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The Umbrella Academy 1×03 – Extra OrdinaryTEMPO DI LETTURA 5 min

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I didn’t feel like a superhero up there, but those few moments when my whole world was glowing, I felt maybe I was meant to be there.

Da qualche anno a questa parte, complice anche la fulminea ascesa e diffusione delle piattaforme di streaming che oramai, volenti o nolenti, esercitano un’attrazione gravitazionale sulle nostre vacue esistenze terrene, aggiungendo la teledipendenza alle nostre già numerose assuefazioni, il filone supereroistico, quantomeno quello televisivo, ha subìto un radicale ed evidente mutamento. Si tratta di un mutamento non soltanto estetico – basti pensare a serie come Daredevil e ai suoi porno-piani sequenza – ma anche formale, deviando dal consueto schema “il cattivo arriva e vuole distruggere il mondo/il buono arriva e gli fa il culo” che tanto ci piaceva quando eravamo bambini, virando invece verso la cara buona vecchia introspezione.
In realtà, molti amanti del fumetto ci terranno a fare presente che, fin dal principio, dietro ogni supereroe si è sempre nascosto un normale essere umano, con problemi, ansie e frustrazioni comuni, con le quali il lettore (o spettatore in questo caso) avrebbe potuto empatizzare. Verissimo, niente da dire a riguardo. Se però, per un attimo, torniamo con la mente agli anni in cui alcool, droghe e triste sesso occasionale non facevano parte delle nostre vite e la nostra unica preoccupazione era quella di svegliarci alle 8 di mattina per guardare il cartone di Batman su Canale 5, l’elemento che ci sovverrà alla mente non sarà certo l’introspezione, bensì Batman che prende a mazzate il Joker dopo una lunga ed estenuante giornata passata a lanciare rampini dalla cintura e disinfestare la bat-caverna. Analisi interiore sì, ma soprattutto cattivi gonfiati di mazzate. Anzi, di bat-mazzate.
E dunque, tutto questo pippone per dire cosa? Si tratta forse di una lunga ed inutile digressione ideata allo scopo di raggiungere il numero minimo di battute necessarie alla pubblicazione della recensione? Forse. Ma, a prescindere da congetture e inutili speculazioni, questa lunga premessa vuole sottolineare quanto The Umbrella Academy riesca, anche in episodi dalla natura fortemente transitoria come “Extra Ordinary”, a dosare in maniera impeccabile componente action e approfondimento caratteriale dei personaggi, senza per forza sacrificare una delle due a discapito dell’altra. Senza contare, inoltre, la “linea comica” alla Boris, evidentemente portata avanti dal Klaus di Robert Sheehan – in pratica il fratello emo di Nathan di Misfits – che contribuisce ad alleggerire quell’atmosfera cupa che probabilmente, senza un’occasionale smorzata qua e là, rischierebbe di rendere eccessivamente pesante la visione allo spettatore medio – quello che a forza di sorbirsi serie sui supereroi ha sviluppato un odio tale verso questi ultimi da diventare il super-villain del proprio condominio.
Non stupisce dunque che per i primi 40 minuti il focus della puntata sia rivolto all’approfondimento delle complesse dinamiche familiari che legano i protagonisti, in particolare il rapporto con la madre – al centro di un cliffhanger un po’ telefonato ma che in maniera del tutto inaspettata aggiunge anche un po’ di fantascienza vecchio stampo ai già tanti filoni buttati all’interno del calderone – o la (quantomeno apparente) mancanza di superpoteri che da sempre tiene 7 fuori dall’attività di famiglia, se così si può chiamare. Ogni personaggio, a prescindere dal suo ruolo all’interno delle vicende o dallo stile di vita perseguito negli anni passati lontano da casa, appare evidentemente in cerca di un posto all’interno del mondo – emblematica in tal senso la citazione in apertura di recensione – e, come già abbiamo evidenziato in precedenza, non si tratta di nulla di nuovo per quanto concerne il filone supereroistico. La serie non inventa nulla, ripercorre esattamente le dinamiche narrative di mille altre produzioni appartenenti allo stesso genere, noncurante di apparire allo spettatore medio sopracitato una copia in chiave grottesca degli X-Men – senza contare che nel cast abbiamo pure Ellen Page, che proprio nella saga cinematografica degli X-Men ha interpretato Kitty Pride – poiché, a differenza di ciò che accade ai mutanti di Xavier, il conflitto non riguarda assolutamente la discriminazione o l’emarginazione del “diverso”, bensì la difficoltà di accettare se stessi e i cambiamenti legati a un corpo che non ci appartiene. Tematica per alcuni versi più “leggera” e in grado di creare un’empatia quasi immediata con lo spettatore.
E se proprio dovessimo fare un paragone – quasi un’esigenza per un recensore, al pari di grattarsi il naso quando gli prude – allora sarebbe più giusto scomodare Heroes o Utopia, soprattutto dal punto di vista dell’estetica e dell’atmosfera di fondo. Detto ciò, noi ci auguriamo che la serie non si riveli soltanto l’ennesimo fuoco di paglia alimentato da un’intensa e bombardante campagna pubblicitaria di Netflix. Per il momento le premesse sono molto buone, ma da qui a nominarlo prodotto dell’anno, come già sta accadendo sulle pagine di blog, social e quant’altro, il passo è lungo.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Ottima commistione tra componente action, introspezione e “linea comica”
  • Aidan Gallagher impeccabile
  • Klaus miglior personaggio finora
  • Caccia all’uomo in pieno stile Utopia
  • Per il momento nulla di rilevante da segnalare, ma se proprio vogliamo peccare di pignoleria, colpo di scena riguardante la madre un po’ telefonato

 

“Extra Ordinary” si configura quindi come il classico episodio di transizione, volto a far decollare la trama dopo un primo momento prettamente introduttivo. Nonostante ciò il risultato finale è pienamente godibile e, soprattutto nei minuti finali, la puntata riesce nell’intento di coinvolgere lo spettatore portandolo a cliccare sul tasto “Next Episode” ancor prima che il countdown arrivi allo 0. Non male considerando che si tratta di 5 secondi scarsi.

 

Run Boy Run 1×02 ND milioni – ND rating
Extra Ordinary 1×03 ND milioni – ND rating

 

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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