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Antebellum recensione film Amazon
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Antebellum

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Antebellum si snoda tra due piani temporali differenti: Eden, una schiava nera in una piantagione, la cui storia è ambientata poco prima della Guerra di secessione, e le vicende di Veronica, attivista e scrittrice di best seller nel XII secolo. Due vicende apparentemente opposte, eppure collegate. É questo l’incipit del primo film di Gerard Bush e Christopher Renz, uscito su Amazon Video il 14 dicembre.

 

Non è necessario sfogliare i libri di storia americana per trovare episodi di razzismo che non sono relegati alla segregazione del ‘900 o alla schiavitù dei secoli precedenti. Uno dei casi emblematici è accaduto quest’estate con l’uccisione da parte della polizia di George Floyd; omicidio che si va ad aggiungere alla già lunga lista di afroamericani e afroamericane uccisi con il movente del razzismo. Nell’ultimo periodo, Hollywood sta cercando di cambiare completamente rotta per quanto riguarda la rappresentazione e la visibilità delle minoranze etniche, legate al gender e sessuali. Non è questo il luogo per discutere se sia una mossa dettata dal politicamente corretto, dall’ipocrisia o una scelta quasi obbligata da parte dell’opinione pubblica che esercita sempre più pressioni. Un esempio è dato dalla rivolta dilagata poi su internet tramite uno degli hashtag più famosi degli ultimi anni – #Oscarsowhite del 2015 – che condannava la totale assenza di candidati alla statuetta più ambita appartenenti a delle minoranze etniche. Una cosa è certa: il cinema ha un grande potere e presa sul pubblico.
L’horror ha il merito di essere slegato a tabù e cliché tipici di altri generi che sono più legati a un tipo di narrazione classica. Non è inusuale, quando si vede un film horror, approdare in tematiche quali la sessualità e la scoperta di essa soprattutto negli anni dell’adolescenza (gli slasher movies), il cambiamento nella figura della donna durante la pubertà (tra i più classici ci sono L’Esorcista e Carrie Lo Sguardo di Satana), la maternità e il suo rifiuto. Se questi argomenti sono sempre stati messi in luce dal genere, in questi ultimi anni non sono pochi i registi che abbracciano una visione di rappresentazione nei suoi termini più ampi. Per fare dei rapidi esempi: Luca Guadagnino con il suo Suspiria, i due film di Ari Aster, ed infine – più allineato al discorso della black community – Jordan Peele. Il regista afroamericano ha il merito di aver riportato in auge il filone del black cinema horror creando due film dalla forte denuncia sociale per quanto riguarda il razzismo ancora dilagante in quella che gli americani stessi amano definire come la terra delle libertà.
Gerard Bush e Christopher Renz seguono le orme di Get Out e Us per il loro film d’esordio nei rispettivi ruoli di regista e sceneggiatore. Non sono nuovi al panorama black, hanno già lavorato assieme per vari progetti, tra cui un documentario del 2016 dal titolo Canvases Of Courage.
Come molti altri film in programma per quest’anno, la distribuzione di Antebellum ha subìto pesanti modifiche a causa dell’emergenza Covid facendo slittare la data d’uscita in Italia da aprile fino al 14 dicembre, data di messa in rete da parte di Amazon Video.

The past is never dead. It’s not even past.
– William Faulkner

Antebellum si apre con un piano sequenza che presenta una piantagione di cotone abitata da schiavi neri e uomini bianchi in uniforme sudista. Sulla via ai limiti del campo, una schiava che tenta di fuggire viene brutalmente uccisa e trascinata per il collo verso il crematorio. Così si presenta il film di Brush e Renz, con due elementi che restano costanti per tutto il film: la bellezza dell’estetica e la cruda violenza.
Tra gli altri schiavi spicca Eden, vittima di soprusi e violenze sessuali da parte del suo padrone, ma un fascio di speranza per tutti i neri della piantagione che confidano in lei per scappare. Con lo stesso volto (ossia Janelle Monáe), in un altro tempo, c’è Veronica: femminista e attivista per i diritti afroamericani, autrice del best seller dal titolo “La caduta dell’indole mite”. Due figure opposte, l’una il simbolo di un fantasma del passato americano – che, come avverte la citazione di Faulkner prima dei titoli di testa, non è morto – e l’altra la rappresentazione di un presente in piena era trumpiana, dove si riversano ancora per la strada manifestazioni e proteste per uguali diritti.
Le vicende di Eden procedono in crescendo fino ad acquisire sfumature e citazioni al cinema di Tarantino, Django in particolar modo. La vita di Eden nella piantagione coloniale è segnata da soprusi e da un clima impossibile da ignorare: quella è la sua quotidianità, delle abitudini che normalizzano la schiavitù e le cui regole (non parlare se non interpellati, non parlare tra di loro, fischiettare motivetti allegri mentre si raccoglie il cotone) scandiscono le ore passate nel campo. Ad alimentare l’atmosfera di tensione e inquietudine che scorre tra le piante di cotone concorrono inoltre una fotografia patinata simile a una rivista di moda e una regia estremamente curata.
Non si può dire lo stesso per la storyline di Veronica che si concentra nel secondo atto e che crea, purtroppo, uno spaccato nella sceneggiatura troppo profondo per non essere preso in considerazione. La vita di Veronica è perfetta: una casa che sembra uscita da un catalogo, un marito premuroso che prepara pancakes mentre lei è impegnata in una chiamata di lavoro, una figlia dolce e affettuosa che viene cresciuta a cereali e autodeterminazione. Il suo personaggio è ispirato dalla figura poco realistica dell’attivista: una donna nera in carriera del 2020, in tuta di Ivy Park (brand sportivo creato da Beyoncè), che fa yoga prima di un convegno e viene ricoperta da frasi motivazionali dalla sua migliore amica. Una Angela Davis alla quale è stata tolta la parte relativa alle manifestazioni svolte in strada, sostituite con oggetti di design e bei vestiti. La determinazione di Veronica non trova nessun ostacolo, distaccandosi brutalmente non solo dalla cinematografia di Jordan Peele da cui i due registi si sono ispirati, ma anche da quelle che sembravano essere le intenzioni del film: mostrare che il razzismo non è il ricordo di un passato oramai gettato alle spalle, ma ancora una triste realtà.

You know, I learned very quickly that black people, black woman in particular, we’re expected to be seen, not heard. […] So the coping persona has been this mode of survival for generations of oppressed people.

Se il male gaze non è presente nell’oggettivazione del corpo dei personaggi femminili, sfiorisce quando tenta di rappresentare una donna afroamericana femminista il cui lavoro è l’attivismo. Le parole che lei stessa pronuncia sulle difficoltà relative al ruolo che ricopre e alla sua identità etnica si dovrebbero tradurre nella sua realtà di afroamericana e di attivista. Il razzismo che non è presente nel mondo di Veronica, come se fosse un’utopia, un paradiso terrestre dell’inclusione. Ma sono le parole della stessa protagonista ad indicare allo spettatore che vive in un era dove Trump vince le elezioni e dove l’uguaglianza è un miraggio. La discrepanza tra parole e fatti crea un divario tra la vita di Eden e quella di Veronica che, invece, dovrebbero essere parallele. La mancanza di una denuncia alla società americana contemporanea slega totalmente le due parti, non dando una definizione netta al film.
La mancanza di coerenza nella costruzione del personaggio di Veronica è invece presente in Elizabeth (interpretata da Jena Malone, che in The Neon Demon ha svolto un lavoro tanto buono quanto inquietante). Le sue peculiarità restano invariate per tutto il tempo. Il suo è un razzismo più subdolo e meno schietto, le sue parole tentano di sminuire e ridimensionare gli altri personaggi femminili e nutre un’ossessione quasi morbosa per la tonalità della loro carnagione. Per concludere con un altro parallelismo al cinema di Peele, anche in Get Out è forte la presenza di una villain bianca che ricopre il ruolo della schiavista che ha alimentato l’ideologia della supremazia bianca. Al contrario degli stereotipi che vedono la donna sempre come una persona priva di qualsivoglia cattiveria, focolare della casa e brava cristiana; le donne bianche hanno avuto anche loro una grossa fetta di colpa nell’America della schiavitù.


É difficile dare un giudizio netto ad Antebellum a causa dei pregi che ricoprono buona parte della sua durata (estetica curata, regia altrettanto ricercata, buone idee, la parte dedicata a Eden e il personaggio di Elizabeth), ma i difetti riscontrati hanno compromesso il buon esito inequivocabile del film. Bush e Renz sono due giovani cineasti che con questo loro primo lungometraggio hanno dimostrato di avere ancora molto da imparare, ma che hanno anche molto da dire.

 

TITOLO ORIGINALE: Antebellum
REGIA: Gerard Bush, Chistopher Renz
SCENEGGIATURA: Gerard Bush, Christopher Renz

INTERPRETI: Janelle Monáe, Jena Malone, Jack Huston, Eric Lange
DISTRIBUZIONE: Lionsgate
DURATA: 105′
ORIGINE: USA, 2020
DATA DI USCITA: 14/12/2020

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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.

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