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R.I.P (Recenserie In Peace) – House Of CardsTEMPO DI LETTURA 8 min

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Nothing last forever. Even the longest, the most glittering reign must come to an end someday.

 
Non i soli Stati Uniti, nella figura di Beau Willimon, hanno deciso di attingere ai romanzi di Michael Dobbs: agli inizi degli anni ’90, infatti, in Inghilterra si decise di creare una serie tv appoggiandosi a personaggi e fatti raccontati nella saga di House Of Cards. Se siete abituati a sentire nominare “Frank Underwood”, cercate di far l’abitudine al cambio: Francis Urquhart (portato sugli schermi da uno strepitoso Ian Richardson) rappresenta lo stadio finale, in quanto a piani e crudeltà, del personaggio di Kevin Spacey.
La miniserie venne portata sulla BBC tra il 1990 ed il 1995, suddivisa in tre “stagioni” ognuna da 4 episodi:
House Of Cards (1990);
To Play The King (1993);
The Final Cut (1995);
La nomenclatura segue i romanzi di Dobbs pubblicati durante lo stesso anno della messa in onda.
Il primo “capitolo”, House Of Cards, presenta la situazione politica inglese dopo le dimissioni rassegnate da Margaret Thatcher e di come, tramite macchinazioni più o meno legali, l’apparentemente innocuo Francis Urquhart riesca ad ottenere la carica di primo ministro e quindi l’incarico da parte della regina Elisabetta II di formare un nuovo governo.
Il secondo “capitolo”, come lascia intendere, vede Urquhart cercare di destreggiarsi tra la pressante opposizione della corona, che ora si trova sul capo di un nuovo re (Michael Kitchen), ed il riuscire a mantenere credibile ed intatta la propria leadership sia all’interno del partito, sia all’interno del Governo.
Il terzo “capitolo”, l’atto finale della serie, cerca di presentare un Francis estremamente travagliato e fortemente combattuto dalle azioni compiute in passato (sia off-screen, sia con riferimenti ai precedenti capitoli). È forse uno dei capitoli che si sofferma maggiormente sull’umanità del grande statista (o dittatore?) che l’Inghilterra sembra mal sopportare ormai da anni. Il trattato di Cipro, varie scelte finanziarie mal pensate ed i vecchi nodi che tornano al pettine lo esporranno in maniera definitiva alla gogna pubblica. Il canto del cigno di un personaggio che ha accompagnato lo spettatore per dodici ed intensi episodi.

 

So hard to know who to trust in these suspicious days. Does passion engender trust? Not necessarily. And yet we all would with to feed on certainties. To hear the word “always”, and believe it true. She trusts me absolutely, I believe. I trust she does. And I? I trust her absolutely…to be absolutely human.

 

Francis Urquhart vs Francis J. “Frank” Underwood


Ciò che viene naturale fare è un paragone con la serie americana, con la quale condivide il titolo ma non solo. Perché nonostante i meccanismi politici americani ed inglesi siano totalmente differenti, sia per quanto concerne le cariche, sia per quanto riguarda il funzionamento elettivo dei singoli, i personaggi di Frank e Francis hanno, ovviamente, molto in comune. Nome incluso.
La stessa fama di potere che li porta a più riprese a fare drastiche scelte, una moglie che seppur partendo in sordina riesce a ritagliarsi (a livelli differenti) la propria posizione all’interno dello show, ma anche le spalle politiche/sceniche permettono di creare dei parallelismi tra le due serie.
D’altra parte il soggetto sono pur sempre i romanzi di Dobbs.
Una cosa che è difficile da non notare è l’estrema freddezza di Francis nel rapportarsi con persone dalle quali difficilmente potrebbe riuscire ad ottenere qualcosa di più rispetto a quello che già ha fatto suo. È vero, anche Underwood ha questa natura e, a più riprese, viene mostrata (basti pensare a Zoe ed all’episodio 2×01 – Chapter 14). Ciò che è tangibile in Underwood è la linea di demarcazione tra assassino e politico, linea che viene più volte sottolineata: molti personaggi, durante le 5 stagioni andate in onda, si sono dimostrate “meritevoli” di un certo tipo di trattamento da parte di Frank. Eppure il lato umano del personaggio (o una pura e semplice decisione concernente la sceneggiatura) li ha tratti in salvo. Ci sono infatti due risvolti di tutto questo:

  • il personaggio di Kevin Spacey, seppur presentato come spietato, cinico e disposto a tutto, raramente giunge a preferire la strada di sangue rispetto ad una più razionale, scontrandosi con la rappresentazione dello stesso che continuamente viene rimarcata con discorsi che rompono la quarta parete;
  • il discorso precedente fa giungere alla conclusione che il personaggio di Frank Underwood appaia debole e poco credibile con minacce o attestati di odio.
In Francis Urquhart, d’altra parte, la linea di demarcazione tra assassino e politico non è in molti casi tangibile, palesandosi agli occhi dello spettatore per la stessa natura con cui viene visto dagli occhi di ogni singolo personaggio messo in scena: un mostro sotto certi aspetti, un politico disposto a sporcarsi le mani di sangue in maniera indelebile sotto altri. A tutto ciò va anche aggiunto che Frank mostra fin da subito crepe in questa sua maschera di crudeltà e cattiveria, mentre in Francis determinate emozioni sembrano totalmente aliene ed estranee. Almeno fino al punto di rottura.
C’è ovviamente da menzionare il fatto che la versione americana è or ora composta da più di 60 episodi a differenza della trasposizione inglese che ne conta solamente dodici: questo potrebbe essere un fattore di peso per quanto riguarda questo discorso e la rappresentazione incoerente tra umanità/crudeltà di Frank Underwood.
Altra menzione va fatta ad un elemento comune tra i due complessi personaggi: entrambi rivivono tramite flashback e visioni il loro rapporto controverso con Zoe/Mattie. In Francis ciò sembra essere più accentuato, ma questo potrebbe dipendere benissimo dalla concentrazione dei fatti narrati e dal numero irrisorio di episodi a disposizione per farlo.

 

Il potere non deriva da un distintivo o da una pistola. Il potere deriva dalle bugie. E bisogna dirle grosse, finché non avrai il maledetto mondo intero che sta al tuo gioco. Li avrai in pugno non appena sarai riuscito a mettere tutti d’accordo su quello che in cuor loro sanno bene non essere vero. Allora sei il capo.

 

Elizabeth Urquhart vs Claire Underwood


Uno dei fattori che contraddistingue le due versioni è sicuramente palesato se si fa un parallelismo tra Elizabeth Urquhart e Claire Underwood.
La figura femminile ricopre all’interno di entrambe le serie un ruolo fondamentale ed entrambe partono in sordina, specialmente Elizabeth a cui viene concesso inizialmente poco minutaggio e rare scene discorsive con il marito. All’opposto Claire, pur rimanendo almeno inizialmente ai margini, riesce a ritagliarsi fin da subito una propria porzione di trama che la riguardi. Ed è questa la differenza tra i due personaggi che rappresenta sia lati positivi, sia negativi: Claire ha una propria trama che non per forza gravita attorno al caposaldo della serie (suo marito, Frank Underwood); Elizabeth, al contrario, non potrebbe esistere se non per e con il marito, dal cui dipende in toto quasi fosse in simbiosi.
La narrazione di Claire rappresenta aspetti positivi perché permette allo spettatore di ampliare un personaggio, mentre permette agli sceneggiatori di inserire sottotrame e narrazioni parallele che infittiscono la storia. In questo la serie inglese pecca, non dotando di una propria dimensione un personaggio che si rivelerà fondamentale con l’avvicinarsi della fine della serie. Gli aspetti negativi della narrazione di Claire, purtroppo, si hanno quando la trama diventa inconcludente o di peso talmente relativo da appesantire solamente la visione dell’episodio, rischiando di annoiare lo spettatore. Il lato negativo è quindi da ricercare in come questa dimensione del personaggio venga rappresentata dagli sceneggiatori e come la stessa venga calata all’interno della trama generale.

 

UK vs USA


Un ulteriore aspetto di raffronto può essere benissimo il sistema politico al quale le due serie si collegano: quello americano e quello inglese.
I due sistemi permettono una diversa ampiezza di trama e di narrazione che cerca di essere sfruttata da parte degli sceneggiatori.
Il sistema politico inglese permette a Francis prima di rapportarsi con il primo ministro, poi una volta raggiunta tale carica di spadroneggiare su di un’altra carica -che non può ricoprire-, la corona. Ed in conclusione va ulteriormente a caccia di una conferma dalle elezioni.Parallelamente, in America, una volta ottenuta la carica di Presidente, poco rimane. Ed è questo uno dei motivi per cui la figura di Frank Underwood sembra essersi arenata con il finire della seconda stagione: il personaggio pareva aver perso di scopo. D’altra parte era già Presidente, una carica istituzionale con più peso politico non è ancora stata concepita. Sotto questo aspetto, infatti, la serie inglese permette una maggiore trasformazione ed un riadattamento degli scopi, a seconda del piano da mettere in atto per occupare determinate cariche o liberarsi di altre.

I will outlast you. Six more days. I’m not done yet.

La saga della BBC di House Of Cards rappresenta un cimelio di non poco conto. Utile allo spettatore interessato a parallelismi con l’odierna ed omonima serie americana, utile anche allo spettatore alla ricerca di un valido thriller di stampo politico che gli permetta di districarsi con numerosi intrighi di palazzo.
La scalata del potere non è solo appannaggio di Francis Urquhart, perché con la sua abitudine di rivolgersi direttamente allo spettatore spinge quest’ultimo a sentirsi parte del suo stesso progetto, testimone dei suoi più efferati crimini e inconsapevole partner dei suoi piani di potere.

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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.

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