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Prison Break 5×01 – OgygiaTEMPO DI LETTURA 7 min

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I’m getting you out of here.”
“That’s impossible…”
“Not if you designed the place, it isn’t.”

Era il lontano 2006, gli ultimi giorni di Novembre. La prima stagione di Prison Break volgeva al termine e il recensore che vi sta “parlando” attraverso questa recensione rimaneva senza parole, insieme ad oltre un milione di italiani, sul quel “We run!” (o meglio, quel “corriamo!” assaporato al termine del consueto appuntamento del giovedì sera su Italia1) che, sadicamente, lasciava lo spettatore basito, ignaro del fatto che in America, già da tre mesi, la seconda stagione era cominciata. Attualmente la suddivisione stagionale di un telefilm è cosa nota, le puntate della vostra serie televisiva preferita sono facilmente reperibili anche in streaming e la connessione internet consente di scaricare qualsiasi episodio in pochi minuti. Bella la vita.
Nel lontano 2006 le cose non erano così semplici. Wikipedia era ancora una novità e i poveri uomini delle caverne dell’epoca non avevano a disposizione smartphone o altri dispositivi per accedere alla conoscenza infinita fornita da Dio Internet, dunque ben poco si sapeva sulla programmazione americana; inoltre lo streaming non era un’opzione ragionevolmente considerabile e scaricare file di grandi dimensioni era privilegio riservato a pochi, e certamente non a coloro che disponevano ancora di una connessione a consumo.
La serialità televisiva americana, quella che in qualche modo cercava di replicare una qualità tecnica ed estetica fino a quel momento vista solo al cinema, viveva una fase di intensa accelerazione. Le serie d’importazione, in particolare americane, cominciavano a riempire la prima, ma soprattutto la seconda serata, ma i continui slittamenti nelle ore notturne o addirittura in giorni diversi dalla programmazione stabilita, spesso contribuivano all’insuccesso di uno show. Tanto per farvi capire la situazione, quando I Soprano, nei primi anni Duemila, venne trasmessa in Italia, si rivelò un fiasco clamoroso proprio a causa di questi spostamenti senza preavviso. Ironico se consideriamo che è proprio l’Italia la patria dei protagonisti del telefilm.
E così, mentre il Dr. House con il suo carisma rivoluzionava il medical drama, lo studio McNamara/Troy sconvolgeva il pubblico con il suo erotismo spinto e gli Oceanic Six ci portavano a bestemmiare ogni tipo di divinità esistente, Paul Scheuring regalava uno degli incipit narrativi più fighi di sempre, condito da personaggi divenuti oramai iconici e da un utilizzo quasi sfrontato del cliffhanger, studiato secondo la regola del “se qualcosa può andare male, sta’ pur certo che andrà peggio”. Il risultato fu una stagione, la prima naturalmente, perfetta sotto ogni punto di vista e, ancora oggi, un capolavoro assoluto dal punto di vista del coinvolgimento emotivo dello spettatore. La seconda stagione, seppur calante rispetto alla precedente, riuscì a mantenere alto il livello d’interesse poi, però, giunse la stagione 2007/2008, spauracchio di tutti gli amanti della serialità televisiva, che portò con sé il tanto odiato sciopero degli sceneggiatori, causa principale della rovina di molte serie di successo. Al disastro della terza stagione seguì un’annata ancora peggiore, alla quale venne affidato il compito di dare una chiusura dignitosa alla serie, ma che invece si configurò come una sorta di big reset da cui ripartire per allontanare il parziale fallimento dell’anno precedente. In seguito al presunto series finale gli autori vollero aggiungere un film per la tv intitolato The Final Break, sunto perfetto della degenerazione qualitativa della serie nei suoi quattro anni di programmazione.
Otto anni dopo, approfittando di un momento particolarmente favorevole per il revival, Paul Scheuring tenta così di dare un’ultima strizzata alla sua gallina dalla uova d’oro, progettando un’altra (speriamo sia anche l’ultima) evasione, questa volta dal carcere di Ogygia, nello Yemen. Difficile dare nuova linfa vitale a un racconto già concluso, al termine del quale ogni personaggio era stato sistemato e ogni storia aveva raggiunto il suo naturale punto d’arrivo. Ancora più difficile non scadere nel ridicolo o nel trash più becero. Eppure, al termine di questa première, il sentimento che pervade il fan di lunga data non è il totale disgusto, bensì una sana curiosità nei confronti del nuovo incipit narrativo: un’evasione da un carcere, certamente, ma anche la fuga da un paese ad un passo dal collasso, una sfida nuova per i fratelli Burrows/Scofield.

“I died seven years ago. Left behind a brother, a wife, a son. But the dead talk, if you listen. They’re there with you, reaching out, trying to tell you something. Because not all deaths are the same. Some are real, some are a story. Question is…do you believe the story? Was the man who died who you thought he was? The dead talk, if you listen.

Mettendo per un attimo da parte la commozione provata dal recensore nel rivedere i propri eroi dopo anni e anni di assenza dal piccolo schermo, Ogygia si presenta come pura e semplice puntata di presentazione e dunque non lascia grossi spazi di manovra per quanto concerne un’analisi critica dell’episodio. Vi sono comunque alcuni elementi sui quali vale la pena soffermarsi.
In primis la forte componente religiosa, onnipresente esattamente come il Dio cristiano e veicolata dagli autori attraverso vari tipi di rappresentazione. A cominciare dalle parole utilizzate da Michael per indirizzare il destinatario della sua lettera verso la prigione di Ogygia: “By your hand you shall know the glories of your progeny and our world will be made right forever“, parole che certamente rimandano a un significato di tipo religioso e che sembrano inoltre fare riferimento a T-Bag (la mano) e al piccolo Mike (la progenie). Con la tomba vuota scoperta da Lincoln – soprassediamo sulla palla fatta con fogli di giornale all’interno della bara – gli autori mirano a richiamare in maniera abbastanza evidente la resurrezione (“Resurrection”, non a caso, è il nome dello special su Prison Break andato in onda il 4 marzo scorso) di Michael nel suo nuovo alter ego Kaniel Outis, nome il cui significato non lascia spazio a dubbi su un possibile rimando religioso: Kaniel significa infatti “Dio mi sostiene”, mentre Outis, come sottolinea il medico che opera T-Bag, è l’espressione greca usata per “nessuno”. Infine abbiamo il cammino di purificazione di C-Note, stanco a tal punto di vivere nell’immoralità da unirsi alla jihad, intendendo il significato originale del termine, una lotta contro la tendenza umana all’egoismo, e non la sua connotazione negativa con la quale si è soliti indicare, erroneamente, la furia del terrorismo islamista.
Per quanto riguarda il complotto celato dietro la carcerazione di Michael, confermato dall’originale tentativo di omicidio ai danni di Lincoln (che con quel volo plastico conferma la sua fama di Immortale) appare pressoché impossibile azzardare delle ipotesi. Tanto meno osare congetture sulla presunta perdita di memoria di Michael – plausibilmente un modo per tenere fuori suo fratello dalla faccenda, al pari della decisione di contattare T-Bag al posto di Lincoln – o sull’intervento di protesi eseguito su Bagwell. Uno spaesamento spettatoriale certamente gradito, a riprova del fatto che Prison Break, anche a distanza di anni, nasconde ancora qualche asso nella manica in grado di stupire i suoi fan di lunga data. Nulla a che vedere con quel capolavoro che fu la prima stagione, per carità, ma tenendo conto dello scempio compiuto da altri recenti tentativi di revival, certamente questo può essere giudicato come un avvio stagionale del tutto incoraggiante.

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Incipit narrativo buono
  • I personaggi conservano la propria magia
  • Ottimo il cambio di location e il tentativo di trattare tematiche attuali
  • Attenzione dello spettatore catturata in un lampo
  • Il figlio di Michael parla e si comporta esattamente come un adulto
  • Lincoln: l’unico vero Immortale
Nel corso dei suoi 42 minuti, “Ogygia” riesce nell’intento di catapultare nuovamente lo spettatore all’interno dell’universo narrativo di Prison Break, operando però un rinnovamento dal punto di vista contestuale che, almeno in parte, scuote le fondamenta di una storia nuovamente incentrata sul tema dell’evasione. Per ora non ci resta che attendere e vedere dove la serie vuole andare a parare, nel frattempo, per rimanere in tema, ringraziamo l’Altissimo per non aver lasciato a quell’abominio seriale di Breakout Kings l’ultima parola sul franchise.

Killing Your Number 4×22 3.32 milioni – 2.0 rating
Ogygia 5×01 3.83 milioni – 1.5 rating

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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