);

Narcos 2×03 – Our Man In MadridTEMPO DI LETTURA 6 min

/
()

Un hombre, un barrio, un pais.

Il volto del Narcos per antonomasia troneggia su un murales per celebrarlo. Un uomo, un quartiere, un paese: Pablo Escobar è questo e molto di più, è el Patron, un dio (“Pablo Escobar said, “Sometimes I’m God. If I say a man dies, he dies the same day.“). L’immagine che ne viene fuori dal disegno è quella paciosa e sorridente, amicale e tranquilla che mette da parte la figura dell’uomo in grado di far saltare palazzi, aerei, di costruire un impero, mortifero e tragico, ma pur sempre un impero. Orgoglioso delle sue origini, desideroso di riscatto, conosce la povertà e proprio per questo viene tanto amato dalla sua gente e con sforzi sanguinosi e sanguinari riesce ad annegare nella ricchezza, almeno fino ad ora. E’ tanto idolatrato dal popolo quanto è mal sopportato dai potenti e dalle istituzioni, è tanto odiato dai nemici quanto amato dalla famiglia. Da questa dicotomia trae forza ancora una volta il mito di Pablo Escobar; qui però l’uomo che vediamo è pieno di dubbi e incertezza, la paura a poco a poco inizia ad insinuarsi in lui.
La sensazione al terzo episodio, “Our Man In Madrid”, è che questo Narcos sia diverso rispetto al primo capitolo della storia. Se la prima stagione parlava dell’ascesa di Escobar che si esemplifica nel “plata o plomo”, la seconda mette in scena la decadenza di Pablo, un uomo la cui vita sta percorrendo una parabola discendente. Dalla fuga del protagonista inizia la sua lenta ma inesorabile decomposizione. Nonostante sia ancora crudele, desideroso di vendetta, nonostante gli occhi di brace che ardono nello sguardo del meraviglioso Wagner Moura, ammorbidito nel corpo ma non nell’anima, si percepisce che qualcosa sta cambiando.
Fin dall’inizio di questa stagione notiamo la differenza: Pablo è perso in un bosco con una manciata di uomini, solo e “depotenziato”, ed è evidente che il primo “depotenziamento” è quel famoso “plata o plomo” che aveva almeno linguisticamente sancito la supremazia del Patron e che ora perde di valore.
“Our Man In Madrid” racconta il ritorno di Carrillo – personaggio che dovrebbe far parte dei buoni, ma che in realtà è spietato e criminale -, la guerra aperta in cui si scontrano il narcotrafficante e la DEA, quelli del cartello di Calì e quelli della CIA.
Tutti hanno un solo obiettivo, uccidere il Robin Hood: Judy Moncada, Carrillo, Peña e Murphy hanno un piano preciso, unirsi contro l’ingordo Re Mida. I politici vogliono che la Colombia diventi un posto migliore – pensiamo alla forza ritrovata di Gaviria -, gli americani annientare politicamente e moralmente Escobar, Moncada vendicare il fratello e il marito mettendo le mani sul loro assassino; i narcotrafficanti spartirsi l’impero economico. Gli agenti della DEA, Murphy e Peña, diversi ma profondamente umani, pieni di fragilità, puntano a catturare il nemico: se il primo è iroso, in ginocchio per la partenza della moglie, il secondo cede ai compromessi pur di arrivare a Pablo, ma entrambi sono sconcertati di fronte alla mancanza di scrupoli del Colonnello Carrillo (lo sguardo dei due di fronte alla sua efferatezza è emblematico).
In “Our Man In Madrid” c’è ancora però l’arrogante Patron, sicuro della sua supremazia. Nulla si muove senza che Pablo lo voglia, nulla si compie senza che Escobar lo desideri. Lo dice a viso duro arrabbiato, addirittura offeso, come Zeus quando si accorge che lo stanno tradendo, lo ribadisce guardando in volto gli uomini di Judy Moncada: i soldi con cui la donna li pagava erano suoi, la casa in cui lavoravano era sua, quindi loro lavorano per lui.

There seems to be a misunderstanding. 
You gentlemen are under the impression that you work for the Moncadas. 
Allow me to clarify. You have never worked for the Moncadas. You work for me, and you have always worked for me.

Se nella prima stagione la narrazione si muove intorno alla Colombia, gonfia di polvere bianca e morte e noi sprofondiamo nel mondo marcio e putrido di una terra funerea e tossica, qui vediamo brandelli di un criminale che nonostante tutto è stato un grande uomo e un gruppo di uomini che gioca al gatto col topo.
Quella raccontata da Narcos resta una terra senza santi né eroi; basta pensare al terribile Carrillo che uccide bambini, fa consegnare loro proiettili in segno d’avvertimento, getta ipotetiche talpe da elicotteri per vendicarsi del loro silenzio. L’uomo in divisa è spietato e tenta disperatamente di colpire l’acerrimo nemico che anche in questo caso sembra avere la meglio. Quando Pablo parla con il bambino che ha assistito alla morte dell’amico vediamo un padre che protegge un figlio, nonostante in realtà voglia notizie sull’uccisione, quando usa l’intervista per gettare una luce sinistra e oscena su Carrillo il risultato non è fastidio per lui ma ribrezzo per il Colonnello. Il gioco risulta ancora più riuscito grazie al fatto che, mentre il bambino racconta ciò che ha vissuto, vengono mostrati lo scempio morale e l’empietà sull’elicottero (l’assassinio dei due prigionieri); così la voce fuori campo è sostenuta dalle immagini: Carrillo è un demonio. Mentre il Colonnello dovrebbe essere il bene si dimostra rappresentante dell’ “osceno” e i ragazzi che dovrebbero rappresentare il male hanno un loro codice morale pur nell’illegalità.
In “Our Man In Madrid” c’è quindi un dialogo serrato, anche se a distanza, tra l’uomo della legge che tenta di stringere il cappio intorno al collo del narcotrafficante e Escobar che fugge (dalla polizia) e rincorre (Judy Moncada). Se il primo urina proprio su quel murales simbolo di un mito – come per dire non sei Dio proprio di nulla, sei putrido e maleodorante come tutti gli altri in questo sporco paese -, il secondo dimostra quanto privo di ogni tipo di codice morale sia Carrillo.
Mentre quel bambino parla guardandoci dritti in faccia, gli spettatori non possono essere dalla parte della legge, ma dalla parte del “narcotraffico”; la serie infatti è ancora costruita in modo tale da farci essere sostenitori di Pablo. Se la legge è bieca e brutale, Escobar è un mostro ma è anche marito – tenero con la moglie spaventata all’idea di perderlo -, padre – gioca con i figli sul prato -, figlio amorevole, dotato di una schizofrenica spinta emotiva. Tale duplicità sembra a volte collidere eppure, proprio grazie a questa rappresentazione, il pubblico tifa per lui e spera utopisticamente che non venga mai preso.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Pablo Escobar
  • La brutalità di Carrillo e l’umanità degli agenti della DEA
  • Il lavoro di accerchiamento da parte dei nemici di Escobar
  • Il sangue che sgorga dalla Colombia
  • L’intervista da parte di Valeria al bambino che ha assistito alla morte dell’amico
  • Mancano un po’ i fasti del vecchio Pablo

 

Narcos ancora una volta non delude le aspettative, costruendo queste dieci puntate con una nuova prospettiva in cui i serpenti e i gatti non si mangiano tra loro ma tentano di acciuffare il topo. Attraverso una scrittura perfetta e un ritmo incalzante Narcos coinvolge lo spettatore conducendolo alla fine della parabola di Pablo.

 

Cambalache 2×02 ND milioni – ND rating
Our Man In Madrid 2×03 ND milioni – ND rating

 

Quanto ti è piaciuta la puntata?

Nessun voto per ora

Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.

Rispondi

Precedente

Suits 6×08 – Borrowed Time

Prossima

Narcos 2×04 – The Good, The Bad, And The Dead

error: Nice try :) Abbiamo disabilitato il tasto destro e la copiatura per proteggere il frutto del nostro duro lavoro.