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R.I.P. (Recenserie In Peace) – The NewsroomTEMPO DI LETTURA 7 min

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“Quali sono le caratteristiche che fanno grande l’America nel mondo?”

Da questo quanto mai banale e semplice incipit nasce una delle serie tv più accattivanti e meglio strutturate degli ultimi anni: The Newsroom. Da buona parte della critica la serie targata HBO e costruita da Aaron Sorkin (West Wing, The Social Network, L’arte di vincere, Steve Jobs) viene accostata proprio a West Wing come struttura ed elementi comuni nella trama. Ma la serie ambientata nello studio Ovale non ha nulla da spartire con la nuova creatura generata da Sorkin.
Composta da 25 episodi suddivisi in modo disomogeneo in tre stagioni, The Newsroom presenta allo spettatore le vicende giornalistiche di un medio-piccolo canale (ACN, acronimo di Atlantic Cable News) con il susseguirsi degli anni e di alcuni degli avvenimenti storici più importanti di questo inizio di secolo. Tra questi spiccano la cattura di Osama Bin Laden e l’attentato alla maratona di Boston. La serie permette a chi sta guardando la serie di calarsi in maniera totale nel mondo del giornalismo, concedendogli quasi di poter respirare la stessa aria che sembra presentarsi nell’affollata e movimentata redazione di News Night. Parallelamente agli eventi storici, che vengono utilizzati come perno fondamentale dai quali poi partire a raccontare tutto ciò che sta loro attorno, The Newsroom presenta degli ottimi (anche se sotto certi aspetti banali) personaggi. Will McAvoy (Jeff Daniels) ricopre alla perfezione il ruolo di anchor man affidatogli ed il suo discorso (con il quale la serie inizia e dato in risposta alla domanda sopra citata) è diventato pressoché virale e disponibile su qualsiasi social e sito, in ogni lingua e formato.

 

“So when you ask, ‘what makes us the greatest country in the world?’ I dunno know what the fuck you’re talking about. Yosemite? We sure used to be. We stood up for what was right.  We fought for moral reasons.  We passed laws, struck down laws for moral reasons.  We waged wars on poverty, not poor people.  We sacrificed, we cared about our neighbors.  We put our money where our mouths were. And we never beat our chest.  We built great big things, made ungodly technological advances, explored the universe, cured diseases, and we cultivated the world’s greatest artists and the world’s greatest economy. 
We reached for the stars, acted like men.  We aspired to intelligence, we didn’t belittle it, it didn’t make us feel inferior.  We didn’t identify ourselves by who we voted for in our last election. And we didn’t… we didn’t scare so easy. 
We were able to be all these things, and to do all these things, because we were informed. By great men, men who were revered.  
First step in solving any problem is recognizing there is one: America is not the greatest country in the world anymore.” 

 

Il discorso preso in maniera a sé stante, per un non americano, non ha particolare rilievo, tanto meno suscita interesse. Ma queste parole, così pesanti, dirette e vere tarperebbero le ali anche alla persona più ottimista. Ciò su cui Sorkin si sofferma inizialmente in maniera superficiale, approfondendola solo successivamente (donando una completa visione d’insieme del personaggio di Will) è il motivo di una tale reazione da parte del giornalista: perché reagire in maniera tanto brusca?
Will si era reso conto di esser diventato ciò che egli stesso disprezzava più di tutto: era divenuto un fantoccio privo di una propria critica personale per qualsiasi argomento dovesse presentare al telegiornale. Peggio, da repubblicano quale era aveva iniziato a difendere i politici del suo partito senza soffermarsi se ciò che veniva da loro detto fosse in qualche modo coerente e concorde con il suo pensiero personale. La scintilla che fa scattare in lui la miccia e che lo porta ad intraprendere un cammino di miglioramento e di ritorno al passato è proprio il discorso iniziale avvenuto nell’aula magna di quella scuola. Will non ricoprirà il ruolo di neo Howard Beale (Quinto Potere) diventando quindi un semplice fanatico e furioso giornalista, rassimilando una banale valvola di sfogo della società.
Il mutamento di Will sarà molto più radicale, ciò dovuto anche al fatto che la sua redazione venga praticamente ricostruita da zero: a lui interessava far un buon notiziario, senza doversi soffermare troppo ai dati di ascolto e di share televisivo che il notiziario stesso facesse. Per ottenere ciò, Charlie (il presidente della direzione News della ACN), assolda Mackenzie McHale come produttrice esecutiva del nuovo News Night. La scelta non è per nulla casuale considerando il fatto che tra Will e Mackenzie in passato c’è stato qualcosa, una storia che lentamente, con il progredire della vera Storia e delle puntate, verrà messa a nudo ed analizzata sotto vari aspetti e punti di vista. 

 

“Nel mondo oggi più di ieri domina l’ingiustizia, ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia; proprio per questo, Sancho, c’è bisogno soprattutto d’uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto.”

 

E quale è il sogno matto di Will, di Charlie e di Mack? Costruire un perfetto giornale informativo, con il quale riuscire anche a raccogliere un’ottima quotazione di share. Intrattenere quindi lo spettatore non con banali storie e pettegolezzi, ma con la vera informazione, con le vere notizie accuratamente selezionate. Will prende ad esempio proprio Don Chisciotte, parlando di questa sua battaglia personale contro “i mulini a vento”. Per quanto concerne la trama, come è stato detto, ci si rifà in maniera molto marcata ai grandi avvenimenti storici e ciò ha comportato, in quella parte di pubblico che ama verificare ogni cosa venga presentata loro, un continuo ed incessante factmatching delle notizie rilasciate da Will a News Night, nel caso si parlasse di casi realmente verificatisi.
Tutte le informazioni sono poi state catalogate ed inserite episodio dopo episodio in questo blog.

 

 

Messa da parte la questione meramente sociologica e quindi che comprende la copiosa trama concernente i personaggi, The Newsroom, appare anche come abile denuncia alla tipica informazione americana legata a doppio filo con le corporations.
Il primo emendamento della Costituzione americana, che sancisce “la libertà di parola o di stampa” dei cittadini, dovrebbe garantire la possibilità ai singoli e alle formazioni politiche di evitare interventi censori. Tuttavia i media corporativi operano una deliberata censura rispetto a determinate notizie, generando una vera e propria “amnesia” (come titolò la propria canzone Robert Wyatt, United States of Amnesy) per quanto riguarda suddette specifiche news che potrebbero influenzare il comportamento dei cittadini americani in momenti cruciali. La censura corporativa e lobbistica è un problema tale che è stato istituito in America il Project Censored che si propone di monitorare su Internet gli organi d’informazione americani per vedere quali notizie vengono letteralmente abbandonate o trovano una risonanza minima nei giornali o nelle televisioni nazionali.
Perché il peso delle corporations è così un fattore d’importanza anche all’interno di una serie tv? La ACN è posseduta da determinate persone che a più riprese, con il prosieguo delle stagioni, tenteranno di mettere i bastoni fra le ruote lungo il percorso che l’anchor man ha deciso di intraprendere: quello verso un notiziario limpido, chiaro e di pura informazione, senza fronzoli inutili.
Si potrebbe ritenere The Newsroom, forse a ragione sotto determinati aspetti, un grido di patriottico risveglio che Sorkin rivolge al popolo americano per farlo ridestare: in certi punti la critica sociale si perde e sfuma nell’autocompiacimento del passato, considerando che il focus viene perso. Ma si tratta di una critica sterile e che non trova effettivamente terreno fertile nel quale poter crescere ed avere spazio dal momento che la maggior parte del minutaggio viene speso in maniera coerente e diegetica da parte degli sceneggiatori.
Le riprese e la recitazione sono ottime e di alto livello: tra gli attori è possibile citare Dev Patel (Neal Sampat, già apparso in The Millionaire); Thomas Sadoski (Don Keefer, già visto in The Slap); Emily Mortimer (Mackenzie McHale, la Rachel Solando di Shutter Island); John Gallagher Jr. (già comparso in West Wing).
Non occorre essere informati di ogni cosa che viene presentata all’interno della serie per poterne apprezzare in toto la qualità e la dimestichezza con cui i protagonisti si approcciano al loro campo lavorativo. Una serie mai banale e che merita assolutamente la visione.
Will McAvoy vi aspetta nella sede di News Night, non fatelo attendere.
 
 
“Hear me now, O thou bleak and unbearable world. Thou art base and debauched as can be. But a knight with his banners all bravely unfurled now hurls down his gauntlet to thee!” (Mitch Leigh – Man of La Mancha I, Don Quixote)

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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.

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