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Louie 5×07 – 5×08 – The Road: Part 1 – The Road: Part 2TEMPO DI LETTURA 6 min

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The road is not, for me, like an adventure. I’ve seen it, I’ve seen the whole country. I’ve met all the people. I’ve met all of them. So for me, now, the road, It’s not like an adventure. It’s like, uh…It’s like going to the toilet, It’s something I have to do.”

Con “The Road” si conclude questa quinta stagione di Louie, purtroppo più breve rispetto alle precedenti, ma non per questo qualitativamente inferiore. Nelle precedenti recensioni abbiamo sempre cercato di trovare un legame tra i vari episodi, quantomeno concettuale vista la totale assenza di continuità narrativa tra una puntata e l’altra, e da “Untitled” in avanti la mancanza di empatia di Louie si è elevata a tema centrale della grande commedia brillantemente diretta da CK. Un tema che puntualmente ha trovato la sua conclusione al termine di questo road trip in due episodi.
Già altre volte in questa stagione Louie si è trovato ad avere a che fare con persone bisognose d’aiuto, ingenuamente convinte del fatto che a lui importasse qualcosa dei loro problemi: Julianne in “Potluck“, Bart in “À La Carte“, Lenny in “Cop Story“, Bobby in “Bobby’s House” e Barbara in “Untitled“. E nella mente di Louie questa serie di bisogni si trasforma in una sorta di cannibalismo emotivo, ben rappresentato da quel Awful Being che fino a poche notti fa tormentava il suo sonno, trasformando così una richiesta d’aiuto in un atto di estremo egoismo, l’egoismo nel pretendere l’attenzione di chi ti sta volutamente ignorando.
Ecco che con “The Road” arriviamo a esplorare quel luogo in cui finiscono gli obblighi sociali nei confronti del prossimo, dove è bene fare la cosa giusta, ma solo nel caso non diventi una seccatura. Un luogo che certamente almeno una volta nella vita ciascuno di noi ha visitato personalmente. Proprio grazie a questo continuo relazionarsi con lo spettatore Louie è riuscita a distinguersi dalle buone commedie, quelle che si limitano ad intrattenere, diventando una grande commedia, il cui obiettivo deve necessariamente essere quello di fungere da specchio della realtà. Una realtà che spesso ci ha messo a disagio perché ci ha portato all’immedesimazione con determinati personaggi, o ancor peggio, con determinati comportamenti giudicati universalmente riprovevoli, ma che allo stesso modo ci ha strappato una risata, consci del fatto che se la vita fosse una commedia ci comporteremmo esattamente come Louie.
Nella prima parte, maggiore spazio viene concesso a Mike l’autista (interpretato da un ottimo Devin Ratray, che certamente conoscerete per questo ruolo) ragazzo sempliciotto affascinato dalla Grande Mela e fin troppo propenso al dialogo. In merito alla sopracitata aridità emotiva dimostrata dal protagonista appare certamente significativo lo scambio di battute tra lui e Louie, conclusosi con l’autista in lacrime, ma appare ancor più emblematica la scena della bambina dispersa in aeroporto. Fare la cosa giusta solo a patto che non comporti troppa fatica, ecco il messaggio distorto che questa prima parte vuole veicolare. Nonostante lui stesso abbia provato sulla propria pelle il dramma di perdere la figlia per colpa di una porta automatica (quarta stagione – “Elevator Part 1”), Louie non si spinge oltre lo sforzo minimo, quello considerato accettabile per non avere pesi sulla coscienza, lasciando la patata bollente nelle mani di qualcun’altro e impegnandosi molto di più nel recupero del bagaglio smarrito, nonostante sia evidente che del proprio vestiario non gli importi nulla.

La seconda parte ruota invece attorno ad un’altra figura: Kenny, un altro comico stand-up amante dell’umorismo becero e per questo nemesi artistica di Louie. L’indifferenza nei suoi confronti diventa odio in seguito alla presa in giro subìta sul palco, ma una volta messo di fronte alla realtà la reazione di Louie non può che essere disperata. “Farts are hilarious“, la presa di coscienza riguardo le battute sulle scorregge arriva poco dopo l’appellativo asshole datogli da Kenny, un appellativo che richiama a gran voce quell’auto-proclamazione d’inizio stagione davanti al suo annoiato dottore: “I’m a boring asshole now“. Kenny diventa così uno specchio in cui Louie vede un altro se stesso, dove divertimento e responsabilità non devono automaticamente escludersi reciprocamente e dove è possibile essere una persona diversa, magari anche piacevole, una volta ogni tanto.
La morte di Kenny in seguito al suo tentativo di eseguire un “upper-decker” può essere letta come il fallimento di quell’umorismo fortemente stigmatizzato da CK e considerato un insulto per tutti coloro che considerano la comicità un’arte e non un banale strumento per strappare una risata a prescindere dai contenuti. Louie dovrebbe concedersi una tregua, assaporando la vita e concedendosi ogni tanto una metaforica “battuta sulle scoregge”, accantonando anche solo per un attimo quella complessità artistica che nella vita di tutti i giorni si traduce in ansie ed eccessive preoccupazioni. Kenny invece in quelle battute letteralmente “di merda” ci sguazza ogni giorno, non è quindi una sorpresa che la sua fine giunga proprio in seguito ad una “cacata dal piano di sopra” (tecnica di cui tra l’altro ignoravo l’esistenza).
Infine non resta che parlare dell’unico segmento narrativo interamente positivo: la trasformazione di Louie nel generale Beauregard, rappresentazione di quella leggerezza sopracitata, grazie alla quale al protagonista è concesso, anche solo per pochi istanti, diventare un’altra persona. Attraverso questa temporanea fuga dalla realtà, che porterà al bellissimo scambio di battute finali tra Louie e sua figlia Jane, il comico vuole mostrarci come, anche dopo una brutta esperienza, sia possibile voltare pagina, facendo tesoro di tutto ciò che “la strada” ci ha insegnato. Nel suo caso sono l’originalità e l’amore incondizionato verso le proprie figlie a rappresentare una spinta verso il fatidico cambiamento.
Le speranze riposte in un nuovo inizio per non giungere alla solita scontata conclusione.

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Wednesday, Thursday, Friday, Saturday, Sunday, Sweating
  • Ottima interpretazione di Buzz McCallister Devin Ratray nei panni di Mike l’autista
  • You lied about Roger, man. He’s not dead, he’s right there
  • Il riferimento al celebre sketch sui Cinnabon fatto da Louie CK nel suo spettacolo “Shameless
  • La bambina lasciata al suo destino in aeroporto
  • Jim Florentine nei panni di Kenny, nemesi artistica di Louie
  • Those are my babies. Those are my fart babies
  • Il momento di evasione dalla realtà di Louie e il racconto finale alla figlia
  • Il numero ridotto di episodi in questa quinta stagione ha reso difficoltosa la gestione di una trama orizzontale ben delineata, offrendo per lo più episodi autoconclusivi, sebbene spesso concettualmente legati
È stata una stagione breve, eppure in questi otto episodi CK è riuscito ad alternare momenti comici a profonde riflessioni con una naturalezza degna dei migliori showrunner. Louie non è la solita comedy nata con l’obiettivo di impartire delle lezioni di vita. La morale diventa superflua, un espediente che non collima con il genere “dramedy” portato avanti dal comico. Realtà e finzione si fondono alla perfezione, lo spettatore viaggia in equilibrio sospeso tra questi due mondi e alla fine la cosa importante non è impartire una lezione, ma semplicemente raccontare una storia.
Sleepover 5×06 0.41 milioni – 0.2 rating
The Road: Part 1 5×07 0.43 milioni – 0.2 rating
The Road: Part 2 5×08 0.50 milioni – 0.2 rating

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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