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Trust 1×07 – KodachromeTEMPO DI LETTURA 4 min

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Con “Kodachrome” – titolo che fa riferimento al celebre marchio di pellicole fotografiche prodotte dalla Eastman Kodak e utilizzate in particolare tra secondo dopoguerra e anni Settanta – Trust consolida ulteriormente il suo status di serie televisiva di qualità, dimostrando che un episodio di approfondimento, in pratica un flashback lungo un’ora, può tenere alta l’attenzione di chi guarda al pari di una qualsiasi altra puntata maggiormente improntata all’azione.
L’episodio si apre sul presente. Getty senior ha fatto la sua mossa e finalmente siamo arrivati al fatidico giorno dello scambio. Un paio di minuti scarsi, dopodiché veniamo catapultati direttamente nella Roma degli anni Sessanta, guidati dal racconto parallelo di Paul Jr. e Gail, pronti ad approfondire il rapporto del primo col padre ma soprattutto la travagliata infanzia di John Paul Getty III, cresciuto in una famiglia disfunzionale e con un nonno milionario decisamente particolare quando si tratta di mostrare affetto al proprio nipote.
Regia, fotografia e montaggio cooperano alla perfezione in questo settimo episodio, producendo come risultato cinquanta minuti di girato che neppure sembrano essere destinati al mezzo televisivo. Certo, negli ultimi anni la distinzione tra cinema e televisione ha finito per assottigliarsi sempre di più, talvolta annullandosi del tutto, proprio come in questo caso, ma per coloro i quali, al pari di noi recensori, si trovano a seguire decine e decine di show in contemporanea, trovarsi di fronte a serie televisive di qualità, perlopiù costanti in termini di rendimento, rappresenta sempre la proverbiale boccata d’aria fresca. A maggior ragione pensando che, purtroppo, esistono ancora tonnellate di abomini seriali che invece evidenziano ogni giorno la distinzione tra televisione di qualità e bidoni dell’umido.
Nonostante la trama progredisca appena in questo settimo episodio, la percezione spettatoriale al termine dello stesso sembra essere di segno completamente opposto. L’approfondimento delle dinamiche familiari dei Getty, seppur inutile ai fini della progressione diegetica, contribuisce in maniera fondamentale alla comprensione dei nostri protagonisti, dei sentimenti e dei principi alla base delle loro scelte. Sembra quasi di essere catapultati in una storia lontana, una sensazione data non soltanto dalla pellicola consumata con la quale ci vengono raccontati alcuni stralci di trama, ma anche dal modo in cui gli autori decidono di presentarceli.
Al centro dell’episodio tornano i big, Sutherland e la Swank in particolare, ma a farla da padrone, naturalmente, è il personaggio interpretato da Michael Esper, finora tenuto abbastanza in disparte e qui approfondito in maniera impeccabile, spogliato di qualsivoglia corazza e messo letteralmente a nudo di fronte ad un padre evidentemente più legato al denaro e al potere che da esso deriva che al suo stesso figlio, da lui più volte rinnegato e ritenuto debole a causa della sua pesante dipendenza dalla droga. Parallelamente riusciamo a percepire il disagio del piccolo Paul, cresciuto in un ambiente familiare fondato sull’indifferenza e il rifiuto e costretto ad osservare i suoi genitori limonare duro con sconosciuti a due tavoli di distanza l’uno dall’altro.
La serie riesce dunque nell’impresa di raccontarci l’intimità dei Getty in maniera densa e pregna di significato, senza però risultare pesante agli occhi dello spettatore. Il rifiuto da parte di Getty Jr., frustrato all’idea di essere nuovamente trattato dal padre come un semplice dipendente in cerca di soldi, finisce col far saltare lo scambio con Primo e colleghi, proprio nel giorno del compleanno di suo figlio e, per l’ennesima volta, il personaggio interpretato da Donald Sutherland riesce a guadagnarsi il titolo di peggior essere umano mai esistito sulla Terra. Eppure, nonostante le esagerazioni televisive e la componente romanzata alla base dell’opera, la sensazione al termine della puntata è quella di trovarsi di fronte a personaggi reali, quasi tangibili nella loro concretezza, e non ad attori intenti a seguire un copione. E questa, più di tutte le altre, è la qualità che ha reso Trust, almeno finora, una delle migliori serie televisive di questo 2018.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Regia, fotografia e montaggio quasi cinematografici
  • Sutherland, Swank ed Esper impeccabili
  • Puntata densa di significato nonostante l’immobilismo narrativo
  • La sequenza finale
  • Forse si poteva tagliare qualche spezzone relativo alla trama di Paul III nel presente

 

Che dire? Ennesima puntata da ricordare ed ennesima benedizione agguantata. La speranza è che, data la natura antologica della serie, anche le stagioni successive riescano a mantenere lo stesso livello, e che non si tratti soltanto del fascino nascosto dietro un’incredibile storia (l’effetto Narcos insomma).

 

John, Chapter 11 1×06 0.67 milioni – 0.2 rating
Kodachrome 1×07 0.38 milioni – 0.1 rating

 

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

1 Comment

  1. Le stagioni successive… con ascolti così bassi temo proprio che non ce ne saranno. Gran peccato.

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