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Game Of Thrones 6×01 – The Red WomanTEMPO DI LETTURA 8 min

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Quando a Gennaio di quest’anno George R.R. Martin ha annunciato sul suo blog che non solo “Winds Of Winter” non sarebbe uscito prima della messa in onda della sesta stagione, ma che non esiste neanche una data approssimativa per il sesto libro della saga, l’eventualità che lo show dell’HBO superasse le pagine letterarie, ormai più che preventivata da alcuni e fino all’ultimo osteggiata dagli altri, si è tramutata immediatamente in realtà. Una pessima gestione editoriale senza precedenti che non ha toccato minimamente, però, le aspettative della serie più seguita e chiacchierata al mondo, anzi, se possibile le ha solo aumentate. La serie ha infatti già avuto un rinnovo, gli appunti di Martin riguardo il prossimo libro e la trama futura sono da tempo stati intascati, e solo nell’ottica del legame tra libro e trasposizione niente sarà più come prima, semplicemente perché il primo non esiste.
Insieme a questo cruciale nonché storico cambiamento, muta di conseguenza il lavoro degli sceneggiatori, costituendo a sua volta un’importante premessa al nostro consueto lavoro critico verso il loro operato. Destino, il loro, in qualche modo simile a quello degli autori televisivi di The Walking Dead, sia per la sovraesposizione mediatica sia per il complicato e persistente confronto col materiale originale da cui però più volte hanno preso le distanze. Ma, come detto, questo paragone ora non dovrebbe sussistere più, e a noi tocca dover valutare solo quello che si vede, ancor più di prima, anzi specialmente adesso. Benioff & Weiss si sono dimostrati nel corso delle stagioni abili, se non notevoli, adattatori e poche volte hanno potuto esprimere la propria creatività autoriale, con risultati perlopiù contrastanti. Il discorso di Thorne, per esempio, a giustificare la “congiura” dei Guardiani coinvolti contro il proprio Comandante, ha uno stile oltremodo poco “martiniano” e perciò poco letterario; piuttosto, si nota in pieno la mano fortemente “televisiva” dei due scrittori nell’eccessiva linearità del monologo.
Un’altra premessa (di ben più complicata soluzione) è quella data dall’accennata risonanza mediatica dello show. Da una parte, per quanto autori e dirigenti ne siano più che felici, c’è da far fronte all’attesa, spasmodica, dei fan, i quali hanno contribuito sì a far arrivare al volgo alla massa una produzione così coraggiosa e qualitativamente alta, ma al tempo stesso hanno portato la serie ad uno status così esagerato che diventa altrettanto difficile assecondare i palati di tutti. Dall’altra parte, e proprio per questo, è complicato far tacere la sensazione, sempre più forte, che la serie possa piegarsi alle cosiddette leggi del mercato, nonché alle sue esigenze commerciali. Se questa condotta non è mai appartenuta fino ad ora al duo Benioff & Weiss, contraddistinti fin dall’inizio da una smisurata passione per il mondo di Martin, si può purtroppo intravedere un primo campanello d’allarme nella gestione dell’incontro tra Daenerys e i Dothraki, con questi ultimi lontani parenti degli spietati Signori dei Cavalli della 1° stagione, protagonisti ora di siparietti comici e dalla caratterizzazione stereotipata; o, ancora, il ridotto minutaggio di Arya, la quale in altre occasioni sarebbe apparsa sicuramente nel secondo episodio e non in uno spazio così fugace e poco incisivo (per quanto preparatorio e non di certo inutile per il futuro).
“The Red Woman” diventa allora il “festival delle premesse” quando anche l’ultima si affaccia inesorabilmente. Ci si riferisce a quella più interna alla serie e che vede i primi episodi, storicamente, lenti e verbosi, in cui si fa il punto della situazione, saltando qua e là per tutta Westeros. Anzi, fino ad ora il riepilogo ha coinvolto sempre la prima coppia di puntate, ma considerando quanto si è ridotto il conto dei personaggi, e conseguenti punti di vista, questi cinquanta minuti riescono a racchiudere tutti in una sola volta. L’unico escluso è Bran, grande assente della scorsa stagione, e per il quale evidentemente si sta preparando un ritorno col botto, giocando ora con l’attesa dello spettatore, ora coi tempi scenici che richiedono al momento di preferire storyline di più recente riscontro.
Nelle sue “premesse” interne, quindi, questa season première di Game Of Thrones appare perlopiù coerente col modus operandi della serie e con la trama generale, riprendendo ogni personaggio esattamente lì dove lo si era lasciato, senza alcun salto temporale, ciascuno segnato da una morte, ora come non mai.
Mother’s Mercy“, finale della scorsa stagione, è stata una strage, rispecchiando perfettamente quel misto tra fama ed effettiva messa in scena che caratterizza la serie (ci si riferisce ovviamente a gif e meme che impazzano per i social network, raffiguranti la “crudeltà” di Martin & Co. verso i propri personaggi).
A Nord accadono le cose migliori e più interessanti, esattamente in netta continuità al recente passato, seppur avvolto da una certa aurea di prevedibilità. Dal corpo di Jon lasciato inerme e isolato (e senza una pira funeraria che ne sancirebbe l’effettiva morte), al piano di Davos di chiamare i Bruti, aiutato involontariamente dalla deroga di Thorne al giorno successivo, tutto è molto telefonato; esattamente come risulta prevedibile l’arrivo di Brienne a salvare Sansa e Theon essendo lì nei paraggi. Scelte scontate che contrastano, però, con l’impatto emotivo della messa in scena, che in quest’ultimo caso coincide col completamento della missione (finalmente!) della donna, e soprattutto col mantenimento delle promesse fatte a Catelyn e Jaime.
Così come la prevedibilità del coinvolgimento della “Red Woman” nella resurrezione di Jon, se davvero avverrà (altrimenti inspiegabile averla richiamata al Castello Nero da parte degli autori), contrasta col colpo di scena finale sulla natura “anagrafica” di Melisandre, decisamente inaspettato e sconvolgente alla visione, aprendo a chissà quali scenari futuri (compresa un’espansione del settore GILF all’interno dei vari YouPorn, YouJizz e PornHub).
Difficile, invece, estrapolare qualcosa di rilevante dalle restanti storyline. La trama di King’s Landing, infatti, oltre a peccare dei soliti difetti di gestione temporale (se per gli altri tutto sembra accadere in stretta continuità, il viaggio di Jaime, appena iniziato nello scorso finale, è ora al termine) e spaziale (da dove saltano fuori le Vipere nella nave se erano sul molo nello scorso “Mother’s Mercy“?) non aggiunge nulla di nuovo alla psicologia dei fratelli/amanti Lannister, sempre vendicativi e sempre uniti contro tutti. Lo scambio di battute tra i due serve allora solo a mettere in risalto il tema delle “profezie”, abbondanti nei libri tanto quanto sono state latitanti nella serie, adesso pian piano portate ad un certo spessore dalla narrazione (malgrado il “Fuck prophecies” di Jaime). Oltre che per capire meglio la psiche di Cersei, infatti, tali premonizioni riguardano anche il futuro di Daenerys, con l’accenno alle ultime parole di Mirri Maz Duur sulla sua infertilità, la quale terminerà “quando il sole sorgerà ad occidente e tramonterà ad oriente”, segnale che anche nella serie potranno avere una loro rilevanza.
Una certa continuità è riscontrabile anche nella storyline di Dorne, in un’accezione però decisamente diversa: scempio totale è stato nella scorsa stagione (Laurenti a parte) e non-sense convinto e indolente vuole continuare ad essere. Tutta la lunga sequenza che vede le Serpi delle Sabbie, madre e figlie, attuare il proprio colpo di stato è davvero poco verosimile se non incoerente dato l’immobilismo delle guardie. Uccidono, come fa notare Trystane, il loro stesso sangue, compiendo un sacrilegio condannato da qualsiasi livello culturale della società di Westeros; e lo fanno non perché costrette, non con almeno un plausibile rimpianto, ma perché vogliono “vendetta” e perché sono “senza scrupoli”, dando per scontato che rimarranno anche impunite. Insomma, tutto sembra far propendere per una regressione degli autori riguardo le idee iniziali: “cosa è funzionato a Dorne l’anno scorso? Le Serpi, e nient’altro; liberiamoci dei personaggi scomodi e andiamo avanti”. Per conoscere meglio i compianti Doran Martell e Areo Hotah, quindi, consigliamo di leggere i romanzi.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • GOT is back! 
  • Fuck prophecies. Fuck fate” 
  • It’s a sad fucking statement if Dolorous Edd is our only chance” 
  • Melisandre: da Milf a Gilf 
  • Il salvataggio di Sansa e Theon e lo scontro di Brienne e Pod 
  • Per quanto breve, Arya the Blind 
  • La strage di Dorne, perlomeno, ci libera da una storyline poco riuscita 
  • Rimandato il giudizio per Tyrion e Varys, c’è potenziale, senza dubbio
  • Ancora niente Bran 
  • Troppo poca Arya 
  • La prevedibilità di certe scelte di trama 
  • I Dothraki “comici” 
  • Dorne 

 

E anche quest’anno habemus spezzatinum: Benioff & Weiss aprono la stagione che, per forza di cose, promette di essere la più differente e singolare, scegliendo quasi ironicamente la strada della tradizione. In una visione pessimista, le troppe incognite che accompagnano quest’inizio di stagione dovrebbero far temere un abbassamento della qualità, derivante perlopiù da una quinta complessivamente sotto le righe. Eppure le “premesse” e le potenzialità continuano a persistere, propendendo per l’ottimismo, considerando quanto dimostrato in passato dalla serie, e allo stesso tempo incuriositi dall’eccezionalità dietro la sua produzione. Infondo, bella o brutta, “kill or bless”, sia che Jon Snow risorga o meno, sia che Emilia Clarke decida di non spogliarsi più, sia che gli hipster scelgano di amarla o di criticarla, Game Of Thrones terrà sempre incollati allo schermo: noi lo sappiamo, loro lo sanno, speriamo almeno non ne approfittino troppo.

 

Mother’s Mercy 5×10 8.11 milioni – 4.1 rating
The Red Woman 6×01 7.94 milioni – 4.0 rating

 

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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.

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