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The Lady 3×15 – Episodio QuindiciTEMPO DI LETTURA 4 min

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La nostra mente è spesso martoriata da sentimenti contrastanti che insistentemente martellano i nostri pensieri e cambiano le nostre volontà. Siano martiri o eroi, pedine o leader, donne o uomini, qual è la giusta religione? Abbiamo un valore e un futuro? Solo il coraggio di vivere ci darà delle risposte…

Con queste poche ma significative parole, riportate in descrizione sotto il video su YouTube, The Lady ci saluta. Forse questo è un addio, tuttavia la nostra Dea ha deciso di impartirci l’ennesima lezione di vita, forse la più toccante, per poi congedarsi in silenzio, senza perdersi in superflue celebrazioni o addii strazianti e, a dire il vero, senza nemmeno chiudere una delle migliaia di storyline aperte nel corso di questi tre anni meravigliosi. Ci sono momenti in cui non occorre proferire parola per trasmettere un’emozione. Questo finale, naturalmente, non è uno di quei momenti.

Quando si hanno troppi uomini, per non dover scegliere, meglio andare con tutti.

Saggezza, raziocinio, tette. Queste sono soltanto alcune delle infinite qualità possedute dall’opera delsantiana. Se soltanto provassimo a stilare una lista di tutte le cose che ci mancheranno di The Lady, questa recensione toccherebbe lunghezze mai viste prima. O forse no. Proviamo: Chang, il doppiaggio, la cura dei dettagli, le tette della Bush, le colonne sonore, le sonore colonne, il figlio di Chang, gli aforismi di Lona, il culo di Lona, le tette della Bush, il fumo nero, la blue meth, Uma Thurman, Peter Parker e naturalmente Costantino (l’imperatore, non il tronista). No, in effetti pensavamo di riuscire ad allungare la recensione un po’ di più. Allora niente, dovremo arrangiarci.

Viviamo sulla superficie di una sfera che oscilla, partiamo da un punto e ci ritroviamo in un altro. Saliamo al top, scendiamo negli inferi e risaliamo. Il centro della sfera è il buco nero che ci inghiotte, il punto di collasso da cui dobbiamo sempre rimanere equidistanti. Bisogna trovare l’equilibrio che ci fa prendere le distanze dall’autodistruzione.”

Qualsiasi analisi critica che coinvolga questo Episodio Quindici risulterebbe una mera sottolineatura dell’ovvio. E l’ovvio, come abbiamo avuto modo di scoprire in questi tre anni, nulla ha da spartire con The Lady. Erano molte le teorie che aleggiavano attorno a questo series finale, noi arrivammo perfino a pronosticare una conclusione di stampo più lostiano l’anno passato. Altri hanno invece sostenuto con fermezza un coinvolgimento di Chang nelle losche vicende perpetrate negli anni ai danni della sua Lady, un plot twist che di certo avrebbe rimescolato le carte in tavola regalando alla serie un’uscita di scena forse meno profonda e riflessiva, ma con un coefficiente di epicità fuori da ogni logica terrena, anzi no terracquea, anzi no terrazzo. “Episodio Quindici è il nuovo Felina“, affermazioni come questa riecheggierebbero nel web come urla nella notte più serena se il coraggio della Del Santo si fosse spinto oltre ogni soglia umanamente conosciuta, ma è proprio da questo genere di decisione che si vede il vero genio: azzardare in tal senso sarebbe stata soltanto un’ostentazione di un già palese talento autoriale emerso timidamente un paio di anni fa ed esploso gloriosamente con questa terza stagione dai toni un po’ lynchiani; la vaghezza, invece, quella, e solo quella, è l’unica vera forma d’arte tollerata dalla Del Santo. La vaghezza e i culi.

Viviamo in un mondo ambiguo, dove i margini tra il bene e il male sono sovrapposti, si intersecano, si avvolgono, convivono. Ci sono sempre più persone decise ad immolarsi, pronte a farsi esplodere pur di fare la differenza in un circuito aleatorio. La vita diventa un concetto sempre più occasionale, più solitario. Non riusciamo più a stare insieme, a volerci bene. Abbiamo un Io troppo egocentrico, troppo autarchico. Tutti odiamo qualcuno e tutti siamo odiati da qualcuno e non sempre per motivi validi perché l’amore, la perfidia, l’invidia e la gelosia suonano delle sinfonie a parte. E’ un’orchestra diretta da un maestro che in ogni momento può essere spazzato via. Siamo soli, ma forse per questo siamo artisti.”

Quale modo migliore per concludere questa recensione se non citando integralmente il monologo finale di Lona, summa maxima di tutte le elucubrazioni filosofiche a noi regalate dal genio delsantiano in questi tre anni e che, nella sua chiarezza cristallina, fa sorgere in noi un’unica domanda: ma il maestro d’orchestra, può essere spazzato via da cosa? Da una tempesta? Da un tifone? Da un cannone? Dovremmo immaginare mentre viene polverizzato stile Dragon Ball? Pew Pew e si scioglie il maestro? A questo purtroppo non siamo riusciti a dare risposta, però una cosa la sappiamo: Lory Del Santo è la prova vivente che in Italia fare un’altra televisione, una televisione di qualità, è possibile.

THUMBS UP THUMBS DOWN
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Arrivati a questo punto, noi di Recenserie ci sentiamo di dire soltanto un’ultima cosa: l’Italia è la terra dei Zavattini, dei De Sica, dei Pasolini e quant’altro. Però oggi a pieno titolo è anche la terra delle Del Santo.

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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