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Marvel’s Jessica Jones 3×12 – AKA A Lotta WormsTEMPO DI LETTURA 6 min

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Jessica: You want me to admit I’m a cheater? A fraud? I’m both, and more.
Sallinger: I’m more interested in the deeper lie you tell yourself about why you want to be a hero.
Jessica: Except I don’t want it. I’ve never wanted it.
Sallinger: And that’s the lie. Because you want it desperately, and I suspect you always have.

 

Come spesso accade con le serie Marvel/Netflix (e, probabilmente, per l’ultima volta in assoluto), la dodicesima puntata equivale ad un vero e proprio anti-finale, dove si iniziano a tirare le somme generali prima degli eventi davvero conclusivi. E così, il grande tema dell’anti-eroismo di Jessica, che caratterizza da sempre l’intera serie, base fondante anche di questa terza e ultima stagione, trova qui il primo grande epilogo, ovviamente nello stile contraddittorio e decisamente ambiguo dello show.
Assolutamente esplicativo in tal senso è il dialogo tra Jessica ed Erik, nel bar in cui si sono incontrati per la prima volta, che col senno di poi (come fa notare lui stesso) è da considerarsi il vero spartiacque di tutta la trama stagionale. I due, davanti all’immancabile bicchiere ripercorrono i rispettivi percorsi, circolarmente e in maniera quasi meta-testuale. Come da citato e cinico orientamento della serie, arrivano a concludere che non ci sarà mai alcuna conclusione. Il “viaggio dell’eroe” esiste solo nella letteratura e nei fumetti, la realtà invece regala solo uno sconfortante ma pragmatico fatalismo. Come fa notare, stavolta, la stessa Jessica, con o senza il contributo di Erik in un modo o nell’altro tutta quella malvagità l’avrebbe probabilmente colpita lo stesso. Traducendo: la vita non finirà mai di mettere alla prova i loro progressi. Ma non per questo loro devono smettere di provare a crescere e tentare di migliorare loro stessi e, perché no, il mondo. Il perché lo debbano fare, invece, riguarda proprio quel confine sottile tra egoismo personale e altruismo incondizionato su cui si gioca tutto lo scontro finale con Sallinger.
Un conflitto che da fisico si trasforma ben presto in verbale, anche perché a livello di colpi di scena narrativi, almeno in questo caso, il piano è quello dell’eccessiva prevedibilità. Dove risulta avvincente e significativo è quindi nei dialoghi, essenza di tutta la tematica stagionale, in cui non a caso ritorna l’espediente visivo (nonché meta-cinematografico) della fotografia per cercare di catturare, o meglio svelare, la realtà. Chi è infatti il vero “impostore” tra i due: il soggetto, che davanti all’obiettivo cerca di nascondere la sua vera natura, o il fotografo, che costruisce la scena affinché arrivi a mostrare quello che vuole? Naturalmente è Sallinger a perdere questa battaglia, punto sul vivo da Jessica sul piacere che l’uomo prova ad uccidere qualcuno (giusto per aggiungere, inoltre, un’altra similarità con Dexter), se non fosse che la sua conclusione preannuncia solamente quella finale per l’anima di Trish, dagli esiti ben più tragici.

 

Malcolm: “So the ends justify the means?
Trish: “If I want it to end.
Malcolm: “Want what to end?
Trish: “Evil I guess.
Malcolm: “And what if you become the evil?

Simile nei contenuti, ma sicuramente diverso negli sviluppi, è l’altro “dibattito morale”, altrettanto cruciale, che si consuma nel corso dell’episodio tra Malcolm e Trish. Il loro scambio è sicuramente ben più didascalico, per quanto anche in questo caso abbia il merito di rappresentare la summa dei differenti percorsi dei due personaggi. Se Malcolm mostra pentimento nei confronti delle proprie malefatte, la consapevolezza maturata in Trish è tutta votata al suo nuovo ma lucido estremismo, in un discorso d’ispirazione machiavellica sul “fine giustifica i mezzi” che ricorda molto l’indimenticata disputa ideologica tra Daredevil e il Punitore in “New York’s Finest“.
Il plot twist “malvagio” legato alla sorella della protagonista può far provare un certo senso di déjà vu allo spettatore, visto che anche nel caso della seconda stagione il “villain” finale era un suo parente stretto, eppure rispetto a quest’ultima non solo la trasformazione di Trish è stata costruita con tempi e modi sicuramente consoni, ma nasconde risvolti decisamente più interessanti in termini psicologici, proprio in relazione alla stessa Jessica: la sofferenza, quindi, a legarle indissolubilmente prima, finendo poi col distanziarle proprio nella maniera di affrontarla.
Per entrambe, innanzitutto, l’incidenza genitoriale si è rivelata decisiva, in un modo o nell’altro. La “delusione” di cui parlava Sallinger le ha portate ad assumere i panni di “cliché” viventi, ossia una la rocker ribelle, l’altra fidanzatina d’America. Trish, però, è cresciuta col mantra del “poterlo sopportare” ad ogni costo, di dover far fronte alla propria inadeguatezza compiendo anche azioni immorali pur di soddisfare un’aspirazione più alta. Il suo finisce con l’essere un eroismo cercato, desiderato, per non sentirsi inutile, avvicinandosi così all’egoismo di Sallinger. Jessica dal canto suo non l’ha mai voluto, né richiesto, eppure inconsciamente l’ha perseguito per dare un senso, stavolta, al proprio vuoto emotivo, dovuto al contrario alla continua mancanza di una figura materna. Lei, con le sue capacità, avrebbe tutti i motivi per diventare “the evil”, o quantomeno l’assassino spietato in cerca di giustizia in questo duro e violento mondo, come hanno fatto sua madre e sua sorella, ma il suo eroismo, puro e tragico, sta proprio nella scelta di non farlo.
Ed è esattamente qui che l’intero percorso stagionale riesce a colpire nel segno. Sia Jessica che Trish si dicono “arrabbiate” per come sono andate le cose con Sallinger, ma sono proprio le loro azioni in merito ad identificarle una volta per tutte. Alla fine Sallinger vincerà una battaglia, smascherando però l’altra sorella. Jessica poteva ucciderlo, ma non lo fa, pur desiderandolo ardentemente e dominando i suoi impulsi perché, come dice Malcom a Trish, semplicemente sarebbe “sbagliato”. “Hellcat” invece non riesce ad accettarlo, perché a lei hanno sempre insegnato che la giustizia si può in qualche modo piegare alle proprie ragioni. Pur contro i cliché, la sottile ripetitività e gli eccessivi spiegoni, il finale d’episodio sciocca e funziona proprio per l’ennesimo fallimento della protagonista, rivelando al tempo stesso un certo coraggio da parte degli autori nell’infliggere ancora, un’ultima volta, una dura lezione di “realtà” alla propria anti-eroina.

Jessica: “This is over. It isn’t satisfying, it doesn’t take away the pain, and it doesn’t affect either of us, except that he’s done. That’s it.
Trish: “But I’m so angry.
Jessica: “So am I.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Impostazione quasi “teatrale” degli scontri finali, in cui si denota anche un’estrema, quanto necessaria, bravura di tutti gli interpreti in gioco
  • Jessica vs Sallinger: chi è l’impostore? 
  • Malcolm vs Trish: chi è il cattivo?
  • Trish e Jessica: chi è l’anti-eroina?
  • Il finale e la completa trasformazione di Trish
  • Il piano di Jessica di registrare Sallinger piuttosto prevedibile, oltre che poco originale 
  • La ripetitività del “sarà l’insospettabile parente di Jessica il vero cattivo” 
  • Qualche scambio di battute decisamente didascalico 

 

L’interessante scelta di adottare per le fasi conclusive una simile impostazione discorsiva e teatrale, anche se priva di vera profondità, poteva da sola “salvare” comunque l’episodio. Il coraggioso cliffhanger finale, invece, in grado di sovvertire anche l’ultimo “lieto fine”, rimanendo così perfettamente coerente allo stile della serie, vale tutti i “ringraziamenti” possibili.

 

AKA Hellcat – 3×11 ND milioni – ND rating
AKA A Lotta Worms – 3×12 ND milioni – ND rating

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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.

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