti meschino e immotivato nei confronti di personaggi come Martha. Con la notizia della liaison tra lei e Dale, finalmente abbiamo accesso al reale attaccamento emotivo di Chip nei confronti della sua amica, a conferma del fatto che, nonostante il suo modo di fare disinteressato, il suo comportamento sia mosso da una sconfinata frustrazione relativa all’infinita sequela di fallimenti collezionati nel corso della sua vita.
Questa notizia, insieme al definitivo addio di Penelope, la necessità di accettare un lavoro poco gratificante e, più in generale, la consapevolezza di dover finalmente entrare nell’età adulta, porteranno Chip alla “grande fuga” con cui la serie conclude il suo viaggio stagionale. Un viaggio che ha inizio dallo stesso luogo dove la vita di suo padre ebbe fine: una scelta avventata e coraggiosa, un salto verso la libertà, in totale opposizione ad un salto nel vuoto, quello del padre appunto, facile via d’uscita che poco si addice ad un personaggio come Chips, di cui tutto si può dire, salvo che manchi di coraggio e determinazione.

 

 THUMBS UP THUMBS DOWN
  • La fugace liaison tra Dale e Martha
  • Reckon I’ll ride out west, hold me up a train, get my ass all shot up, die in a creek somewhere
  • La fuga di Chips in treno, in opposizione all’easy way out presa dal padre di Chips, iniziata da quello stesso ponte
  • Ritmi più blandi rispetto a “Picnic”

 

Baskets termina la sua prima cavalcata stagionale con un’ottima puntata, a cui stavolta decidiamo di non assegnare la nostra somma benedizione solo perché arrivata dopo un episodio magistrale come “Picnic“, e ci saluta con la promessa di tornare per una seconda stagione dopo il rinnovo ottenuto a cinque episodi dal suo debutto. Arrivato al culmine di un percorso audace e tortuoso, nel corso del quale Chip ha acquisito tutta una serie di amare consapevolezze in campo sentimentale, familiare e professionale, Baskets conferma l’ottima capacità – non solo di CK – di gestire una narrazione fatta di ansie, ossessioni, desideri e aspirazioni, miscelando il tutto a una comicità anti-convenzionale in grado di far riflettere oltre che sorridere.

 

Picnic 1×09 0.5 milioni – 0.2 rating
Family Portrait 1×10 0.5 milioni – 0.2 rating

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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