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The Stand 1×09 – The Circle ClosesTEMPO DI LETTURA 7 min

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The-Stand-1x09“I wish I could tell you every story has a happy ending. Truth is, most stories don’t end at all. Not really. Feels like every day we’re making progress. But the question is where are we headed and how much farther do we have to go before we get there?
How long before we go from rebuilding back to just living again? And how long after that before this place goes back to being just like before? Sometimes it feels like Captain Trips was like flipping a breaker switch. Everything’s new, a chance to do it all different. But every day I wonder… will we? Will we do anything different this time? Can we, even? Are we capable? Which brings me to you.”

Prima di addentrarsi nella recensione di questo episodio finale di The Stand risulta d’obbligo una piccola premessa. A distanza di 12 anni dalla prima pubblicazione (avvenuta nel 1978, giusto ricordarlo per mettere in prospettiva l’intero racconto), venne pubblicata una “Edizione Integrale” in cui venne aggiunto una sorta di epilogo intitolato ovviamente “Il Cerchio Si Chiude”. Il finale vero e proprio di The Stand (o de L’ombra Dello Scorpione, se si tiene in mente la traduzione italiana) è rappresentato dalla deflagrazione della bomba a New Vegas, dal sacrificio estremo di una parte del direttorio di Boulder, dal ritorno di Stu e Tom, dall’incertezza verso il futuro di Frannie. Volendo essere puntigliosi, quindi, sarebbe bastato costruire un ottavo episodio più lungo per poter comprendere l’intero arco narrativo originale e tralasciare in toto questo epilogo che mette in evidenza alcuni degli elementi negativi principali di questo ennesimo adattamento degli scritti di King.

UN PRODOTTO TENUTO IN GABBIA


Come un animale allo zoo, la narrativa di King viene ancora una volta tenuta in cattività, castrata brutalmente e messa in scena alla bene e meglio regalando un prodotto sì di intrattenimento, ma ben lontano dal romanzo a cui, volenti o dolenti, si torna per fare un confronto. Ad essere stato lasciato in disparte è sicuramente la caratterizzazione dei personaggi. Fatta eccezione per Frannie Goldsmith e Stu Redman, l’intero parco di personaggi viene presentato in maniera più che approssimativa: Nick Andros relegato a pochi minuti nascosti in un episodio qualsiasi; l’evoluzione di Larry Underwood completamente nascosta al pubblico; Glen Bateman nemmeno preso in considerazione; meglio tralasciare Ray, punto già evidenziato nella precedente recensione; Trashcan Man deplorevolmente menzionato solo per necessità narrativa e non per altro. Harold e Nadine rappresentano una piccola eccezione visto e considerato che in conclusione di storia riescono a racimolare minutaggio (in particolar modo Harold, anche grazie alla lettera lasciata accanto al proprio corpo esanime prima di uccidersi). Lo sconforto nasce alla conclusione di questa puntata perché se in fase di produzione si è deciso di preferire il capitolo “Coda: Frannie And The Well” ad una maggiore presentazione dei personaggi qualcosa di sbagliato in fase riflessiva tra gli sceneggiatori (tra cui King) deve esserci stato. The Stand è un romanzo che si compone di circa 1400 pagine, davvero si era pensato di poter concentrare tutto il prodotto in meno di 9 ore di girato?
Il primo episodio, nonostante la decisione di partenza in media res decisamente discutibile, lasciava ben sperare visto il taglio dato alla narrazione. The Stand non è una storia riguardo ad un virus mortale che stermina la popolazione; o meglio, Capitan Trips rappresenta il punto di partenza per affrontare la capacità dell’uomo di sopravvivere, della sua ricerca di un nuovo appiglio per poter andare avanti (Flagg o Mother Abagail), dei cambiamenti sociali e della ricostruzione. Si tratta sì di una lotta tra bene e male, di base, ma il nocciolo della storia ruota attorno all’essere umano, alla sua capacità di prendere decisioni giuste o sbagliate e per questo di essere perfettibile.

“When you got here, you were perfect. Seven pounds, six ounces of everything I never knew I always wanted. Everyone broke out the liquor.
Just about all the booze we’d been hoarding, raised in a toast to you, to the future you promised. It was a hell of a party. And then…Dr. Wen and I tried telling each other it was probably just croup or something. Even regular flu. Anything but that. But then, your neck started to swell. As soon as it was clear you had Trips, we all asked ourselves the question. 7.3 billion people caught Captain Trips. 7.3 billion people died. Not one person recovered. There was no hope. How could we let you suffer?”

L’UOMO IMPARA DAI PROPRI ERRORI?


Si tratta di un aspetto che “The Circle Closes” affronta, ma in maniera decisamente tardiva rispetto alla tabella di marcia. Il monologo iniziale di Frannie ed il dialogo tra la stessa e Stu sull’improbabilità del futuro sono gli unici punti meritevoli d’attenzione dell’intera puntata, mentre del resto ben poco rimane. Flagg si riconferma una presenza assidua nel momento in cui il terrore inizia a farla da padrone dimostrando come il timore e la paura degli altri nei suoi confronti lo renda potente e forte (dettaglio già mostrato in “The Stand”).
All’esterno di Boulder si respira un’aria di incertezza, mancanza di sicurezza e terrore: per quanto la serie non abbia deciso di incedere eccessivamente sulla tetricità delle città semideserte, vedere Stu tra gli scaffali di un minimarket vandalizzato e semibuio, riescono a trasmettere la giusta angoscia. Forse si tratta anche di un riflesso condizionato dovuto alla visione di prodotti in stile The Walking Dead, dove il jump scare ancora trova ampio spazio come elemento di intrattenimento.

“I hate that the notion ever crossed my mind, but it feels important to tell you that it did. But there was no way. I just couldn’t. I know Glen would say it was selfish to let you keep suffering to spare my conscience. Maybe he’d be right. I don’t know. No one had ever heard of someone improving once they caught Trips. Everyone we’d seen or heard about just got worse and worse until they died.
Even when I knew we had you back, I couldn’t shake the image. There you were, surrounded by all those empty cribs. Of course, they won’t stay empty. Jen and Tyler Curtis’ baby was just ten weeks behind you. He came early. But he never got Trips. First baby born to two immune parents. So far, so good. Maybe there’s hope for us yet.”

UN EPISODIO NON NECESSARIO


A conti fatti, per quanto mostrato, “The Circle Closes” rappresenta un capitolo non necessario, più che deludente. Molti aspetti risultano suppellettili inutili: la comparsa di una giovane ragazza dotata di poteri mistici (una nuova Mother Abagail?); Flagg e il suo arrivo presso la tribù primitiva spiata in precedenza con Frannie; il desiderio di mostrare il mondo al di fuori di Boulder.
Si percepisce il desiderio di costruire un messaggio di nuova speranza verso l’umanità (Frannie e Stu ed il loro compito di ripopolare la Terra, novelli Noè dopo il diluvio universale), tuttavia come detto in precedenza il tutto poteva essere orchestrato in maniera differente dando maggiore spazio ai personaggi lungo il percorso. E la scelta di mostrare il ritorno di Flagg e la “reincarnazione” (o come la si voglia vedere) di Mother Abagail, a che pro? Sottolineare come Bene e Male trovino sempre il modo di manifestare all’uomo la propria presenza riuscendo a fare ritorno nei destini dell’umanità, forse. Ma si tratta di una messa in scena debole e che anzi lascerebbe quasi intendere l’idea di continuare il progetto attorno ai romanzi di King (la saga della Torre Nera ancora aspetta giustizia…). Un’idea presto frantumata visto e considerato che The Stand rappresenta a tutti gli effetti una miniserie a cui non verrà dato seguito.
Ma la delusione non c’è attorno ad un prodotto che è riuscito ad imbarcamenarsi in maniera più che convincente tra misticismo, psicologia e sociologia (spiccia). Il disappunto nasce dalla percezione di ritrovarsi di fronte ad un episodio non necessario, come quando un caro amico si spinge oltre con una battuta eccessiva ed il resto della compagnia non può fare altro che guardarlo con occhi torvi e carichi di disappunto lasciando cadere sull’accaduto un velo di imbarazzo.

“Be true. Stand.”

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Il monologo di Frannie
  • Il ritorno di Stu
  • Il dialogo tra Stu e Frannie riguardo il futuro
  • In pratica i primi quindici minuti scarsi di puntata…
  • …che potevano benissimo essere accorpati alla precedente puntata per concludere in maniera ben diversa (e più convincente) questa miniserie

 

Una puntata non necessaria che lede quanto di buono fatto, ma aiuta ad evidenziare i già predetti elementi negativi di The Stand. Arriverà mai il giorno per un adattamento televisivo degno di questo nome per un romanzo di Stephen King? La ricerca continua.

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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.

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