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The Walking Dead 6×04 – Here’s Not HereTEMPO DI LETTURA 5 min

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Dopo un inizio di stagione del tutto positivo, caratterizzato da ritmi narrativi finalmente confacenti alla tipologia di show che abbiamo di fronte, The Walking Dead rallenta dal punto di vista dell’azione regalandoci un episodio Morgan-centrico dal sapore di filler che oltre a spiegarci quanto accaduto al personaggio durante il suo lungo periodo di assenza, serve a spingere temporaneamente sul pedale del freno per poi farci ripiombare nell’incubo vissuto dai nostri protagonisti sul finale di puntata. La necessità di una brusca battuta d’arresto dopo una tripletta di episodi contraddistinti da quella ritmicità arrembante finalmente ritrovata, ha naturalmente rimesso sull’attenti lo spettatore, ancora spaventato dall’eventualità di un dickensiano ritorno del fantasma della stagione passata. Assistiamo così a un episodio che, nonostante ritmi blandi e scontatezza di alcune vicende, non appare del tutto disastroso. Un giudizio, quello appena espresso, rigorosamente accompagnato dalla speranza che l’introspezione non si erga di nuovo a unica colonna portante dello show, adombrando la componente action tornata in auge nell’avvio di questa sesta stagione.
Giunti al sesto anno di programmazione, The Walking Dead ha fissato tutta una serie di cifre stilistiche che, apprezzabili o meno, hanno fatto dello show una finestra su un mondo unico – nonostante il contesto post-apocalisse zombie sia stato riciclato talmente tante volte da risultare slabrato come l’elastico del tutone di Giuliano Ferrara – ma soprattutto fortemente caratterizzato grazie ai suoi personaggi, amati o odiati ma comunque entrati nella vita di quasi tutti i maniaci seriali (continuiamo a precisare: non quelli che fanno a pezzi prostitute sul ciglio della strada, ma quelli che hanno ormai rinunciato ad avere una vita sociale perché piumone, schifezze e serie tv è tipo il padre, figlio e spirito santo del procrastinatore di professione). Una di queste cifre stilistiche, forse tra le più importanti, sta nella necessaria assenza di staticità dei nostri protagonisti. Il movimento, componente fondamentale, sia per ragioni di avanzamento di trama, sia perché in un mondo dove ogni sicurezza è crollata, non può che essere una mera utopia, si erge così a leitmotiv dell’intera serie, costringendo i protagonisti a lasciarsi tutto alle spalle, nel bene o nel male. A volte questo movimento è concreto, effettivo, altre volte solo inconscio.
Negli episodi precedenti abbiamo visto la cosiddetta “mandria” seguire Abraham, Sasha e Daryl mossi dal primordiale bisogno di sfamarsi, mentre i nostri protagonisti continuano a muoversi in linea retta su una strada che pare essere interminabile. Gli zombie sono sempre alle loro spalle, troppo lenti per agguantarli, ma mai così esausti da doversi fermare. In “Here’s Not Here” questa componente di dinamismo può essere riscontrata nel processo di trasformazione di Morgan da pazzo psicopatico a maestro di zen con una rinnovata fede nei confronti del genere umano. Lo stesso Eastman, nel corso dell’ultima chiacchierata con il suo ospite, sottolinea l’importanza del movimento in un mondo su cui, da un giorno all’altro, è piombata l’apocalisse: “For the rest of your life, you could stay here. But you shouldn’t stay here. […] You stay here, you’ll be alone. You were alone“. Finché l’umanità non tornerà in una condizione di normalità (ammesso e non concesso che tale situazione possa verificarsi in futuro) i vivi cammineranno e i morti li seguiranno, costringendo i primi a viaggiare fino allo sfinimento. La situazione non potrà mai essere differente. L’uomo sarà sempre costretto a cercare sicurezza  altrove, nel tentativo di sopravvivere, in un ciclo interminabile in cui fermarsi significa morire. Questo è l’aspetto più terrificante della sopravvivenza in un mondo devastato dall’apocalisse, un aspetto che, sebbene possa risultare banale, richiede spirito di adattamento e una mentalità del tutto rinnovata, senza la quale si rischierebbe di diventare, anche senza essere morsi, morti che camminano al pari degli zombie.
Nel complesso “Here’s Not Here” può essere etichettato come episodio di transizione, che risulta inesorabilmente debole se paragonato ai precedenti ma che, pur svolgendosi nelle stesse due o tre location in compagnia degli stessi due personaggi (o tre se consideriamo l’ottima performance recitativa di Tabitha), riesce in qualche modo a catturare l’attenzione dello spettatore. Si poteva forse intervenire un pochino sul minutaggio, magari eccessivo per una puntata di questo genere, ma sappiamo bene che la dispersione è da sempre uno dei problemi della serie, dopo sei anni ancora in difficoltà quando si tratta di gestione ottimale dei tempi di narrazione.

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Il passato di Eastman e il massacro della sua famiglia da parte di Crighton Dallas Wilton
  • Finalmente chiarezza sulla trasformazione di Morgan da psicopatico a uomo zen
  • La chiusura della porta a chiave sul finale in contrapposizione alla fiducia riposta da Eastman in Morgan lascia sperare in un minimo di accortezza da parte di ques’ultimo
  • Ritmi narrativi blandi
  • Alcuni sviluppi della trama un po’ scontati
  • Morgan e la ritrovata gioia di vivere porterà certamente qualcuno alla morte

 

Dopo un episodio come “Thank You” era chiaro a tutti quanti che non avremmo assistito immediatamente ad un’altra puntata ricca di azione, sangue e colpi di scena a raffica. D’altro canto The Walking Dead è anche questo: indagine della psiche umana e necessari spiegoni per poter comprendere a pieno le azioni dei personaggi e di conseguenza le motivazioni celate dietro di esse. Per alcuni potrà essere stato l’ennesimo pippone introspettivo colpevole di aver rubato un’altra preziosa ora di vita, ad altri potrà essere piaciuto a prescindere perchè il morto che cammina non si tocca. Noi invece salviamo e speriamo.

 

Thank You 6×03 13.14 milioni – 6.7 rating
Here’s Not Here 6×04 13.34 milioni – 6.8 rating

 

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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