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We Are Who We Are 1×02 – Right Here, Right Now #2TEMPO DI LETTURA 3 min

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“Come dovrei chiamarti?”

 

Finiva così lo scorso episodio. Sull’identità reale e presunta di uno dei due protagonisti. Una domanda che sottintende tantissime cose, portando l’attenzione su Caitlin “Harper” Poythress.

Quel punto di vista

Se una cosa si può già dire su questa miniserie, è la necessità di mostrare come la realtà non è come ci appare (cosa di per sé non molto originale), cadenzata però da tempi apparentemente “morti”, dove ogni personaggio si muove nel proprio mondo di cui però non sa praticamente nulla.
Guadagnino ci immerge in una quotidianità vuota di avvenimenti d’impatto rimanendo comunque molto profonda. Lo fa con un approccio molto simile al suo film più famoso, Chiamami Col Tuo Nome: rendere narrativa la monotona quotidianità. Se nel film c’era la necessità di respirare l’estate, con tutto il suo carico malinconico e indolente, qui si trova qualcosa che lo ricorda. I due ragazzi vengono introdotti attraverso il loro vagabondaggio all’interno di un paesaggio, urbano e non, che vorrebbe essere qualcosa che non è (iconico come una città d’arte) ma allo stesso tempo tremendamente indicativo.
Chioggia non è più una Venezia dei poveri (non lo è, ovviamente) ma, proprio per la sua natura superficialmente surrogata alla famosa città, diventa lo specchio di quello che sono ora Caitlin e Fraser, due ragazzi che si stanno definendo, in una direzione ignota e non universalmente riconosciuta al resto del mondo.

Spazio e Tempo

Qui si arriva quindi alla volontà di Guadagnino di rallentare, di perdere tempo. Di fermarsi. È evidente che a lui interessi poco dover scioccare lo spettatore con scene forti (si veda un prodotto simile come “Euphoria“, altrettanto interessante ma con un registro totalmente diverso ma sempre sperimentale). Lui vuole rimanere tra quei cespugli, quei canali, in quelle stanze impersonali. La definizione di sé passa per i luoghi in cui siamo da soli. Sul tempo anche sceglie di non definirlo troppo. Se i riferimenti a Trump servono a collocarlo all’interno di un anno specifico, la colonna sonora vira verso tutt’altre suggestioni che, unite alla geografia dell’ambientazioni, costringe lo spettatore ad un’attenzione particolare, fatta di rimandi non pienamente coscienti verso altro.

L’entrata nel mondo adulto

Se è indubbio che la scena della prima mestruazione possa stupire per come viene portata in scena (non col clamore che in altri contesti sarebbe alla base di interi episodi pseudo-moralisti), non è quella che va a definire la caratterizzazione della protagonista. Lo fanno le conseguenze ad essa e del come venga affrontata coi suoi genitori. Si capisce come essere compagne di soldati all’interno di una base militare lontana migliaia di chilometri da casa possa influire sulla percezione del tempo (atmosferico e non) di una vita praticamente sospesa che non permette ad una madre di essere realmente presente nella vita di una figlia. Per contrasto, il tempo che Caitlin riesce a spendere meglio coi genitori (o, meglio, col padre), è quello fuori dai tempi canonici della giornata routinaria. Infatti sta e si confida col padre durante la sua non ben definita attività extra-lavorativa, la mattina molto presto, o agli allenamenti di box la sera tardi nel garage. Tutto questo, e anche altro, restituisce un ritratto molto particolare della protagonista, che “scopre” di essere donna quando forse vorrebbe andare da un’altra parte, in una continua oscillazione tra Caitlin e l’identità alternativa di Harper.
Era quindi inevitabile che due spiriti raminghi, il suo e quello di Fraser, collidessero all’interno di quel contesto così “abitudinariamente estremo”.

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Regia e colonna sonora notevoli
  • La noia che diventa interessante e, soprattutto, narrativa
  • I dialoghi in italiano (e in dialetto) sono spesso incomprensibili

Buon episodio introduttivo che lascia intravedere sviluppi molto interessanti. Supportato da un comparto tecnico molto ben gestito. Continua a meritare la visione.

 

 

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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.

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