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House Of Cards 5×13 – Chapter 65TEMPO DI LETTURA 5 min

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We don’t have home. We live in a house borrowed and temporarily.

A costo di scadere nel soggettivo, occorre descrivere l’insieme di processi che possono colpire lo spettatore durante la visione di una stagione di House Of Cards. Durante la visione dell’episodio si è colpiti dalla generale lentezza, sia scenica sia narrativa, pur con la consapevolezza che si stia andando in una particolare direzione; alla fine dell’episodio si ha il quadro chiaro della situazione e si ha voglia di vedere come procede; alla fine della stagione si è avvolti da un generale senso di soddisfazione, con una maggiore curiosità per ciò che avverrà l’anno seguente; dopo qualche mese si è effettuato un lavoro di filtro in cui tutti i particolari secondari della serie – indispensabili per i movimenti di trama – vengono rimossi e rimangono impressi solo i punti nodali, caratterizzati da inquadrature ravvicinate e battute ad effetto.
Banali considerazioni queste che, probabilmente, possono essere applicate a qualsiasi tipo di serie. Il cervello umano lavora normalmente come filtro ed è ovvio che si tenda a preservare l’insieme di particolari più coinvolgenti e importanti a discapito dei tanti momenti utili unicamente a raggiungere suddetti particolari. C’è un motivo però se tale processo mentale è stato esplicitato parlando di House Of Cards. HoC è una serie che ha come centro narrativo la politica statunitense, in particolare la Casa Bianca. Volendo parlare di House Of Cards a qualche novizio verrebbe da definirla una serie che parla di intrighi di palazzo, compromessi e che dà una panoramica generale sulla politica contemporanea. Vero, ma in parte. Si tratterebbe, in questo caso, di una serie assai complessa in cui ogni particolare sfuggito diverrebbe letale per comprendere fino in fondo i macro-movimenti della storia.
Dando uno sguardo d’insieme alle precedenti recensioni (anche delle precedenti stagioni) salta all’occhio come tra i thumbs down vi siano sempre riferimenti alle sottotrame inerenti i personaggi secondari. Sottotrame che, stando a quanto affermato, dovrebbero essere indispensabili. Sono importanti, arricchiscono un affresco, tuttavia servono unicamente a garantire quella parvenza di complessità che sembra caratterizzare la serie.
House Of Cards è in realtà una serie semplice che parla di due personaggi dipendenti dal potere. Stop. Ogni stagione, fino a questo momento, ha mostrato un progresso nella carriera di entrambi, nel loro rapporto disfunzionale, retto unicamente dal bisogno di aspirare a qualcosa di più alto. Lo dice anche Frank: il potere è fine a se stesso e travalica la massima carica raggiunta. Essere Presidente significa essere più esposti che mai al giudizio, ai rischi e alle responsabilità. Lavorare dietro a chi detiene il potere significa possederne di sconfinato. Abitare la Casa Bianca non è esattamente la stessa cosa che possederla.
Chi assisterà agli episodi di House Of Cards come un manifesto di tale filosofia difficilmente resterà deluso, consapevole di potersi anche distrarre un attimo dalle chiacchiere di corridoio tra sottosegretari o parlamentari da corrompere.
Chi invece guarderà a House Of Cards come esempio di realismo dello scenario politico non potrà non rimanere deluso guardando anche pochi minuti di serie con un decimo delle pretese (da The Good Wife al suo spin-off The Good Fight, dal fantascientifico e maltrattato BrainDead fino a Parks And Recreation).
La prima opera di Netflix, muovendosi in un clima da serie TV via cavo, ha in realtà puntato a creare una serie iconica, con alcuni personaggi altrettanto iconici. Lo spettatore dovrà affezionarsi a loro e alla loro funzione, dovrà assorbirne il ruolo per poi gioire di fronte a sviluppi di trama anche prevedibili.

My turn.

Personaggio iconico indubbiamente è stato Frank Underwood che tanto aveva conquistato le folle con i suoi intrighi, i suoi impulsi omicidi, i suoi piccoli vezzi (House Of Cards si è probabilmente consacrata con il finale della seconda stagione e il bussare sulla scrivania).
Ancora più iconica è diventata la Claire della fredda (e bravissima) Robin Wright. Come ogni spalla del protagonista, piano piano il pubblico ha iniziato a guardare verso di lei con maggiore interesse. Dalla scorsa stagione la possibilità di una Claire presidente non è stata solo sussurrata, ma urlata a gran voce. La possibilità di questo cambio della guardia era lampante, tanto che lo scenario era anche stato già bruciato a metà stagione, durante il momento di incertezza elettorale tra Frank ed il governatore Conway.
House Of Cards in questa quinta stagione (iniziando già dalla quarta) non ha nascosto il suo traguardo ma ha puntato all’affezione del fan per rendere avvincente le scene che ne mostrano il raggiungimento. Riuscendoci pienamente. Durante tutto il percorso di HoC era ovvio che le azioni di Francis potessero avere delle dirette conseguenze ma, allo stesso tempo, il coraggio di compierle garantiva all’ex-Presidente dei risultati tangibili e immediati. La pazienza di Claire, al contrario, l’ha posta un gradino sotto il marito, riuscendo però ad osservare e a studiare ogni sua mossa e, ovviamente, ogni suo errore.
Claire rappresenta un Frank 2.0 investita al potere proprio dopo la ripetizione di un rito iniziatico (l’omicidio di Yates) cui il marito si era più volte prestato. Un Frank 2.0 che si guarda bene dal mettersi nella condizione di essere attaccabile concedendo la grazia a Francis e Doug (uno dei personaggi trattati peggio nella storia della serialità). Elemento questo che condurrà all’altro scenario ampiamente prevedibile già da diverse stagioni: lo scontro tra Claire e Frank.
Se alla fine della scorsa stagione i coniugi Underwood teorizzavano una nuova epoca del terrore, si capisce che il vero terrore sta iniziando adesso.
L’auto distrutta di LeAnn, l’annuncio della guerra in Siria, la rottura della quarta parete di Claire: House Of Cards ha fatto un ulteriore passo avanti e, per risultare credibile, si spera non si vada oltre un’ultima stagione risolutiva.

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Robin Wright
  • “My turn.”
  • Sequenze finali
  • Francis lasciato all’angolo
  • La ricattabilità di Claire e la probabile ascesa di Usher
  • Usher, la Davis e altri hanno garantito un buon ricambio di personaggi
  • Tutte le situazioni presentate, altamente efficaci dal punto di vista scenico, erano tranquillamente prevedibili

 

Quando si rimane a bocca aperta per un finale di stagione, o per un episodio in generale, non si può non battere le mani. Vi è poi una strada meno percorsa e più rischiosa: affrontare qualcosa che si poteva prevedere, che il pubblico voleva vedere, che suggerisce ulteriori prevedibili sviluppi per il prossimo futuro, facendolo però benissimo. A livello estetico il finale di questa quinta stagione è un piacere per gli occhi. Unico elemento che i prossimi mesi rimarrà nella memoria degli spettatori, lasciata alle spalle questa ennesima maratona.

 

Chapter 64 5×12 ND milioni – ND rating
Chapter 65 5×13 ND milioni – ND rating

 

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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.

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