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American Horror Story: Cult 7×02 – 7×03 – Don’t Be Afraid Of The Dark – Neighbors From HellTEMPO DI LETTURA 7 min

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“I think there’s something wrong with me. I don’t know what’s real anymore.”

Tutto parte da lì, dalla paura, dall’inquietante sensazione di non comprendere quale sia la realtà e quale la finzione. Il (nostro) mondo, piccolo o grande che sia, è turbato da qualcosa che rompe la normalità. Si mette in scena quella forza spietata che blocca, imprigionando in un carcere a cielo aperto. Paura del mondo, dell’altro, di noi anche. American Horror Story ha da sempre cercato di rappresentare quella concrezione di timori e angosce che turbano i sonni e le menti, insinuandosi nel volto dell’altro, che esso sia vicino di casa, negoziante, dipendente, costruendo muri che costringono a dubitare di chi sta attorno. Ryan Murphy si è infilato proprio lì, in quella concrezione fatta di fobie, paranoie, incubi e sangue, e l’ha abitata interpretandola come uno splatter inquietante; questa volta si tratta di un horror calato nell’oggi. E’ un’era in cui il mondo cavalca la paura, cavalla imbizzarrita, recalcitrante e ribelle che scalcia e disarciona; sono anni questi, rappresentati e incarnati dal post-vittoria Trump, dove è più semplice ghettizzare, mettere da parte, umiliare coloro che non rientrano nel “noi”. Murphy in American Horror Story: Cult non porta fantasmi o vampiri, conduce lo spettatore dentro la mente umana che prorompe ed esplode se brutalmente sollecitata (il pestaggio di – e orchestrato da – Kai da parte di un gruppo di latinoamericani). Non è però solo uno show horror, c’è qualcosa di più che segna una crepa che fa penetrare ancor più nel profondo: le parole affilate come lame che si leggono su facebook, le urla razziste nei confronti dello straniero, gli avvenimenti tragici utilizzati per vincere le elezioni.

Kai: “Did you know that you’re 40% more likely to be the victim of a violent crime, committed at the hands of an illegal immigrant and that murder and rape rates are the highest they’ve ever been?”
Ally: “That’s not true… Those numbers don’t seem right to me. Where are you getting your information from?”
Kai: “Facebook.”

Kai rappresenta l’americano pro-Trump che incolpa, trova capri espiatori, vive in un’ignoranza social, odia i presunti perturbatori della sua quiete e veste i panni del giustiziere della notte; dall’altra parte della barricata c’è Ally che in “Don’t Be Afraid Of The Dark”  è sempre più terrorizzata, la sua mente vacilla, si sente perseguitata e a sostenerla c’è Ivy, moglie paziente e protettiva. Fin dall’incipit di “Don’t Be Afraid Of The Dark” la donna è distrutta, si sveglia urlando e accanto a lei non c’è Ivy ma uno dei terribili clown che uccidono, l’altra faccia di questo tragico orrore. La sensazione è quella di essere vittime, come la protagonista, di un complotto i cui orchestratori sono gli altri personaggi che girano attorno a lei: lo psicoterapeuta, Kai, Harrison e Meadow – i nuovi vicini di casa che hanno filmato il pestaggio in cui è stato coinvolto l’uomo dai capelli blu -, Winter che dal di dentro tenta di distruggere le fondamenta su cui è costruita la famiglia di Ally (la babysitter tenta di sedurre la “datrice di lavoro”, crea un rapporto di complicità con Oz ma dall’altra parte li lascia soli nei momenti cruciali della storia). Spettatore del mondo degli adulti è il piccolo Oz che viene coinvolto in situazioni e avvenimenti più grandi di lui, e se da una parte viene profondamente turbato (i flashback, gli incubi) dall’altra riesce a resistere proprio perché è un bambino (quando vede il clown gli chiede semplicemente se è tutto un sogno e alla risposta affermativa continua a dormire). Il piccolo assiste anche alle scene più truci con una razionalità sconvolgente (tranne quando a morire è il porcellino d’india) e ciò che emerge è l’assuefazione alla violenza, qualunque forma essa abbia.
L’horror si biforca sempre più, da una parte c’è l’ottusità della comunità che tracima (la lite nel ristorante delle due donne), dall’altra ci sono i killer clown che squarciano corpi (le scene degli omicidi) ma denominatore comune di entrambe è un razzismo dilagante e dilagato (la violenza verbale nei confronti della coppia, quella nei confronti del migrante). Ally si accorge che ogni cosa si sta disfacendo nelle strade, in televisione,  nel mondo (“The world is fucked up”); nulla è più lo stesso da quella notte in cui l’uomo più sbagliato dell’universo è diventato Presidente di uno degli stati più complessi; infatti la sua elezione ha solo peggiorato una situazione latente, vomitando il male che qui vediamo prorompere senza posa.
La donna – già di per sé problematica – democratica, aperta e anti-Trump, inizia a poco a poco a comprendere che forse ciò che aveva sempre pensato nella sua vita non era solo un prodotto della sua mente e incomincia ad armarsi contro un mondo che la spaventa (l’allarme, le grate alle porte e alle finestre, la pistola). Il non sentirsi sicura le instilla il dubbio, portandola a non costruire più ponti ma muri, la porta non solo a impugnare una pistola (data da Harrison e Meadow che hanno un arsenale in casa) ma anche ad usarla. Murphy sembra dire che anche la persona più giusta e illuminata se sotto stress e condizionamento psicologico può compiere azioni insensate (la scena in cui presa dal panico dopo aver sentito suonare l’allarme e aver visto in casa sua i killer clown uccide senza volere Pedro, il suo dipendente).

La morte di Pedro genera inquietanti conseguenze che vengono analizzate in “Neighbors From Hell”: Ally lo ha ucciso perché razzista. La donna diventa oggetto di critica – si crea una nuova verità per usarla poi a proprio beneficio – da parte del suo stesso schieramento politico e inizia un crudele linciaggio mediatico che monta nel corso del terzo episodio. La gente manifesta, fa picchettaggi per difendere la vittima e distruggere il carnefice, perseguita la killer – fino ad arrivare a mettere in rete le immagini intime di Ally con la babysitter-. Dalla sua parte restano la compagna e Kai che la rassicura: lei ha agito per difendere la sua famiglia (in Michigan è valida la legittima difesa).
E’ interessante anche l’utilizzo di simboli che mostrano come questo universo seriale sia malato dal di dentro: i clown, figure topiche per il genere orrorifico, le facce dipinte sui muri delle vittime, il camion che di notte sparge per le strade un sostanza verde, probabilmente letale, i personaggi che cadono come mosche, prede delle proprie fobie (l’incipit del terzo episodio ne è un esempio, una paziente dello psicoterapeuta di Ally – sarà un caso? – viene uccisa, sepolta viva in una bara – rappresentazione di tutti i suoi incubi – per mano dei clown).
Murphy non dà pace e mostra al pubblico una realtà piagata, infetta e purulenta, mettendo in evidenza come attorno alla nostra protagonista nessuno si salvi, come tutti siano legati da un “cerchio malefico” che si emblematizza nel gesto dei mignoli intrecciati. “Pinky to pinky. Flesh to flesh. You’re going to give me your fear Oz” dice Winter al piccolo Oz nel secondo episodio mentre tenta di rasserenarlo (ne siamo proprio sicuri?) e la stessa situazione si ricrea ancora ma, questa volta, a condurre il gioco come a reiterare un rito religioso, è Kai che si insinua tra le paure di Harrison e Meadow. L’uomo da una parte tira fuori i più bassi sentimenti e istinti (il malessere nei confronti della moglie che si espande fino a diventare desiderio di vederla morire) dall’altra le paure (teme di non essere amata dal marito omosessuale). E a dar forza a questo intreccio simbiotico è la morte/sparizione di Meadow, quella stessa notte. Murphy collega tutte le parti di questo assurdo show, legando in maniera ambigua ogni personaggio agli altri.
 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Il legame che corre tra tutti i personaggi

  • La trasformazione di Ally

  • Le morti che si susseguono senza sosta

  • I simboli che anticipano gli omicidi

  • Cosa accadrà nel futuro se sono successe già tante cose in questi tre episodi?

 

“Don’t Be Afraid Of The Dark” e “Neighbors From Hell” sono dei buoni episodi che giocano bene le loro carte usando i personaggi che hanno a disposizione, inserendone alcuni e eliminandone altri. Murphy si diverte a portare sullo schermo le paure più profonde dell’uomo infilandosi tra le pieghe della sua mente, immergendosi nel mondo di oggi, percorrendo le strade in cui cammina lo spettatore. L’esperimento sembra riuscito per ora, attendiamo la prossima morte.

 

Election Night 7×01 3.93 milioni – 2.0 rating
Don’t Be Afraid Of The Dark 7×02 2.38 milioni – 1.2 rating
Neighbors From Hell 7×03 2.24 milioni – 1.2 rating

 

 
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.

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