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The Underground Railroad 1×07 – Chapter Seven: Fanny BriggsTEMPO DI LETTURA 3 min

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Recensione The Underground Railroad 1x07La settima puntata di The Underground Railroad si differenzia totalmente dalle precedenti, dal minutaggio fino alla struttura.
Un episodio da appena venti minuti che non va ad aggiungere nulla alla trama principale (Cora e la sua fuga dal cacciatore di schiavi Ridgeway) ma chiude il cerchio che si era aperto con la sottotrama dedicata a Grace nel “Chapter Three: North Carolina“.
Un mancato coinvolgimento narrativo necessario per rimanere incollati allo schermo, rappresentato da una puntata vuota che punta solo ad uno stile visivo eccellente. Tutti elementi che non sono abbastanza, ora maggiormente accentuati rispetto alle altre critiche mosse verso lo show, essendo in dirittura d’arrivo.

GRACE


Fino ad ora il minutaggio delle puntate di The Underground Railroad è stato uno dei punti critici della serie, con i sessanta minuti a puntata (alcune volte anche più di un’ora) che hanno reso la storia di Cora alla ricerca della propria libertà troppo farraginosa e lenta.
Con “Fanny Bridge” si torna in Nord Carolina. La serie si prende una pausa per andare a chiudere un cerchio aperto con il “Capitolo Tre” che vedeva la piccola Grace rinchiusa nella soffitta mentre la casa dei coniugi Martin e Ethel andava a fuoco.
I venti minuti dell’episodio sono dedicati proprio alla fuga di Grace che riesce a raggiungere la stazione sotterranea e a prendere il treno, lasciando la propria testimonianza.
E, per non lasciare nemmeno il più piccolo buco nella sceneggiatura, anche il destino di Ethel è mostrato. La sua paura nell’accogliere e nascondere neri in fuga nella propria controsoffitta appare così legittima e fondata.
La serie si è distinta per una cura maniacale nell’impatto visivo più che narrativo; la regia e la fotografia sono le uniche cose che costituiscono questa puntata (molto più delle altre) vista la quasi totale assenza di azione e dialoghi.
Una delusione che si poteva benissimo evitare. E, dato che il lungo minutaggio non presenta un problema per Amazon Prime, il finale di questa storyline si sarebbe potuto aggiungere tranquillamente alla fine di “Chapter Three”.

CONFERME


Il background di Barry Jenkins, che nasce come regista cinematografico, esce alla scoperto ed è innegabile il suo taglio formale.
The Underground Railroad, infatti, si discosta notevolmente dalla serialità classica per abbracciare uno stile, sia visivo che narrativo, squisitamente cinematografico. Non una scuola hollywoodiana a cui gli spettatori occidentali sono abituati, ma un cinema decisamente più autoriale e di nicchia.
Questa scelta si è rivelata un azzardo che, come si è visto nelle recensioni agli episodi precedenti, può far allontanare più che catturare. Ed è questo a rappresentare un bivio per lo spettatore, soprattutto chi è abituato e ama serie più coinvolgenti e di intrattenimento che ricalcano uno stile Netflix.
“Chapter Seven” è uno spartiacque più per chi si è approcciato alla serie con curiosità che per la narrazione in sé che rimane di altissima qualità. Dopo la visione, resta un retrogusto dolceamaro su come si sarebbe potuta gestire l’intera narrazione approfittando di una spartizione del minutaggio differente dalla scelta finale.
The Underground Railroad, e questa settima puntata in particolare, si conferma essere una serie non rivolta al grande pubblico, ma dedicata a chi ha una maggiore curiosità e più interesse storico nei confronti di quegli anni della storia americana. O per gli amanti dell’estetica.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Come sempre è innegabile la bellezza estetica e della regia affidata a Barry Jenkins…
  • …ma che non è abbastanza. Se la critica maggiore nelle precedenti puntate riguardava un minutaggio troppo lungo, in questo caso l’episodio è privo di logica tanto dall’essere non giustificato

 

Ad un passo dalla fine della miniserie è palese la volontà di voler chiudere ogni ciclo narrativo aperto in sei puntate. Una volontà che, però, non giustifica questo episodio.

 

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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.

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