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Philip K. Dick’s Electric Dream 1×05 – Real LifeTEMPO DI LETTURA 6 min

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Quando si recensisce una serie tv come “Philip K. Dick’s Electric Dreams”, dove ogni episodio è antologico, possono risultare inevitabili e, in  un  certo senso, necessari (soprattutto se riferiti alla puntata immediatamente precedente) dei paragoni con le altre puntate. Questo discorso, però, non si può applicare a “Real Life” per un semplice motivo: il suo “predecessore”, “Crazy Diamond, “si è attestato su livelli così infimi da rendere superflua e perfino ingenerosa nei confronti di un prodotto semplicemente non degno di essere trasmesso nell’era della peak tv, soprattutto se facente parte di una serie ambiziosa come questa, trasmessa, tra l’altro, da un canale di grande tradizione come Channel 4. Ancora scossi per aver visto il talento di Steve Buscemi essere utilizzato nel peggior modo possibile, si può iniziare a parlare di questo quinto episodio (data l’introduzione, appare superfluo far notare che si sia compiuto un significativo passo in avanti rispetto a 7 giorni fa).
Anche in questo caso, il cast principale è di tutto rispetto: i due protagonisti, infatti, sono Anna Paquin e Terrence Howard. La prima ha vinto un’Oscar nel 1994 (doveva ancora compiere 12 anni, ed è la seconda vincitrice più giovane di sempre nella categoria “Best Supporting Actress”, dietro soltanto a Tatum O’Neal) per “The Piano”, un Golden Globe per “True Blood” ed è stata nominata varie volte per prodotti come “Bury My Heart At Wounded Knee”. Howard, invece, ha una nomination all’Oscar per “Hustle&Flow” ed è famoso anche per “Crash” ed “Empire” Come hanno insegnato esperienze precedenti, però, un ottimo cast non basta da solo a garantire un prodotto all’altezza. L’ottimo risultato di “Real Life”, infatti, non è dovuto soltanto all’interpretazione molto solida dei suoi protagonisti, ma anche ad una grande messa in scena e ad una scrittura finalmente calibrata.

 

“Is this the real life?
Is this just fantasy?
Caught in a landslide,
No escape from reality”

Queen, Bohemian Rhapsody

 

Come fatto in tutte le altre recensioni, occorre prendersi un momento per parlare dell’opera originaria. Questo episodio, infatti, è tratto dal racconto “Exhibit Piece” (1954), che trattava il passaggio da una realtà all’altra (come al solito, sono stati apportati alcuni cambiamenti ritenuti funzionali alla narrazione; ad esempio, il protagonista era uno storico, non una poliziotta). Il discorso fatto sulle performance attoriali può essere ripreso anche in questo caso: la trama è intrigante, ma in ciò non differisce particolarmente dagli altri episodi, in quanto il livello delle opere di Dick non si può mettere affatto in discussione. Si deve considerare, però, un altro aspetto, tutt’altro che secondario, ossia l’adattabilità su schermo di un prodotto letterario. Questa caratteristica non segue regole ben delineate ed è una variabile del tutto indipendente dalle capacità dello scrittore in questione, tanto che uno degli autori più in difficoltà, sotto questo punto di vista, è un mostro sacro come Stephen King. Guardando le cose in questa prospettiva, “Real Life” partiva già con il piede giusto, in quanto il tema del passare da un’epoca all’altra non è certo nuovo, anzi, è stato affrontato molte volte con discreto successo (certo, lo scorso anno finì malissimo in due casi su tre, ma la colpa non è del genere, è di chi ha realizzato quei prodotti così scadenti). Veniamo dunque all’episodio. La protagonista, questa volta, è Sarah (Paquin), una detective che vive in un futuro non bene specificato, fatto di auto volanti e tecnologia avanzatissima. Viene ripreso, dunque, il tema del poliziesco, che era stato uno dei temi portanti del primo episodio; questa volta, però, le indagini sono soltanto un mezzo strumentale alla narrazione, non il fulcro vero e proprio.
Un altro tema che viene ripreso è quello di un grande attacco contro le forze di polizia, questa volta perpetuato da persone che vogliono far crollare il sistema politico e sociale di Chicago. Ancora sotto shock per l’uccisione di 15 agenti (ed aver rischiato di morire lei stessa) e convinta di non meritare la sua vita privata perfetta, decide di provare un nuovo congegno tecnologico, che permette all’utente, nel sonno di “prendersi una vacanza” e diventare un’altra persona in un altro mondo. Sarah, dunque, diventa George (Howard).

 

“Mama, just killed a man,
Put a gun against his head,
Pulled my trigger, now he’s dead” 

 

Le scelte vincenti di questo episodio si possono ritrovare abbastanza facilmente nella correlazione tra i due personaggi e i due universi. Lo smarrimento di George, ad esempio, assomiglia molto allo smarrimento che lo spettatore ha all’inizio di ogni episodio di questa serie (o di “Black Mirror“, per citare un prodotto simile), e la sua ricerca di dati e informazioni diventa, dunque, anche quella di noi che stiamo guardando. Un elemento molto ben giocato, però, permette di evitare un parallelismo così netto tra il personaggio e gli spettatori e, inoltre, crea loro un po’ di confusione. George, infatti, vive in quello che per noi è il presente, mentre Sarah in un mondo che, parafrasando Max Weber, assomiglia molto al tipo ideale di futuro che spesso si ha in mente. La decisione si rivela azzeccata perché, nonostante quanto mostrato all’inizio della puntata, tutte le scene con George sembrano, sotto un certo punto di vista, più reali, più vere.
Il congegno tecnologico, che in teoria dovrebbe aiutare e far rilassare i suoi clienti, in realtà ha una natura sadica, crudele: esso, infatti, crea la realtà prendendo spunto dal subconscio e dai pensieri di chi lo sta usando. Essendo creato per persone che hanno bisogno di rilassarsi e prendersi un pausa, quindi per individui che in quel momento non hanno certo pensieri positivi e allegri, crea soltanto universi cupi, negativi e, quel che è peggio, dove le preoccupazioni della real life sono riprodotte in modo addirittura peggiore. Sadico è, forse, una parola troppo forte, ma come giudicare altrimenti un dispositivo che catapulta una persona che sta passando la vita alla ricerca di Colin in un universo dove c’è Colin, e questa volta ha addirittura ucciso sua moglie (uguale a quella reale)? Sarebbe stato interessante, a questo punto, che una storyline fosse stata dedicata all’ideatore di questo oggetto, ma forse si sarebbe deviato troppo dallo scopo della narrazione.
In ogni caso, va lodata la performance di Howard, abilissimo a rappresentare i dubbi e le incertezze di George, il suo smarrimento e il senso di colpa, seppur virtuale, per il tradimento coniugale.

 

“Didn’t mean to make you cry,
If I’m not back again this time tomorrow,
Carry on, carry on as if nothing really matters”

 

Un altro elemento a favore è senza dubbio rappresentato dalla difficoltà di distinguere, giunti ad un certo punto, tra realtà e finzione. Per fare ciò, si è puntato ad aspetti di natura intimistica morale, come il pessimismo intrinseco a molte persone, e alla convinzione di dover espiare chissà quali peccati. In teoria, la scelta di Sarah potrebbe sembrare folle. Perché dovresti dubitare della realtà della tua vita reale soltanto perché troppo positiva, troppo perfetta? A primo avviso, sembrerebbe così. In realtà, cercando di immedesimarsi nella psicologia della protagonista, si nota come tutto il percorso sia coerente con la sua situazione psicologica iniziale, cioè molto giù di corda, sfiduciata e con una visione pessimistica del mondo. Basandosi su ciò, è stato creato un universo che prendeva questi aspetti e li elevava a potenza. In quel mare di dolore e pentimento, Sarah si è sentita a casa e, infatti, ha deciso di restare lì.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Anna Paquin e Terrence Howard
  • Tema dell’episodio
  • Messa in scena
  • Dubbi di natura morale
  • Finale forse un po’ telefonato

 

Dopo un quarto episodio più che disastroso, “Philip K. Dick’s Electric Dreams” torna sui binari giusti con un episodio di altissimo livello, che finalmente rende onore al grande scrittore statunitense. Per questo motivo, benediciamo.

 

Crazy Diamond  1×04 ND milioni – ND rating
Real Life 1×05 ND milioni – ND rating

 

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Romano, studente di scienze politiche, appassionato di serie tv crime. Più il mistero è intricato, meglio è. Cerco di dimenticare di essere anche tifoso della Roma.

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