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Perry Mason 1×08 – Chapter EightTEMPO DI LETTURA 5 min

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I am declaring a mistrial.

Come da tradizione di ogni recensione di un season finale, è d’obbligo un’analisi più generale del viaggio compiuto dalla serie sin dalla season premiere. Bisogna ammettere che la prima stagione di Perry Mason (visto che ne è già stata confermata una seconda) si chiude piacevolmente con un picco sia di spettatori che di trama.
Se da un lato il milioncino di spettatori per la prima visione può sembrare alquanto basso visto il potenziale di HBO, dall’altro il numero complessivo è andato costantemente a crescere nel corso delle puntate (un po’ come la bellezza della serie), il tutto senza considerare le repliche e la visione sulle altre varie piattaforme offerte dal network. Il che si traduce a tutti gli effetti come un successo, anche meritato.
I due showrunner, Rolin Jones e Ron Fitzgerald, si sono decisamente presi il loro tempo per riadattare l’iconico personaggio al 2020 e, nel farlo, hanno costruito un prima e un dopo durante la stagione. Stagione che ha visto nella morte di E.B. Jonathan il vero punto di svolta con il passaggio (se si vuole anche eccessivamente veloce) di Perry Mason dal ruolo di investigatore a quello di avvocato. Da “Chapter Five” in poi tutto cambia, si capisce finalmente il gioco di Jones e Fitzgerald, tutti i character cominciano finalmente ad interagire in maniera più sostanziosa e, a spiccare sopra tutto e tutti, arriva il tanto agognato processo.

Perry: On the 26th of December, 1931, the day after Christmas, a man broke into Emily Dodson’s home and took her child. We all know what happened next.
I took this photograph when I was then an investigator on this case. And I stood over Charlie Dodson’s body in… disbelief. Because little boys who look like this… shouldn’t end up like this. So what do we do when something as horrific as this happens? Because we have to do something, right?
We have to be able to feel that we can fix this. So here we are. You, the jury, me, now the lawyer, and all of us wanting desperately to fix this.
[…] If I thought for one second, truthfully, that Emily Dodson was guilty, I would walk her to the gallows myself. If I thought that was the way to fix it, I would have no choice, because I now stand for the law. And the law tells me, if you are guilty, you must pay for your crime.
Emily Dodson is innocent.

Proprio il processo rappresenta, anche in questo season finale, la parte migliore dell’episodio, quasi come se la scrittura dei due showrunner si esprimesse al meglio proprio nelle arringhe in aula (il monologo, solo parzialmente citato qui sopra per motivi di spazio, è veramente mastodontico), nello scambio di accuse e, più in generale, nel botta e risposta anche con il giudice. Il tutto funziona veramente bene: la loquacità di Mason (oltre che l’indiscussa bravura di Matthew Rhys) legata alla frenesia del dibattito, come sempre volto a conquistare la giuria, fa facilmente breccia anche unanimemente nel pubblico; in più, rispetto alle dinamiche piuttosto lente fuori dall’aula di tribunale, il ritmo si fa più sostenuto e la serie si tramuta in un gioiellino. Come a dire: “si è fatta tanta fatica per arrivare fin qui ma guardate che goduria ora”.
Anche quest’ultima puntata però, come le precedenti sette, non si esenta dal presentare un minutaggio eccessivo rispetto alle vere e proprie potenzialità date dalla sceneggiatura. Si è ormai capito che è una scelta voluta anche per riproporre la vita più lenta della Los Angeles degli anni ‘30, oltre che crogiolarsi un po’ troppo nelle atmosfere e in alcuni silenzi di troppo.

Perry: Look, I know we’ve all had a particularly fucked up Easter Sunday. Almost killed in a near riot. We’re in court tomorrow. He is a detective that has killed the witnesses that can finger him for the same crime he himself is investigating! We have to go after him! Come on!

Facendo un passo indietro e guardando la “big picture”, tutto fa parte dello stile molto grigio (per non dire noir) scelto per riproporre Perry Mason. Non c’è praticamente alcun personaggio senza macchie nel proprio curriculum, la perfezione non è giustamente di casa e così non può che essere anche il finale, che altrimenti risulterebbe troppo banale con un happy ending qualsiasi.
Chiudere un processo per “mistrial” non può essere considerata come una vittoria in quanto l’innocenza di Emily Dodson non è stata provata, così come la colpevolezza di Joe Ennis non è mai stata nominata di fronte al giudice. La giustizia arriva parzialmente per altre ragioni esterne a quelle della legge americana (Emily riceve “in adozione” un nuovo bambino; Ennis viene ucciso dal suo partner; Paul Drake lascia la polizia corrotta e diventa detective per Mason; Sister Alice si è liberata dalla prigionia della madre e del suo culto) ma non può dare la stessa soddisfazione che avrebbe avuto una vittoria in aula. E d’altronde è anche più che accettabile, nonché più realistica, vista una performance comunque molto sopra gli standard per il debuttante avvocato Mason ed una generale tendenza della serie a far accettare il compromesso ai propri personaggi. Un altro finale non avrebbe dato questo realismo.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • I am declaring a mistrial”: finale agrodolce nel puro stile presentato dalla serie
  • Arringa finale di Perry alla giuria veramente ben fatta
  • Ennis ucciso: giustizia è stata fatta in qualche modo
  • Perry e il confronto finale con Sister Alice
  • Le scene in aula valgono da sole la visione
  • La nuova carriera di Perry va direttamente a ricollegarsi con quella della serie originale
  • Il minutaggio (64 minuti) rimane il tallone da killer d’Achille della serie visto che appanna un po’ la visione

 

“Chapter Eight” chiude una stagione partita abbastanza in sordina, per motivi relativi alla costruzione del Perry Mason conosciuto da tutti, ma che alla fine si rivela essere un prodotto ben più che discreto. Perry Mason dà il meglio di sé in aula di tribunale, si è visto e questo non può che far ben sperare per la prossima stagione.

 

Chapter Seven 1×07 1.04 milioni – 0.1 rating
Chapter Eight 1×08 1.11 milioni – 0.1 rating

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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.

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