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Arthdal Chronicles 1×01 – The Children of Prophecy: Episode 1TEMPO DI LETTURA 4 min

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Quando si parla di serie televisive al di fuori della nostra Italia, si pensa subito inevitabilmente al mondo anglosassone, possibilmente anche ai paesi scandinavi, magari anche a paesi europei come la Francia, la Spagna e la Germania che ogni tanto si sforzano di tirar fuori qualcosa di interessante. Difficilmente, però, lo spettatore medio occidentale pensa all’Asia e in particolare alla triade Cina-Giappone-Corea del Sud, nonostante questi tre paesi dell’Estremo Oriente producano ogni anno centinaia di prodotti televisivi spaziando dal poliziesco al sentimentale, dallo storico al fantasy. E proprio al genere fantastico appartiene l’opera di cui qui recensiamo il primo episodio, Arthdal Chronicles, trasmessa nelle lande sudcoreane dalla rete locale tvN ma distribuita in tutto il mondo da una piattaforma streaming che di produzioni asiatiche è sempre più piena, ossia la tentacolare Netflix.
Molti hanno trovato già naturale, se non addirittura inevitabile, accostare questa nuova epopea a una deludente famosa saga che ha trovato la sua conclusione (televisiva, per quella letteraria dovremo attendere chissà quanti anni) pochissimo tempo fa tra polemiche e dibattiti, e tuttavia bisogna sgombrare il campo da qualche equivoco: Arthdal Chronicles ha alle spalle un budget decisamente alto e porta in primo piano la lotta per il potere, eppure sarebbe un errore parlare della risposta coreana a Game of Thrones aspettandosi di trovarvi gli stessi ingredienti che hanno reso celebre e famosa l’opera tratta dai libri di Martin, anche solo per una questione di diversità culturali. Arthdal Chronicles non sbatte in faccia tette, culi e scene di amplessi molto poco censurate, né ricerca una morbosa ostentazione della violenza (fisica e psicologica) e nemmeno manifesta l’ambizione di costruire un grande mondo pseudo-medievale/rinascimentale incentrato su complotti e intrighi di corte, nonostante una piccola dose di politica sia già presente. Il contesto è molto più modesto, molto più primitivo, perché la storia che si svolge nelle fertili terre di Arth risale indietro fino alle origini della civiltà stessa: non a caso il nome di una delle due razze in lotta, i Neanthal, richiama fin troppo esplicitamente gli uomini di Neanderthal, mentre Arthdal altro non è che la trascrizione “anglicizzata” di Asadal, mitologica capitale del primo regno coreano. Questo conferisce alla serie una vistosa particolarità nel panorama fantasy, genere che di solito predilige ambientazioni modellate sui secoli bui.
Eppure il conflitto fra Neanthal e uomini dell’Unione di Arthdal, che sulle prime sembra dover costituire il fulcro della narrazione, finisce per essere risolto nel corso del solo pilot con una serie di vistosi salti temporali che coprono oltre un decennio. Il risultato è che già entro la fine dell’episodio il focus si concentra sulla storia del mezzosangue Eunseom, classico prescelto dell’immancabile profezia ambigua, ma a prezzo di una rapidissima evoluzione dello scenario geopolitico, con lo sterminio di ogni singolo Neanthal, di una sbrigativa trasformazione di Tagon da ragazzino geniale ma comunque ancora troppo giovane a carismatico leader bellico e di una troppo rapida uscita di scena di personaggi come Ragaz e Asa Hon, che forse potevano dare ancora qualcosa alla storia.
Sul fronte tecnico ed estetico è difficile muovere delle critiche ad Arthdal Chronicles: al di là di alcuni frangenti in cui l’invasiva CGI appare fin troppo finta (ma questo problema c’era pure in Game of Thrones, parliamo pur sempre di televisione), c’è una cura nelle ambientazioni, nei costumi e nelle scenografie che in Occidente non è sempre scontata, soprattutto in un genere come il fantasy che negli ultimi anni ci ha regalato autentiche schifezze visive come The Shannara Chronicles e soprattutto The Outpost. Del resto parliamo di una serie coreana e in Oriente l’attenzione per tutto il comparto visivo nelle produzioni storiche e fantastiche è altissima. Così come tipicamente orientale è la scelta di far durare l’episodio (e così anche i prossimi) un’ora e venti minuti, quasi il doppio rispetto ai canonici episodi dei drama occidentali: lo spettatore abituato a minutaggio più brevi potrebbe trovare pesante e tedioso seguire una puntata di siffatta durata. Certo, finora il duo di sceneggiatori Kim Young-hyun e Park Sang-yeon ha dimostrato di avere un saldo controllo sulla materia narrativa e il fatto che la serie sia stata strutturata in modo tale da concludersi nell’arco di diciotto episodi lascia supporre che non si lasceranno prendere la mano negativamente; in ogni caso, per chi è orfano di Game of Thrones e cerca un palliativo in attesa dell’atteso spin-off sulla Lunga Notte o della prossima serie Netflix The Witcher, il k-drama in questione potrebbe essere una buona scelta.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • La scelta di un’ambientazione più “primitiva” rispetto al classico Medioevo fantasy
  • Budget decisamente alto e adatto a una produzione del genere
  • Troppi salti temporali in un solo episodio
  • 80 minuti a puntata potrebbero essere decisamente troppi per spettatori abituati a un minutaggio minore

 

Il fantasy non è solo un prodotto occidentale e i coreani ci tengono a ricordarlo con quella che già alcuni hanno, forse troppo frettolosamente, definito la risposta orientale a Game of Thrones. Sicuramente Arthdal Chronicles non raggiungerà lo stesso successo e probabilmente nemmeno la stessa qualità, ma resta un interessante esperimento da seguire, se non altro per il fatto che sia stato reso facilmente accessibile anche per noi dell’altro emisfero.

 

The Children of Prophecy: Part 1 1×01 ND milioni – ND rating

 

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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.

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