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The OA 1×03 – ChampionTEMPO DI LETTURA 5 min

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His story has an end. This is just beginning.

Bisogna dirlo subito per onestà intellettuale: The OA è una serie non per tutti, complicata, complessa, stratificata, intrisa e farcita di citazioni, rimandi, echi, eppure, o forse proprio per questo, è estremamente coinvolgente e affascinante. È diversa da tutto ciò che c’è stato fino ad oggi (la critica non sa come definirla: un capolavoro o un bizzarro rompicapo), non è fatta per coloro che vogliono sapere tutto e subito, per coloro che amano le trame semplici, le storie banali e senza strappi, anzi qui è proprio lo strappo ad essere al centro di tutto. Lo strappo che ha vissuto Prairie quando è scomparsa, quello che sta vivendo ora che è ritornata a casa, quello che vivono i suoi nuovi amici e che viviamo anche noi mentre sentiamo la storia della sua prigionia (“The first time you fall asleep in prison. You forget. You wake up a free woman and then you remember that you’re not. You lose your freedom many times before you finally believe it.”).
“Champion” si costruisce proprio così, alternando i dolori vissuti dalla cieca Prairie alla consapevolezza della Prairie di oggi che impartisce “lezioni” di filosofia e fantascienza, cosmogonia e spiritualità, a metà tra una Biancaneve e un Ulisse. Lo show continua a saltellare tra diversi piani temporali (la ragazza attorno ad un metaforico falò rende reale la sua storia proprio perché la racconta e sempre lei rinchiusa nella sua cella, immersa nelle tenebre più paurose) e diversi luoghi (il ritrovo suo e dei suoi alleati e la sua prigione).
Fin dalle prime immagini del primo episodio, The OA si dimostra una serie che non fa sconti, che schiaffeggia lo spettatore e i suoi stessi protagonisti, sbattuti tra ieri e oggi, buio e luce, cecità e pura visione. I tre episodi ci accompagnano per mano in un genere, ci fanno credere di appartenere ad esso e poi ci sbattono violentemente in qualcos’altro. The OA infatti strizza l’occhio alla fantascienza, al thriller, all’horror quasi, al romanzo di formazione addirittura, senza far calare mai la tensione, anzi, fagocitando ogni influenza e metabolizzandola.
La serie firmata Brit Marling e Zal Batmanglij (regista di “The East” in cui Marling è co-sceneggiatrice e attrice protagonista) è un castello maestoso, ricchissimo, pieno di arredi meravigliosi e stanze luminose. È una montagna russa ad altissima velocità e su di essa si trattiene il fiato e si tengono gli occhi chiusi per timore. Come veniamo spaventati da ciò che accade, dalle urla dei prigionieri, dai loro lamenti, così veniamo abbagliati dalla luce del sole, mossi dall’euforica paura della libertà, terrorizzati dal vuoto sotto i nostri piedi.
Lo scopo di “Champions” è quello di mostrarci ancor di più, aggiungendo qualche tessera di un mosaico molto più grande, e gettarci nella prigione di Prairie, un quadrato trasparente al cui interno c’è il minimo per sopravvivere. La giovane donna, ingenua e bellissima, sospesa tra passato e presente, al limite del mondo, è diversa dai soliti ruoli a cui siamo abituati, rompendo i cliché: sa quale è la sua situazione ma sa anche che lei sola può essere salvezza per gli altri. Non ha solo capacità pratiche, nonostante la sua cecità, ma proprio per questa è in grado di “collegarsi” con gli altri, di far toccare e vedere la sua vera storia (fulcro della serie stessa) oltrepassando i confini temporali e fisici.
Ha stretto rapporti particolari nella prigione con Homer, oggi con Steve, ragazzo complicato e ribelle, interessante il dialogo con lui in cui parlano della famiglia:

Steve: Families suck.
Prairie: “Not all of them, though. Not the ones you build out of strange pieces and they work. They don’t look they should, but they do.

Ed è come se con queste parole Prairie avesse eletto a sua famiglia adottiva quella con Steve come aveva già fatto, e noi lo sappiamo, con Homer. Nei sotterranei avevano costruito una famiglia “della speranza” e per essa aveva fatto di tutto, utilizzando il suo ruolo privilegiato, da “governante”, e diventa così, paradossalmente, occhi, mani, protesi ectopiche dei corpi dei “fratelli”. È lei l’eroina coraggiosa che tenta di annientare il “cattivo”, il carnefice spaventoso e banale, diventando madre dei suoi compagni di disavventura, morti viventi, animali primitivi con un fardello tragico sulle spalle. La ragazza vede al di là di ogni impedimento fisico, tocca con le mani le cose per cercare un anello perduto (quello di Homer) nella vasca in cui giace un corpo senza vita (August, la persona di cui parla Rachel), tenta di addormentare il suo aguzzino, lo spinge dalle scale e tutto questo con una tempra da eroina tragica (ma con dolore ammette: “It’s really hard to kill a man. It’s even hard to allow a man to die.”). Prairie è protagonista delle fiabe ma lo è anche del dramma umano, è candida e tenera con i suoi “adepti” ma è anche tenace e forte quando serve (con il suo carceriere), è luce in mezzo a moderni buoni selvaggi, ridotti così da un crudele “nessuno”, ma anche anomalia disperata quando pensa di aver fallito.
In “Champion” il ritmo e lo stile non cambiano rispetto ai primi due episodi e gli autori giocano con lo spettatore portandolo nell’angoscia più terribile, spaventandolo, mettendolo sullo stesso piano di Prairie, ricordandoci alcune scene dei film di Hitchcock – la mano della ragazza che trema ci riporta alla memoria quella della protagonista di “Notorious” mentre tenta di rubare un’importante chiave, l’inquadratura della zuppa di Prairie ha la stessa importanza di quella della tazza avvelenata sempre di “Notorious”. Il momento in cui lei seda l’aguzzino, l’attimo in cui il gruppo sembra perdere l’ultima possibilità di salvezza (la busta che fugge dalle mani) sono un perfido ludus che, oltre a portare al massimo la tensione narrativa, puntano a sfibrare e a “martoriare” il pubblico che assiste ad un continuo rimescolamento delle carte.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • La costruzione dell’episodio che salta tra passato e presente
  • Il racconto della prigionia
  • Il personaggio di Prairie
  • Un cliffhanger molto efficace
  • La canzone cantata da Rachel
  • Non ci sono particolari problemi

 

“Champion” è un ottimo episodio che sconvolge, travolge e turba e fa un passo avanti, rispetto alle puntate precedenti, nella nebulosa chiamata The OA.

 

New Colossus 1×02 ND milioni – ND rating
Champion 1×03 ND milioni – ND rating

 

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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.

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