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Il Buio Oltre La Serie #10 – Scrubs: La Mia Fuga Dalla RealtàTEMPO DI LETTURA 14 min

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LA MIA BREVE PREMESSA


Prima di lasciarvi alla lettura della seguente recensione, il sottoscritto, per una questione di onestà intellettuale, ci tiene ad avvertirvi riguardo a un aspetto molto importante che è bene tenere a mente nel corso della lettura. L’autore, infatti, ammette fin da principio una totale soggettività nel suo scritto, derivata da una smisurata passione nei confronti della serie, maturata negli anni, ad oggi sette, nel corso dei quali Scrubs ha rappresentato una vera e propria compagnia serale nelle ore precedenti all’assopimento. In altre parole, tutto ciò che verrà scritto all’interno di questa recensione-tributo, nasce dalla reiterata visione del telefilm in un loop continuo che, potete scommetterci, andrà avanti ancora per molto, molto tempo. Ulteriore informazione da tenere a mente: la seguente recensione farà riferimento prevalentemente alla versione doppiata in italiano, andata in onda su Mtv dal 2003 al 2010, maggiormente conosciuta in quanto risalente a un periodo – in particolar modo i primi anni di programmazione – dove il reperimento di serie televisive in lingua originale risultava più difficoltoso, oltre a essere, tuttora, uno dei migliori doppiaggi realizzati per una serie comedy (affermazione, quest’ultima, che potrà trovare molte persone in disaccordo, ma che comunque verrà motivata più avanti). E allora, bando alle ciance, sfoderate il vostro miglior sguardo da sognatore, inclinate la testa verso sinistra fissando il vuoto e lasciatevi trasportare dalla vostra immaginazione! E se alla fine vi abbandonerete a fantasie talmente contorte da sembrare folli perfino ai vostri stessi occhi, nessun problema, non potranno mai essere peggio di una partita di ping pong tra un ninja e bigfoot.

COMUNICAZIONE DI SERVIZIO: LA NONA STAGIONE DI SCRUBS NON È SCRUBS.
 È SOLO UN BRUTTO SPIN-OFF.

LA MIA OASI DI TRANQUILLITÀ


Potremmo sciorinare una lista infinita di ragioni per cui Scrubs rappresenta, certamente non soltanto per il sottoscritto, una vera e propria oasi di tranquillità in grado di farci dimenticare, anche solo per una ventina di minuti, tutti i problemi che ci hanno accompagnato durante la giornata. La comicità intelligente, ad esempio, costruita sulla sapiente commistione tra black humour e demenzialità pura; il lavoro di scrittura che sta dietro ai personaggi, veri e propri membri di un’enorme famiglia che non fa alcuna distinzione tra protagonisti, comprimari, regular e personaggi occasionali, rendendo di fatto ogni character una presenza familiare e sempre gradita allo sguardo dello spettatore; o ancora, la straordinaria capacità di problem solving che la serie attua senza nemmeno rendersene conto, portando colui che guarda a riflettere sugli stessi problemi di cui abbiamo parlato poc’anzi e a trovare in molti casi una soluzione che, in fin dei conti, era sempre stata lì in attesa di uno scossone emotivo, che la serie, in maniera del tutto inspiegabile, riesce sempre a fornire, a prescindere dal tema trattato nel singolo episodio.
Eppure, nonostante questo elenco risulti potenzialmente infinito, a spiccare, occupando il primo posto di un ipotetico podio, troviamo un elemento che potrà forse risultare banale, ma che, proprio in virtù di questa ovvietà, riesce nell’impresa di trasformare un semplice telefilm in una straordinaria da cui è davvero difficile uscire: stiamo parlando dell’immedesimazione con il protagonista. Lasciando da parte, anche solo per un attimo, il camice blu, l’assenza di mascolinità e il livello di demenza al limite del ritardo mentale, JD non è altro che un ragazzo comune alle prese con tutta una serie di ansie, perplessità e problematiche con cui ciascuno di noi avrà avuto a che fare almeno una volta nel corso della propria vita. Uno specializzando poco più che ventenne che, determinato ad affrontare il lungo percorso formativo che lo porterà a diventare medico, si configura infatti come un moderno Virgilio, caricato del compito di guidarci attraverso una visione del mondo che, inizialmente, vi parrà estranea soltanto perché inserita in un contesto – lavorativo, emotivo, familiare – diverso da quello a cui siete abituati, ma che pian piano risulterà essere perfettamente sovrapponibile alla vostra. Tutto ciò, arricchito da una continua narrazione fuori campo che ci permette di entrare letteralmente nella testa di JD, scoprendone punti di forza e debolezze, e offrendoci così ulteriori spunti per riflettere in maniera lucida sulle questioni che ci tormentano durante la giornata. Il vero segreto di Scrubs non risiede in un qualche potere magico insito nel telefilm e nel suo team di sceneggiatori, bensì nella capacità di regalarci venti minuti di calma e lucidità, nel corso dei quali riflettere su noi stessi risulta molto più semplice. Perché in fondo, quando i problemi si accavallano, travolgendoci come un fiume in piena, c’è solo una cosa da fare: prendere un bel respiro – segreto confessatoci dalla stessa Elliot (4×13 – “Le Mie Diagnosi”) e che, esattamente come JD, inizialmente reputeremo stupido, salvo poi tornare sui nostri passi una volta realizzata quanta verità sia celata dietro a un consiglio apparentemente così banale e scontato.

LA MIA VITA SIT-COM COME UNA SIT-COM VITA


Con questo piccolo scambio di vocaboli è nostra intenzione porre l’accento su quanto Scrubs si discosti dalla semplice catalogazione di sit-com (affermazione brillantemente dimostrata dalla puntata 4×17, da cui abbiamo preso in prestito il titolo del paragrafo, e nel corso della quale gli autori giocano con lo spettatore mostrandogli come sarebbe stata la serie se fosse nata diversi anni prima, conservando tutti quegli stilemi, tecnici ed estetici, tipici delle sit-com cosiddette ordinarie), una definizione che certamente non rende onore alla serie, essendo essa dotata di una complessità tale, in particolare nel lavoro di caratterizzazione dei personaggi, da renderla molto più vicina, paradossalmente, a un reality show che a un qualsiasi genere di fiction.
Accantonando per un attimo la comicità non-sense sottesa all’intera serie, unico elemento che in qualche modo potrebbe confutare la nostra asserzione, l’intero cammino affrontato da JD negli otto anni trascorsi tra i corridoi dell’Ospedale Sacro Cuore acquisisce, per lo spettatore, una costante e progressiva autoreferenzialità, proponendo spunti per un’incessante disamina dei propri problemi, in relazione alle numerose prove a cui il protagonista viene sottoposto. Prove che, in maniera identica o simile, noi tutti abbiamo dovuto affrontare almeno una volta nella vita.
La serie diventa così una finestra su una realtà – una finta realtà televisiva, in grado però di costruire opinioni reali in colui che la osserva. Vi ritroverete in più di un’occasione a condannare JD per i suoi comportamenti impulsivi e talvolta bambineschi, salvo poi accorgervi che quel “lato oscuro” è presente in ciascuno di noi, sepolto sotto tonnellate di norme che hanno marchiato come sbagliati determinati comportamenti, trasformando qualità positive, come genuinità e onestà, in una sorta di deficit dell’educazione. Capiremo così che dire la verità, a prescindere da quanto dura sia da affrontare, è la più difficile delle decisioni, ma al contempo la soluzione più concreta se davvero vogliamo essere noi stessi. Salvo se si è sposati. In quel caso pare che mentire rappresenti l’unica forma possibile di comunicazione.
Non è naturalmente nostra intenzione soffermarci su tutti gli insegnamenti che la serie tenta di impartire, anche perché le chiavi di lettura in base alle quali le varie situazioni possono essere lette sono molteplici e variano, naturalmente, in base al nostro percorso di vita. Il tema dell’accettazione di se stessi è forse uno dei più cari al sottoscritto, dunque l’esempio è venuto fuori con naturalezza, ma ciascuno di voi, seguendo lo sviluppo caratteriale dei vari personaggi, riuscirà certamente a identificarsi con almeno uno di loro, rivedendosi nell’immaturità congenita di JD, nelle infinite ansie di Elliot, nel machismo di facciata di Cox, negli infiniti problemi di coppia tra Turk e Carla, e anche, perché no, nella stranezza dell’Inserviente. Ma comunque, a prescindere dalle nostre personali esperienze e dalle lezioni che decideremo di apprendere dal telefilm, c’è un aspetto che lega indissolubilmente tra loro tutti i protagonisti e che, di conseguenza, rappresenta un vero e proprio filo diretto con lo spettatore: la ricerca di se stessi e l’inevitabile processo di maturazione che la ricerca stessa implica per poter essere portata a compimento.
Nel caso di Turk e Carla questa ricerca di maturità ricade principalmente nei problemi derivanti dal matrimonio e dal desiderio di mettere su famiglia; nel caso del dr. Cox, invece, si configura come il tentativo di uscire dalla sua sociopatia, dal punto di vista strettamente familiare attraverso il disfunzionale rapporto con l’ex moglie Jordan, dal punto di vista sociale cercando di dimostrare (a suo modo) di voler bene a JD; per quanto riguarda Elliot, si tratta di una sfida contro se stessa, vero e proprio coacervo di ansie e insicurezze che, scaturite da un rapporto malsano avuto con i genitori, le impediscono di capire quanto valga come medico e come persona. Insomma, ciascuno di loro, a prescindere dal proprio inquadramento familiare o lavorativo, ha ancora bisogno di crescere.
La situazione non può che farsi ulteriormente intricata quando a dover crescere è un eterno bambino cronicamente terrorizzato dal prendersi le proprie responsabilità. La vita ha sempre in serbo qualche spiacevole sorpresa per il nostro protagonista: amori finiti per storie di droga, “mancanza di pepe” o visioni del futuro inconciliabili, mentori tormentati dai propri sensi di colpa, gay attempati poco rispettosi della proprietà privata altrui, e perfino stravaganti patologie che causano svenimenti dopo aver fatto la cacca. Difficoltà che comunque, giorno dopo giorno, aiuteranno JD ad accettare l’inevitabilità di questo processo di maturazione, riuscendo anche a ovviare, col tempo, ai suoi problemi di instabilità amorosa, incarnati alla perfezione dal travagliato rapporto con l’amore della sua vita Elliot. Un rapporto più volte condizionato dalla paura di legarsi seriamente con un’altra persona che, nel corso degli anni, porterà entrambi a impegnarsi con svariati individui, facendo le proprie esperienze, per poi finire col tornare puntualmente insieme fino alla successiva crisi d’identità.
In definitiva Scrubs, utilizzando come motore narrativo la crescita personale dei suoi protagonisti, riesce nell’intento di tracciare un itinerario che, in maniera molto lineare, ripercorre tutte le tappe fondamentali della vita umana: nascita, sviluppo, amore, amicizia, vita sociale e lavorativa, malattia e morte. Il tutto condito da una leggerezza unica nel suo genere, in grado di farci ridere di gusto e, subito dopo, lasciarci in lacrime, senza però farci sentire realmente tristi ma arricchiti. Arricchiti da una lezione che, potete star certi, non vi abbandonerà più e, se tenuta a mente e utilizzata al momento giusto, vi strapperà un sorriso anche nel momento più buio della vostra vita.

LA MIA PESANTE INTERFERENZA


Sebbene in questo articolo si sia deciso di non affrontare la descrizione dettagliata dei singoli personaggi, sia per motivi di tempo, sia perché lo scopo di questa lettura è un altro, non possiamo esimerci dall’analizzare una figura geniale partorita dalla mente di Bill Lawrence, nonché esemplare unico all’interno dello sconfinato panorama televisivo. Parliamo naturalmente dell’Inserviente, nemesi di JD e, appunto, pesante interferenza al suo quieto vivere. Non ci dilungheremo ora sulle curiosità che riguardano il personaggio interpretato da Neil Flynn (di questo parleremo più avanti), bensì è nostra intenzione analizzare brevemente l’importanza del suo, in apparenza soltanto un folle squinternato da internare con urgenza, ma in realtà figura fondamentale nel percorso di crescita di JD.La casualità sottesa alle azioni e ai dialoghi dell’Inserviente (quasi interamente improvvisati dall’attore) si traduce così in un costante rumore di fondo in grado di disturbare la vita del povero JD anche nei rari momenti in cui l’ospedale e la sfera privata lo lasciano rifiatare un pochino, configurandosi quindi come una variabile imprevedibile associata alla mancanza di libero arbitrio nella vita di tutti i giorni.
L’Inserviente non è soltanto un bulletto da quattro soldi che, ciclicamente, decide di prendere di mira un povero sfortunato a caso rendendogli la vita un inferno. L’Inserviente rappresenta l’insieme di tutte le piccole difficoltà che la vita ci mette di fronte, tutte quelle complicazioni che, giornalmente, contribuiscono a rendere la nostra giornata una merda. Il vicino di casa che si lamenta del rumore dei tacchi benché non si veda l’ombra di una donna in casa da mesi, il Wi-Fi che non funziona, il conguaglio dell’Enel di cinquecento euro, il rotolo di carta igienica finito, le dirette di Facebook, Hugh Jackman, DANinSERIES, insomma, tutte quelle cosine fastidiose con cui purtroppo dobbiamo convivere e che, per comodità, inseriamo nella categoria “cetriolino di McDonald”, seccatura inevitabile a cui non interessa minimamente il fatto di essere universalmente disprezzata. Certo, essere rinchiusi in una cisterna per un intero pomeriggio o essere abbandonati nel deserto in pasto ai coyote non rientra esattamente nella categoria “cetriolino”, ma in questo caso stiamo parlando di un pazzo che impaglia animali con altri animali impagliati. Un po’ di elasticità mentale, suvvia!

LA LORO INTERPRETAZIONE


Come accennato brevemente nella premessa, l’intero scritto (in particolar modo il paragrafo immediatamente successivo a questo) fa riferimento all’edizione italiana andata in onda su Mtv dal 2003 al 2010. Essendo noi di Recenserie maniaci della serialità televisiva e dunque devoti alla “versione in lingua originale”, ci sembrava giusto, in questo caso, rendere onore a un doppiaggio che, seppur modifichi radicalmente l’interpretazione degli attori (come ogni doppiaggio, a prescindere dalla bravura dei doppiatori), riesce a restituire alla perfezione quell’insieme di emozioni presenti nella versione originale. Alcune delle voci scelte appaiono, ad un primo ascolto, completamente dissonanti, e in realtà molte di loro, come ad esempio quelle di Zach Braff e Donald Faison, risultano totalmente diverse da quelle dei rispettivi doppiatori Alessandro Quarta e Nanni Baldini. Per molti sarà quasi traumatico passare da una versione all’altra, soprattutto per gli affezionati della serie. In realtà, e non si tratta di un avvenimento tanto comune quando si parla di doppiaggio relativo alle serie tv, in particolare delle comedy, l’interpretazione data da questo competente team di doppiatori è impeccabile (salvo qualche difficoltà nella resa di alcuni giochi di parole, di cui parleremo più avanti nell’apposito paragrafo) e ci restituisce una performance unica nel suo genere, in grado di regalarci, a livello emotivo, lo stesso effetto dell’originale.
Detto questo, noi invitiamo sempre a seguire le serie in lingua originale, così da carpire ogni minimo aspetto relativo a storia e interpretazione senza perdere nulla a causa di traduzioni forzate o doppiatori spesso non in grado di restituire lo stesso impatto emotivo della controparte americana/inglese. In questo caso, però, siamo disposti a chiudere un occhio. Ma non abituatevici!

LA MIA IRRITANTE PIGNOLERIA


Nonostante la nostra dichiarazione preventiva circa una spiccata soggettività presente nella recensione, ci sembra giusto citare anche qualche difetto, seppur marginale, contenuto all’interno della serie. Per farlo vi proponiamo una lista di curiosità scovate in questi anni di visione compulsiva, all’interno della quale troverete anche errori, nel doppiaggio o nella sceneggiatura, e piccole sviste sul set che, nella maggior parte dei casi, nemmeno vengono notate ad un primo sguardo e che, in fin dei conti, nascono da un gesto di estrema pignoleria messo in atto nel tentativo di trovare un reale difetto in una serie potenzialmente inattaccabile. Per evitare che questa lettura raggiunga dimensioni umanamente non consultabili, abbiamo deciso di dedicare due scritti separati, o meglio un unico scritto suddiviso in due parti, alla disamina di queste curiosità.

 

 

 

IL MIO FINALE (DI RECENSIONE)


“Una fine non è mai facile. Me la immagino così tanto nella mia testa che non potrà mai soddisfare le mie aspettative, e finirò sempre per rimanere deluso. Non sono nemmeno sicuro del perché mi importi di come finirà tutto. Immagino che sia perché tutti crediamo che quello che facciamo sia molto importante, che le persone pendano dalle nostre labbra, che diano importanza a quello che pensiamo. La verità è che, devi considerarti fortunato se anche solo di tanto in tanto fai sentire qualcuno, chiunque, un po’ meglio.”

Basterebbe questo breve estratto dal monologo finale di JD per chiudere la recensione. In queste poche righe Bill Lawrence racchiude l’essenza dell’intera serie, parlandoci attraverso la consueta voce fuori campo del protagonista per lanciarci l’ultimo – e per il sottoscritto anche quello più profondo – messaggio che la serie ha da offrirci prima del suo congedo.
Scrubs non è solo un lungo e travagliato cammino di crescita interiore, non è soltanto una comedy brillante in grado di affrontare gli aspetti peggiori legati alla vita e alla morte con una leggerezza e  un umorismo incomparabili, è un invito a prendere la vita con leggerezza, senza dare troppo peso al giudizio degli altri e concentrandosi unicamente sulla realizzazione dei propri sogni. Grazie a Dan – proprio come ci ricorda lo stesso JD – la serie ci insegna come non sia mai un bene vivere troppo nel passato, avvolti dal calore salvifico dei nostri ricordi più belli, ma come sia necessario affrontare il futuro, sicuramente spaventoso ma inevitabile stimolo al fine di distogliere lo sguardo da un presente che ci lascerebbe senza vie d’uscita. Perché in fondo, il futuro, nonostante tutto, dipende solo e unicamente da ciò che decidiamo di fare della nostra vita, ed è per questo che, con la giusta dose di determinazione, “può essere quello che vuoi tu…”.


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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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