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Black Mirror 3×02 – PlaytestTEMPO DI LETTURA 5 min

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Black Mirror, dice ogni sito di informazione tipo Wikipedia, è una serie tv incentrata sull’incedere e il progredire delle nuove tecnologie, oltre che sull’assuefazione ad essa con conseguenti effetti collaterali. Analizzando questo breve specchietto di trama con una visione da cartone animato, sembrerebbe che il “villain ricorrente” della serie espatriata su Netflix sia la tecnologia. Vero? Falso. O meglio, quasi falso.
Ovviamente non si può dire con assoluta certezza, ma è probabile che il creatore del serial Charlie Brooker si sia posto l’interrogativo di dissipare ogni dubbio riguardo ogni possibile classificazione schematica tipica di ogni narrazione. Ogni storia deve avere il buono, il cattivo, il brutto e altre figure che creino una colonna narrativa che tenga in piedi la storia, poiché una storia è mossa principalmente dal dibattito/interazione che avviene tra i suoi personaggi. Black Mirror non ha queste figure tutte d’un pezzo, solo bianche e solo nere, ma zone di grigio specializzate in una cosa che dà vita alla serie: fare errori. I protagonisti, di loro spontanea volontà o meno, commettono degli sbagli che catapultano loro in una spirale di sfighe e disperazione. La tecnologia è quindi vista come il “mostro”, ad un primo disattento sguardo, ma in realtà è un semplice mostro di Frankenstein che si ribella contro il suo creatore: l’uomo, a sua volta, ancora più mostro di lui. Per far passare meglio questo messaggio, in “Playtest”, Charlie Brooker usa come base uno degli argomenti più fraintesi di sempre: i videogiochi.
Infinite sono le critiche e le proteste mosse da associazioni come il MOIGE riguardo il potere diseducativo di questo media, tant’è che, tra le numerose iniziative di questo movimento, ci sono anche intere petizioni mirate alla chiusura di certi titoli e al divieto della loro commercializzazione. Motivo: oltre al potere sopracitato, ci va anche la dipendenza dei giocatori, sopratutto quelli giovanissimi. Ora, la domanda che sorge spontanea è la seguente: è davvero tutta colpa dei videogiochi? I videogames non sono nient’altro che oggetti e, per quanto gradito portale di intrattenimento potenzialmente infinito, è comunque una cosa che non ha un pensiero. L’unica forma di intelligenza che possiede è quella del gameplay. Più di quanto si creda, i videogiochi viaggiano su un binario parallelo all’idea che John Lennon diede di Dio nella sua discussa canzone “God“.
God is a concept, “Dio è un concetto”, diceva. Questo perché Dio è semplicemente il manifesto di un pensiero con il quale si può essere d’accordo o meno; ma nel momento in cui si è d’accordo e si prende per vero quello che dice, allora Dio e tutta la sua filosofia diventano veri, acquistando forma ed esercitando potere ed influenza. Di conseguenza, se ci si butta a capofitto nelle infinite potenzialità di gioco di un videogame, allora quell’oggetto avrà potere sul giocatore e, come un parassita, si alimenterà della soddisfazione che prova nel giocarci e acquisterà una personalità. Queste particolarità caratteriali fittizie del videogioco, secondo molte persone, sono già insite nel videogioco dalla sua produzione, quasi come se fosse una sorta di peste nera che contagia tutti coloro che lo toccano. Invece non è così, perché come diceva V: “se cercate il colpevole… non c’è che da guardarsi allo specchio“. Il media in questione non ha colpe e, se si “comporta male”, è perché si è fatto il più classico degli errori di calcolo, ovvero inserire i dati sbagliati; in quel caso non è colpa dei numeri, ma è colpa di chi la risolve, perché ha copiato male i dati. I videogiochi portano le persone, sopratutto i giovanissimi, a comportamenti fanatici e sconsiderati? Allora forse è il caso di smetterla di “inserire i dati sbagliati”, cioè di parcheggiarli davanti alla console tenendoli così occupati perché non si ha tempo di occuparsi di loro, invece che far conoscere loro il calore di una famiglia.
Non è un caso, infatti, se tutti i disagi di Cooper (protagonista di “Playtest”) nascono proprio da lui e tutte le cose che finiscono per traumatizzarlo e seviziarlo psicologicamente, nascono dai suoi ricordi, rimorsi e paure. Se il videogame iper-interattivo e realistico incute paura, è perché è lo stesso gioco che attinge dalle sue debolezze e le rivolta contro di lui per tutti i motivi spiegati fino a queste righe. L’unica colpa che ha il gioco è di essere efficiente nel suo mestiere; quella degli esseri umani, invece, di essere deboli e perseveranti nell’errore. Ovviamente la puntata è strutturata (a livello tematico) tutta nella cinica, sadica, cruenta e crudele visione ormai familiare al pubblico di Black Mirror e tutte le disamine che si possono trarre sono votate ad un estremo pessimismo nei confronti dell’argomento; questo perché, prima di ogni altra cosa, il messaggio che deve arrivare allo spettatore del serial britannico deve essere potente e incisivo e niente rimane fisso nella memoria come un forte e scioccante trauma.
Tutto ciò sarebbe stato decisamente meno incisivo se lo stesso Brooker non si fosse fatto una bella ricerca sui videogiochi. Tante sono le ispirazioni che fanno brodo con gli obiettivi di Black Mirror, ma, tra quelli che ci piace ricordare, citiamo “Metal Gear Solid 2: Sons Of Liberty”. Chiaramente può anche non essere una diretta citazione ma, nella sequenza finale in cui Cooper continua a risvegliarsi finendo irrimediabilmente nel falso risveglio, chi ha giocato al secondo capitolo della acclamata saga di Hideo Kojima ricorderà sicuramente la porzione di storia in cui il gioco metteva in difficoltà il giocatore con falsi game over o con messaggi radio a dir poco terrificanti. In aggiunta, la stessa idea della casa produttrice di videogame super-riservata, riguardo allo sviluppo del proprio prodotto imminente a tema horror, ricorda tutta la diatriba avuta tra lo stesso Kojima e la sua storica azienda di appartenenza, la Konami, con cui dopo la conclusione di Metal Gear Solid avrebbe dovuto produrre un altro capitolo di “Silent Hill” in coppia con Guillermo del Toro. Essendo Black Mirror una serie principalmente d’attualità, è difficile che queste siano semplicemente delle coincidenze.

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Idea debole ma messa in scena grandiosa
  • Called ‘Mom’
  • Durata della prova: 0,4 secondi
  • Piccoli sfottò tra pronunce dell’Inglese Americano e dell’Inglese Britannico
  • Citazioni sulla e della scena videoludica
  • Meglio la messa in scena dell’idea

 

God Technology is a concept by which we measure our pain.

 

Nosedive 3×01 ND milioni – ND rating
Playtest 3×02 ND milioni – ND rating

 

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