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Homeland 7×11 – All InTEMPO DI LETTURA 5 min

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Con “Clarity” il passo indietro rispetto agli episodi precedenti aveva minato le certezze stagionali predisponendo uno scenario non idilliaco dopo diverse puntate entusiasmanti. Tra parecchi alti e rari bassi, con la settima stagione Homeland aveva comunque vissuto un rinvigorimento notevole, e come preannunciato puntate come quella appena mandata in archivio solitamente si limitano ad introdurre grandi scossoni: così è stato.
“All In” infatti ha decisamente cambiato marcia, lasciando alcune domande molto interessanti irrisolte; riproponendo, con contributi presi dalla scena mondiale attuale, elementi politici molto intriganti, nemmeno troppo americanisti (impressionante considerando il passato); e rispolverando quelle scene d’azione rare ma apprezzabili che hanno segnato le ultime stagioni dello show.
Ancora una volta la storyline principale, e che trascina le altre con un intreccio che parte dalla Russia fino ad arrivare proprio agli USA, è quella della protagonista dello show Carrie, accompagnata nel paese sovietico da Saul. La loro visita in Russia, per distrarre in un confronto faccia a faccia Yevgeny (scena che racchiude uno dei dialoghi più interessanti dell’episodio) che rimanda addirittura al mondo delle fake news (presente più o meno in ogni monologo trumpista dal giorno del primo comizio a oggi) e mandare un team a recuperare le tracce di Simone, procede lentamente e la loro copertura è facilmente smascherata, tanto che Saul si convince in maniera molto veloce ad abbandonare la baracca. Carrie invece insiste nella ferma volontà di non dare respiro ai nemici: recuperare Simone è la sua priorità assoluta ed è disposta a tutto per ottenere il risultato. Questo porta Carrie a corrompere uno dei russi presenti alla conferenza proprio per stanare Simone, la scoperta di un conto bancario aperto in America di tale Yakushin permette a Saul di ricattarlo sul personale e a portarlo dalla sua parte.
Nell’altro lato del mondo intanto la Keane si trova accerchiata: la visita di Paley addirittura a Dar Adal in prigione, apre una nuova lista di soluzioni infinite che neanche lontanamente erano state prese in considerazione. Paley ormai chiaramente, cerca in tutti i modi di portare la Keane fuori dalla casa bianca, riuscendoci anche dopo il rifiuto al ricorso venticinquesimo emendamento. Quindi la domanda sorge spontanea, non essendo lui lo useful idiot qual è il suo ruolo nello scenario? Il suo staff lo sta manipolando? Sta lavorando con Adal in qualche complotto sottobanco che comprende i russi? Per ora non è possibile conoscere quale di queste domande presenti una risposta che corrisponda a verità, ma la situazione che vede la Keane uscire dalla casa bianca senza proferire parola non lascia buone sensazioni.
In un perfetto connubio delle due parti, Yakushin assalta l’edificio dove Simone è tenuta prigioniera, provocando le ire di Yevgeny che la invita a più riprese a non abbandonare la base, dagli States però arriva il colpo basso con Max che tramite l’internet, elemento che si riallaccia ancora alle vicende di Trump, mette in scena un simulcast per mostrare come i russi siano sull’orlo della guerra interna. Il chaos permette proprio a Max di aiutare Carrie, che  sfrutta la situazione entrando nell’edificio di soppiatto per introdursi proprio nella stanza in cui Simone sta aspettando di conoscere il suo destino. Carrie a questo punto, rimasta in compagnia dell’unica risorsa in grado di ristabilire l’equilibrio nel suo paese, ha un solo compito: convincere con ogni mezzo necessario Simone che Yevgeny non ha nessuna intenzione di tenerla al sicuro e che, come successo in precedenza con Dante, la toglierà di mezzo una volta esaurita la sua utilità. Sfruttando proprio il fattore fake news Carrie convince la francese a sgattaiolare via con lei e lasciare i russi con un pugno di mosche.
In mezzo al caos sia in politica interna che in quella estera; con Yevgeny su tutte le furie; Carrie e Simone in fuga (a ruoli inverititi); la Keane dimmissionaria e Paley, presumibilmente anche parte del suo staff, invischiato in qualche modo nelle dinamiche russe con la complicità di Dar Adal, Homeland si avvia al finale di stagione con tante domande, forse troppe, senza risposta, ma senza dubbio con enormi spunti su cui lavorare al meglio e tante dinamiche interessanti collegate tra loro.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Quando Carrie torna nel suo contesto naturale lo show è sempre su livelli eccellenti
  • L’assalto al rifugio si Simone
  • La scalata di Carrie fuori dal palazzo
  • L’espediente di Saul per corrompere Yakushin
  • La scena finale promette grossi scossoni
  • Puntata perfetta per introdurre un season finale
  • Il ritorno di Dar Adal
  • Presenza di fatti e tematiche d’attualità
  • La storyline della Keane non risalta troppo negli episodi precedenti, un peccato per come è predisposta al momento
  • Troppi nodi irrisolti
  • Trump messo ancora in mezzo a più di un anno di distanza, ok con più stile rispetto al solito but still…
  • Difficile gestire un season finale dopo un episodio così pieno di elementi 

 

Il leggero step down di settimana scorsa ha influito relativamente sul prodotto. Homeland ha messo sul piatto una stagione eccellente e un buonissimo episodio, miscelando politica, attualità, spionaggio e azione. Carrie a questo punto, nonostante fosse la Useful Idiot individuata dai russi, si ritrova con in mano il pallino del gioco: al suo meglio, libera dalla figlia, dai problemi psicologici e dalle dispute con la sorella, si trova nel suo contesto ideale, quello che oscilla tra il delicato e il decisivo, che ha contraddistinto la serie, portato al paese tanti risultati positivi ma allo stesso tempo abbattuto spesso e volentieri la protagonista stessa e segnato la fine di tantissime persone a lei vicine.

 

Clarity 7×10 1.28 milioni – 0.3 rating
All In 7×11 1.38 milioni – 0.3 rating

 

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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.

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