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The Good Place 2×13 – Somewhere ElseTEMPO DI LETTURA 4 min

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Why choose to be good every day if there is no guaranteed reward we can count on, now or in the afterlife?  I argue that we choose to be good because of our bonds with other people and our innate desire to treat them with dignity. Simply put, we are not in this alone.

Una delle caratteristiche più interessanti di The Good Place, facilmente riscontrabile fin dalla sua primissima messa in onda, è la costruzione di un’avvincente trama mistery giocata, in particolar modo, sulla proposizione di continui cliffhanger. Questo continuo rimanere in sospeso sull’orlo del precipizio, acuitosi in maniera esponenziale per tutta la durata della precedente annata, ha raggiunto il suo apice in Michael’s Gambit, il finale di stagione andato in onda all’inizio dell’anno passato, al termine del quale lo show ha toccato livelli di imprevedibilità difficilmente riscontrabili in altre serie del medesimo genere. Con le aspettative spettatoriali alle stelle, gli autori decidono così di puntare sì sul solito cliffhanger, ma cambiando radicalmente registro, virando verso tutt’altro genere di impatto emotivo: se infatti nel finale della prima stagione Michael finiva col fare tabula rasa di tutto ciò avvenuto fino a quel momento, trollando di fatto milioni di spettatori e riportando la narrazione al suo momento zero, in “Somewhere Else” la storia non soltanto avanza, ma prende per la prima volta una direzione ben precisa, elevando il discorso ad un livello più alto.
Non solo, con questo episodio The Good Place ha saputo dimostrare di riuscire a gestire alla grande la propria assuefazione al cliffhanger, garantendo coerenza a ciascun plot twist visto fin qui; coerenza probabilmente giustificata dalla consapevolezza degli autori in merito al destino di Michael, Eleanor e compari. Questa armonia di fondo ha fatto sì che un soggetto basato su un’idea molto semplice riuscisse ad elevarsi da semplice rebus televisivo in salsa comedy a vera e propria esperienza telefilmica contenente tutte le caratteristiche della televisione contemporanea, dalla preminenza della trama orizzontale a prescindere dal genere, fino alla ricerca dell’empatia spettatoriale attraverso la riproposizione di character estremamente umani e con caratteristiche a dir poco familiari per chi guarda.
La quest che ha visto i nostri compagni di viaggio vagare nei meandri dell’aldilà alla ricerca della propria redenzione ultraterrena trova una possibile risoluzione nella chance data a Michael dal giudice (Hydro)Gen, e dall’inaspettato fresh start che conduce Eleanor e compagni all’interno di una sorta di simulazione, al termine della quale i protagonisti dovranno dimostrare di meritare l’accesso al tanto agognato good place. La narrazione prende quindi una direzione completamente diversa, imboccando ben altri binari grazie al tentativo da parte di Michael di rovesciare un “sistema” troppo severo e basato su procedure arcaiche che andrebbero rinnovate. Non si tratta più soltanto di “raggiungere la salvezza” accedendo al good place, si tratta invece della crociata personale di Michael intrapresa per aiutare delle persone care, motivato a tal punto da intromettersi attivamente all’interno della procedura.
Un’intromissione che porta al primo incontro tra Eleanor e Chidi all’interno della simulazione e che, almeno secondo la reazione positiva di Michael, sembra essere la via giusta per mantenere (fake)Eleanor sulla retta via. Il messaggio è chiaro: “we are not in this alone“, pensiero che meriterebbe un approfondimento dal punto di vista della sua effettiva veridicità, ma che senza dubbio riesce a fondersi alla perfezione con quella che è l’anima della serie, da sempre focalizzata sull’importanza dei legami e del rispetto per gli altri esseri umani. Questo rinnovamento, resosi inevitabile in seguito al reset generale d’inizio stagione, è diventato quindi un ottimo pretesto per provare a percorrere nuove strade, accelerando i ritmi della narrazione e accentuando la componente thriller, così da ovviare alla probabile monotonia che si sarebbe creata continuando a sfruttare solo ed unicamente l’umorismo legato al “sentirsi ovunque fuori posto” condiviso dai protagonisti.
La morale di fondo risulta quindi legata ad uno dei grandi dilemmi dell’esistenza, sicuramente apostrofabile come banale se visto in relazione al tipo di storia che si ha di fronte: la possibilità dell’essere umano di cambiare. Un cambiamento che, a giudicare dal legame universale che tiene saldamente ancorati Eleanor e Chidi (anche se in realtà Michael in questo caso ha un po’ forzato la mano) può essere realizzabile soltanto in un momento, ovvero quando si decide di compierlo in nome del legame condiviso con le altre persone, spinti dal desiderio innato di trattarle con dignità e rispetto.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • La seconda chance data ai quattro protagonisti
  • Il capo di Eleanor
  • Il legame forte tra individui come tema centrale
  • La dichiarazione d’amore di Janet
  • Il cliffhanger e la reazione finale di Michael
  • Nulla di rilevante, forse l’eccessivo ritardo mentale di Jianyu, a tratti fastidioso, ma quelle sono questioni di gusto personale

 

The Good Place conclude il suo secondo atto in bellezza e guadagna a mani basse la nostra ambitissima benedizione grazie ad un episodio chiave che segna una svolta decisiva dal punto di vista della narrazione, sempre originale e divertente ma con l’incredibile peculiarità di scavare tra le pieghe dell’animo di ogni personaggio raccontandone paure e debolezze. Un obiettivo decisamente ambizioso per una comedy, per nulla semplice da portare avanti, eppure finora gestito brillantemente da Schur e colleghi.

 

The Burrito 2×12 3.65 milioni – 1.1 rating
Somewhere Else 2×13 3.19 milioni – 1.1 rating

 

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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