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Away 1×06 – A Little FaithTEMPO DI LETTURA 3 min

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“Do you ever have a moment where you think to yourself I’m watering a plant in space?”
“Every day.”

La caratteristica principale della nuova serie Netflix è un comparto emozionale abbastanza impegnativo. Ogni episodio, al limite dell’umanamente possibile, è carico di sensazioni e turbamenti troppo grandi per restare confinati nello stretto perimetro di un’astronave. Una delle chiavi vincenti di Away forse è proprio questo rappresentare un confinato spazio vitale all’interno del quale, per quanto bizzarro possa sembrare, la vita si svolge in una quotidianità disarmante. Si ha quasi l’impressione di assistere a una realtà statica: paradossalmente non si vedono mai i protagonisti muoversi verso qualcosa e anche gli intoppi che si susseguono nello scorrere degli episodi danno l’impressione di una certa ripetitività nella narrazione e nello scandire lo scorrere del tempo.
In realtà è ovvio che si è di fronte a un racconto molto più che dinamico. Dinamismo che si declina nell’io di ogni personaggio, che pur non potendo muoversi al di fuori dei confini del veicolo spaziale, spazia nel proprio scompartimento interiore, nel tentativo di controllare un’emotività sempre più preponderante.
Una tecnica che ha certamente dato i suoi frutti, ma che a lungo andare rischia di immobilizzare la serie in qualcosa di già visto e di già detto rendendo gli episodi un susseguirsi di eventi funzionali solo ad attendere l’atterraggio su Marte e non all’esplorazione e alla crescita personale dei protagonisti.

“It’s yuor life at stake too.”
“And I place it in your hands.”
“As do I.”
“I do too.”

L’importante presenza scenica della Swank si traduce in un ruolo complesso che abbraccia le molteplici sfumature del personaggio che si ritrova a dover fare i conti con il suo essere donna, moglie, madre e capitano. Tutti ruoli che si modellano perfettamente sulla sensibilità di Emma che diventa per tutti una leale confidente, un severo comandante e una divertente compagna di giochi; diventando punto fermo tanto per chi l’aspetta sulla Terra quanto per chi l’accompagna verso Marte.
Destreggiandosi in questa bi-dimensione, Hilary Swank ha l’occasione di sfoggiare la sua immensa bravura: il turbinio di emozioni è sensibilmente percepibile, in netto contrasto con la ruvida realtà della scienza che non sempre funziona come dovrebbe. I piccoli-grandi problemi che si alternano sulla nave spaziale mettono a dura prova i nervi dell’equipaggio che si trova a vivere nell’affidamento all’altro in una situazione che non lascia spazio a dubbi e incertezze.
Non vi è dubbio dunque che il carisma del personaggio di Emma e della sua interprete regge l’intera serie e ciò a discapito del resto dell’equipe, che si trova ad alternarsi in narrazioni non sempre così interessanti. E’ questo proprio il caso di Kwesi, il giovane botanico che nel momento di difficoltà dell’equipaggio si ritrova a fare i conti con sé stesso e con la sua religione, mettendo discretamente in scena il conflitto che governa l’uomo sin dai tempi della ruota, quello tra scienza e fede. L’idea di base è centrata e allettante, ma lo sviluppo non è del tutto riuscito a pieno, complice una narrazione poco invogliante e un personaggio -quello di Kwesi- decisamente poco accattivante. Ma in questo gioco di narrazioni e dualismi interiori non ci sono colpe e non ci sono colpevoli, poiché spiccare accanto a Hilary Swank è davvero difficile.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Hilary Swank sempre eccezionale
  • Dualità Terra-Marte
  • La resa sullo schermo fa di Away una delle serie qualitativamente migliori 
  • L’episodio gioca sul rapporto scienza-fede. Un’ottima idea…
  • Senza la presenza della Swank le storie degli altri personaggi non riescono a mantenere alta l’attenzione
  • Un minutaggio lievemente eccessivo per episodi filler come questo
  • Josh Charles un po’ sottotono
  • In generale la serie si presenta a volte troppo emotional
  • …che poteva essere sviluppata molto meglio

 

Non il miglior episodio della serie, che dovrebbe trovare il giusto compromesso tra un carico emotivo a volte eccessivo e un minutaggio sempre troppo importante.

 

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