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Des 1×02 – Episode 2TEMPO DI LETTURA 4 min

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Des 1x02 recensioneSembra una storia completamente inventata e scritta apposta per far interpretare a David Tennant un character (o per meglio dire un “villain”) così iconico, ed invece è sfortunatamente accaduta veramente. A tal proposito, le aspettative createsi dopo la series premiere sono confermate ampiamente da “Episode 2”, la seconda di tre puntate, che ripropone quanto di buono straordinario si era già visto nel pilot.
David Tennant nei panni (molto iconici) di Dennis “Des” Nilsen è così ingombrante che è incredibile constatare l’assenza (per ora) totale di riconoscimenti e/o nomination per la sua performance. Guardando alcuni video originali di Des, appare infatti molto chiaramente il grosso lavoro che Tennant ha fatto per ricreare il serial killer e la bravura dell’attore scozzese è uno dei tratti principali che si constata anche in questa puntata.

LA QUESTIONE TEMPORALE


Des:Not guilty.

ITV, come dimostrato anche nel recente The Pembrokeshire Murders, adora riproporre storie di serial killer britannici in massimo tre episodi. Una scelta che porta con sé chiaramente diversi pregi (come una narrazione più intensa) ma anche altri difetti (come la mancanza di tempo per approfondire i vari personaggi).
È sulla questione temporale che però vale la pena soffermarsi perché in questo episodio, pur non essendo scritto da nessuna parte, viene cambiata la percezione dello spettatore in una sola frase (“I can’t tell you how proud I am of this team… and of the work that we’ve done together over the past four months“) e tutta la narrazione assume un connotato diverso. Guardando di fila le prime due puntate non ci si rende conto del tempo realmente trascorso nella miniserie, è una scelta ovviamente voluta ed oculata per far sembrare tutto “fresco” e velocizzato ma, contemporaneamente, non aiuta il pubblico a capire gli sforzi fatti dalla polizia. Quattro mesi di indagini e interro

LA TRAGICA STORIA DI KENNETH OCKENDEN


Des:I also have another name for you. Uh… yeah, one of the young men at Melrose Avenue. I just woke up, his name was just there: Kenneth Ockenden. […] The Canadian lad that was all over the news when he went missing.

Come si diceva in apertura, la storia di questa miniserie sembra fatta apposta per la televisione ed il caso Ockenden non può che supportare questa tesi. Per quelli che sono all’oscuro della storia, come chi sta scrivendo questa recensione, il plot twist dato dall’improvvisa rivelazione di Des ha il suo peso specifico ma non potrà mai essere paragonato alla visione da parte del pubblico britannico che, chiaramente, lo ha sentito nominare almeno una volta.
La svolta che porta in auge il nome di Kenneth Ockended permette a Luke Neal, in contemporanea, di lavorare sulla “classica” situazione problematica che si riscontra molto spesso nelle indagini e che coincide con pressioni politiche e budget risicati. La percezione delle difficoltà è molto vivida, così come si capisce anche l’impatto e la necessità di portare il caso a termine causa della pressione mediatica. Insomma: una rappresentazione di una situazione magari già vista ma quanto mai reale, specie negli anni ’80 e che, comunque, non affligge affatto né la credibilità, né la qualità della storia.

L’INNATA CURIOSITÀ UMANA


Brian Masters: We, both of us, we must remain objective. And if there are any lessons to be learned, it is up to the reader to decide, not us.

Una menzione speciale non può che essere fatta per Brian Masters, praticamente l’unico contatto umano tra Nilsen ed il resto del mondo.
Come si evince dalla sorpresa di Peter Jay, Masters, autore del best-seller Killing For Company da cui la miniserie prende ampia ispirazione e informazioni, ha continuato a visitare Nilsen in carcere sin dall’inizio delle indagini. Nonostante l’intenzione di Masters sia quella di dare una visione oggettiva degli eventi in modo da limitare anche l’impatto e la preclusione mentale della gente dovuta all’omosessualità di Nilsen, più passa il tempo e più Masters stesso cambia modo di guardare la sua “star”.
La curiosità nel capire la psicologia e le motivazioni dietro teste bollite e masturbazioni di fronte a svariati cadaveri è condivisibile, e Tennant aiuta a trasportare la relativa facilità con cui Masters ha cambiato le proprie motivazioni. I dialoghi trai due, estremamente curati, sono infatti una delle parti più interessanti dell’episodio e accompagnano lo spettatore in territori oscuri, inesplorati e anche inaspettati. Come d’altronde dovrebbe essere quando si parla di un serial killer del calibro di Des.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Interpretazione sublime di David Tennant
  • La regia sempre molto di alto livello
  • Plot twist 
  • Not guilt
  • Ritmo molto serrato
  • Faccia a faccia tra Peter Jay e Brian Masters
  • La mancanza di riferimenti temporali è l’unico potenziale lato negativo

 

La seconda puntata di Des conferma lo strabiliante lavoro fatto da cast e produttori per portare in scena questa storia incredibile. “Episode 2” si conferma una droga per il pubblico che non può fare a meno di sentirsi risucchiato nella narrazione e nella mastodontica performance di Tennant. Risucchiato esattamente come una delle centinaia di sigarette fumate durante gli interrogatori…

 

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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.

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