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Narcos: Mexico 2×02 – Alea Iacta EstTEMPO DI LETTURA 5 min

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The first rule of interrogation: keep the subject in the dark. Make him think you already know everything. But I can see that you know nothing. Well, here’s what I know. That you kidnapped a federal policeman in public. You drove to this location without detours. A total driving time of 14 minutes. So I know that I’m very close to where I was taken. I know that you left witnesses alive. Witnesses who heard you speaking English. Witnesses who will talk. More importantly, I know you lack the will for what you’re doing. You couldn’t kill even at the risk of your own lives. And now, you expect me to be afraid of you? So let me tell you what is going to happen. It is 7:00 a.m. My people will soon turn this entire city upside down looking for me. You cannot move me until dark. I believe they will get here long before then. And when they do, I won’t have told you a thing. You don’t have me. I have you.

Queste le parole con cui il comandante Verdin dà inizio alla seconda puntata di Narcos: Mexico. Stacco sulla celebre e ormai inconfondibile sigla “Tuyo” e si comincia. Molte sono le vicende narrate in questo episodio – e non potrebbe essere altrimenti visto che dura 64 minuti – ma non tutte degne di essere ricordate al pari di quella che interessa proprio il discorso di apertura. Un inizio di puntata decisamente accattivante che mostra, ancora una volta, quanto sia forte il potere dei criminali ad oggetto di questa serie, rispetto a quello di chi tenta di dar loro la caccia.
La DEA che si muove tra i narcotrafficanti di Sinaloa, Tijuana e Città del Messico non è la stessa DEA che riuscirà a catturare Pablo Escobar: il manipolo di poliziotti e mercenari guidati da Walt Breslin assomiglia più ad un gruppetto poco organico di piccoli criminali disorganizzati che cerca di fare il passo più lungo della gamba e che, soprattutto, ha di fronte un vero cattivo che, ironia della sorte, hanno istruito proprio loro. Un aspetto interessante del franchise Narcos è che, grazie al fatto che la voce narrante è sempre un poliziotto della DEA, si mettano spesso in luce – se pur senza approfondire – le ipocrisie e i paradossi dei legami e delle azioni delle istituzioni degli Stati Uniti in giro per il mondo (in questo caso la School Of Americas).
È chiaro e ben descritto il dramma che vive il gruppo di Breslin nell’affrontare la questione della tortura con tutti i classici dilemmi morali che si porta dietro nella narrativa. Sicuramente il personaggio di Breslin, per quanto visto finora, suscita in chi guarda un interesse maggiore rispetto a Kiki Camarena; è ancora presto per capire se avrà la forza di sostituire l’agente Peña ma sicuramente il carattere solitario, malinconico e disincantato, con tendenze a sfociare nell’illegalità quando necessario, c’è.
Anche questa stagione sembra mantenere la vincente, finora, struttura narrativa che permette al pubblico di vedere le vicende sia dal punto di vista della polizia che dal punto di vista dei narcotrafficanti. In questa puntata, grazie all’incalzare del suo possibile nuovo socio in affari la serie prova ad approfondire un po’ di più l’inafferrabile Miguel Félix Gallardo. L’inappagato e inappagabile capo dei capi, primo “imperatore” del narcotraffico messicano sa di poter raggiungere risultati ancora più ambiziosi, cambiando gli equilibri con i colombiani di Calì su cui non riesce ad avere il potere che vorrebbe. La fama del suo temperamento e della sua ambizione lo precede quando incontra Don Juan per stringere un’alleanza e sembra essere contemporaneamente la causa del suo iniziale rifiuto e poi il motivo che lo convince a cedere.
Tutti si chiedono cosa voglia Félix. Di certo cosa distingue lui da un narcotrafficante come Don Juan o come sarà Pablo Escobar è l’indifferenza verso i rapporti umani. Impagabile la sua espressione nei confronti dell’affetto e del rispetto che il “popolo” di Don Juan nutre nei confronti di quest’ultimo: un legame che Félix sarebbe interessato a rafforzare solo se servisse ad ampliare il “negocio“. Forse anche nell’oscurità di questo personaggio, così diverso caratterialmente da Escobar, risiede quello che sembra un minor approfondimento nella caratterizzazione.
Al netto di vicende e personaggi quello che sicuramente Narcos: Mexico continua a fare molto bene è calare questi ultimi in un’atmosfera e in un’ambientazione che non smettono mai di affascinare, grazie anche al sapiente utilizzo della colonna sonora, impeccabile accompagnatrice delle scene più significative, ma anche della regia e della fotografia. A conclusione di un commento comunque positivo sulla puntata si sottolinea solo, non è la prima e non sarà l’ultima volta, che si stia abusando senza effettiva necessità della pratica ormai di tendenza nei servizi di streaming, svincolati dalle logiche della televisione lineare, di estendere la durata delle puntate a piacimento. Quelli che almeno ad oggi sembrano solo dei riempitivi – la storyline di Acosta in Texas o la lite in discoteca tra i gruppi di Sinaloa e Tijuanatra – sarebbero giustificati se non andassero a sommarsi a una puntata che già senza di essi poteva considerarsi più che completa.

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Scene tra Félix e Don Juan
  • Breslin, ottimo “sostituto” di Kiki
  • Grande resa dell’ambientazione tra scenografia e musica
  • Eccessivo timing
  • Storyline al limite del filler

 

Attendendo con fiducia un exploit, ci si limita in questa sede ad apprezzare una puntata soddisfacente ma non abbagliante.

 

Salva El Tigre 2×01 ND milioni – ND rating
Alea Iacta Est 2×02 ND milioni – ND rating

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