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Recensione di Malcom & Marie
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Malcolm & Marie

Recensione di Malcolm & Marie, l'ultimo film Netflix diretto da Sam Levinson con Zendaya e John Washington

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La sera tra Marie (Zendaya) e Malcolm (John David Washington) prende una piega particolare quando i due iniziano a litigare dopo essere stati all’anteprima del suo film.

 

Il lockdown e le relative restrizioni sono state d’intralcio al mondo cinematografico a causa di sale chiuse, rinvii su rinvii e l’impossibilità di avere sul set tutta la troupe al completo. Già con i due episodi speciali di Euphoria (registrati durante l’emergenza COVID), Sam Levinson ha dimostrato non solo di utilizzare i mezzi (limitati) che i registi hanno in questo periodo a suo favore, ma anche di dare il suo meglio quando ha a disposizione due attori, un unico spazio ed una storia da raccontare.
Girato tra giugno e luglio del 2020, Malcolm & Marie riunisce buona parte della crew di Euphoria: dall’attrice protagonista Zendaya (che in questo film, assieme a John David Washington, ricoprono il ruolo di attori e produttori), la musica affidata al cantante Labyrinth e Levinson nel ruolo di regista, produttore e sceneggiatore. Uscito su Netflix il 5 febbraio, ha attirato l’attenzione su di sé grazie ad un crudo bianco e nero e ad una storia d’amore atipica.

A TRAGEDY


La coppia torna a casa dopo la prima del film di Malcolm, film che ha avuto riscontri positivi per la prima volta nella sua carriera. Lui è esaltato e ha voglia di festeggiare. Lei è accigliata e vuole solo andare a letto. Il motivo per il quale Marie non condivide la felicità del compagno in una sera così importante è presto detto: Malcolm si è dimenticato di ringraziarla durante il suo discorso.
Questa dimenticanza è la miccia che fa esplodere l’incendio tra i due e che li mette completamente a nudo. Da quel momento la casa diventa il ring di un incontro di boxe, dove i due si cercano, lottano, si allontanano per poi scontrarsi di nuovo.
Le poche pause non sono comunque abbastanza per una sceneggiatura estenuante che non lascia il tempo per metabolizzare quel che sta accadendo tra i due amanti. E che funziona esattamente perché non lascia respiro.
La loro storia d’amore assomiglia più ad una lotta tossica al massacro. Se l’egocentrismo di Malcolm vale per entrambi, Marie rappresenta la calma. Quella è casa sua e lo dimostra il togliersi il vestito da sera, struccarsi e farsi il bagno. Mentre lui è talmente preso da se stesso da sfilarsi a malapena la giacca. Marie non urla per sovrastare Malcolm. Ascolta, metabolizza e risponde. La scena del coltello lascia ben poche interpretazioni: è lei che ne impugna il manico, è lei a tenere il gioco.
Non c’è amore – sebbene si dicano fin troppo spesso quanto si amano – , il loro rapporto è basato sul potere che esercitano l’uno sull’altro. Il potere di ferire, il potere di dire quello che si vuole, senza nessun filtro dato dall’affetto o dal rispetto, sicuri che l’altro ci sarà ancora il mattino successivo.
Malcolm è il mitomane per eccellenza. Esalta il suo lavoro credendolo perfetto, credendosi perfetto e senza nessun margine di miglioramento. E Marie sa benissimo che l’unico modo per colpire il suo ego sia insinuare il dubbio in lui che non sia realmente bravo (“you’re mediocre“) e che le critiche positive al suo film non siano dirette a lui come regista, ma all’aver portato sullo schermo la storia di una ragazza tossicodipendente nera. Non è Malcolm ad aver fatto breccia nel pubblico, sono i film politici che piacciono.
Lui sa come ferire Marie ad un livello più profondo. Marie è una ex tossicodipendente che aveva il sogno di fare l’attrice. Malcolm prende le confidenze che la sua fidanzata gli ha dichiarato per rinfacciargliele quando litigano, insinuando quanto sia pazza e quanto la sua salute mentale in bilico lo preoccupi.

IT’S ABOUT SHAME AND GUILT


Il lavoro di Malcolm assorbe completamente qualsiasi altra argomentazione. Se il focus si concentra su Marie, ben presto la ragazza torna in secondo piano e la discussione si sposta inevitabilmente sul film di Malcolm. La sensazione che arriva ben presto è che Marie sia una sorta di coscienza dell’uomo, colei che insinua il seme del dubbio e che lo porta ad un punto limite per farlo ragionare su chi vuole essere e su quale sia il contributo che può dare all’industria cinematografica.
Durante la cena in solitaria, Malcolm urla insulti a Marie che è chiusa in camera da letto. Malcolm in realtà sta urlando davanti ad uno specchio. L’assottigliamento tra i due personaggi è evidente anche quando lui le rinfaccia di essere ancora dipendente, ma di essere passata dalla droga a tranquillanti ed alcol. Ma la ragazza per tutta la sera beve acqua, è Malcolm che continua a versarsi bicchieri di whisky.
Il regista si concentra sull’opinione che “la bianca di LA Times” ha su di lui, passando dall’esserne entusiasta all’arrabbiato quando esce la critica scritta dalla stessa giornalista. Il film rispecchia il regista? Il film dal titolo sconosciuto di Malcolm viene letto in chiave politica perché lui è un uomo nero e viene accostato a registi neri famosi per la loro critica sociale, con Spike Lee in cima alla lista. Il protagonista ne prende le distanze perché il cinema e l’arte non devono essere per forza politici. Il fatto che lui sia nero non vuol dire che tutto quel che mette sullo schermo è una critica alla società americana nei confronti degli afroamericani. Ma l’essere paragonato a Spike Lee lo onora. E in cantiere, gli ricorda Marie, ha un biopic su Angela Davis.
Quanto c’è del regista in un film è un discorso vecchio quanto il cinema stesso. E come il cinema, si è evoluto e ha preso differenti sfaccettature. Dall’idea di autore nel cinema francese degli anni ’50, fino al ribaltamento di ruolo tra regista e pubblico nel postmoderno. Ma in tempi contemporanei la storia e l’identità del regista viene indissolubilmente legata ai suoi film. Marie insinua che nelle sue scelte registiche trapela il fatto che sia un uomo etero perché in una scena clou la protagonista è a seno nudo. “I just thought would the scene have been a bit different if you were a woman?” gli chiede Marie.

It’s literally the basis of your art and it is the reason why all these people calling you brillant and brave and fearless.
[…] You have nothing new to say.

Quanto c’è di Levinson in Malcolm & Marie? Non è difficile credere che il film sia uno sfogo di Levinson. Euphoria, il teen drama da lui creato e diretto, ha come protagonista e voce narrante Rue (interpretata da Zendaya) una ragazza che lotta con una dipendenza da droga e delle patologie tra cui la depressione. Marie non solo è una ex tossica, ma è la musa di Malcolm. Una musa non riconosciuta e non solo nel discorso standard alla prima del film, ma soprattutto da Malcolm stesso che continua ad affermare quanto ci sia di suo nella sua opera, e quanto poco contributo abbia dato Marie.
Il filo conduttore è talmente evidente da sembrare un sequel della serie tv.
Che si guardi il film come un drama romantico o una riflessione registica, i due attori riescono brillantemente nel loro ruolo. Zendaya non è Rue, sebbene i due ruoli combaciano perfettamente, ma  porta sullo schermo una protagonista da cui traspare perfettamente il suo trascorso, ma che non molla fino ad essere volutamente asfissiante. John David Washington è ingombrante con le sue urla, le sue movenze e il troppo spazio che occupa continuamente, anche nelle scene in cui non è presente.


Il film di Levinson funziona. Funziona nella sua tragicità, sia quando vuole raccontare una storia d’amore travagliata sia quando si parla di cinema, e di cosa voglia dire lavorare in questo ambito. Se il suo meglio lo esprime sulla tastiera, anche dietro la macchina da presa riesce a catturare le intenzioni e le dinamiche tra i personaggi.

 

TITOLO ORIGINALE: Malcolm & Marie
REGIA: Sam Levinson
SCENEGGIATURA: Sam Levinson

INTERPRETI: Zendaya, John David Washington
DISTRIBUZIONE: Netflix
DURATA: 106′
ORIGINE: USA, 2021
DATA DI USCITA: 05/02/2021

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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.

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