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American Horror Story: NYC 11×07 – 11×08 – The Sentinel – Fire IslandTEMPO DI LETTURA 6 min

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Recensione American Horror Story 11x07Pride. What does the word mean in the face of so much death? Pride is a construct, something we summon to unite us when we feel tired and weak. Pride takes work, but death comes easily.

Mancano solo due episodi al finale di stagione e, quasi a chiudere un ipotetico primo atto, American Horror Story archivia la pratica Mai Tai Killer (anche un po’ rapidamente) per concentrarsi maggiormente sulla misteriosa malattia che si sta diffondendo silenziosamente all’interno della comunità omosessuale uccidendo decine e decine di persone. Ora, la componente prettamente orrorifica, una volta messo a dormire mr. Whitley, viene portata avanti sostanzialmente dalla sempre presente figura di Big Daddy, da uomini-cervo di colore blu in fissa con quantomeno singolari rituali pagani e dalle letture dei tarocchi – di solito molto allegre – della sempre affabile Fran. Non la più consueta delle combinazioni ma, almeno per il momento, non una delle scelte peggiori compiute dagli autori in una stagione di American Horror Story.
Nel complesso l’ottavo episodio, decisamente il più debole tra i due, riesce comunque a mantenersi sul filo della sufficienza. Con la morte del Mai Tai Killer, indubbiamente, molto dell’interesse è scemato di colpo. Ciò che rimane, almeno da quanto visto in “Fire Island”, episodio preparatorio per il season finale, è una storia dell’orrore dai risvolti più che altro psicologici, che ci si augura arrivi ancora integra a fine stagione e non demolita per l’ennesima volta dall’incapacità di Murphy e Falchuk di scrivere un finale che non sia una merda.

IL TALENTO DI MR. WHITLEY


Yes. The Mai Tai Killer was a sick man. But was there some ounce of virtue in his impulse to build a Sentinel, to protect the very people he hurt? Was this is pride?

Il Mai Tai Killer rivela quindi la sua natura di pretesto scenico per veicolare un messaggio ben più profondo della semplice sete di sangue. Come già si era visto negli episodi precedenti, le azioni di mr. Whitley si sono sempre poggiate su solide motivazioni e se le si estrapola dal contesto si tratta pure di nobili intenzioni, sporcate giusto un pelo dal tremendo bagno di sangue sullo sfondo. Lui stesso ammette di essersi divertito nel mutilare e uccidere le sue vittime, ma continua affermando di essere cosciente del suo lato oscuro, della parte che andrebbe estirpata. E con la stessa sicurezza continua, fino all’ultimo, a sostenere l’importanza della “sentinella” nella lotta alla discriminazione nei confronti degli omosessuali. Discorso naturalmente folle, ma che riesce nell’intento di scolpire nella mente dello spettatore la vera natura dell’uomo dietro al serial killer prima di metterlo definitivamente fuori gioco.
Recensione American Horror Story 11x08Non c’è da stupirsi dunque che la sua dipartita venga accompagnata dal consueto “spiegone pre-morte del cattivo”, durante il quale emerge forte l’impatto che una società basata sulla discriminazione può esercitare su un individuo debole e già problematico, e che assume ancor più significato nel momento in cui Patrick preme il grilletto sotto lo sguardo ormai vuoto delle povere vittime, o quantomeno delle loro proiezioni nella mente del poliziotto, del Mai Tai Killer radunate alle sue spalle.
In seguito all’abbandono del distretto da parte di Patrick, e messo da parte definitivamente il pazzo omicida, la trama relativa all’infezione letale che sembra ormai essersi diffusa a macchia d’olio all’interno della comunità omosessuale, entra in campo quantomeno a gamba tesa, diventando presto elemento centrale di questo ideale secondo atto. Ancora una volta Murphy e Falchuk decidono di compiere una drastica virata proprio ad un passo dal finale e, sebbene per il momento la situazione si assesti ancora sulla sufficienza andante, il timore che dietro l’angolo ci sia l’ennesimo finale senza capo né coda si fa sempre più vivido.

EXPECTO PATRONUS


Who am I to judge those who have gone down this path? Aren’t their impulses the same as mine? Isn’t their rage justified? Did they simply choose death because it was closer than Pride could ever be?

Una volta terminata la visione dei due episodi, specialmente se visti in rapida successione, la prima sensazione è che si potesse dedicare qualche minuto in più alla fuga + uccisione del cattivo di turno, invece che ridurre il tutto a soli 15 minuti (in un episodio che dura poco più di mezz’ora) per poi riservare il restante minutaggio alla nuova trama centrale di stagione. Che va bene, sarà anche significativa dal punto di vista del messaggio e dell’impatto emotivo, ma da quello del puro intrattenimento non ha regalato grandi soddisfazioni fino a questo momento. Torna in auge la dr.ssa Hannah Wells, e con lei la coppia Adam/Theo e il fantastico Sam di Zachary Quinto, che continua a regalare l’interpretazione più convincente di questa undicesima stagione.
L’episodio si prende tutto il tempo per scavare a fondo dei problemi delle varie coppie, triangoli amorosi e quant’altro, lasciando a pochi momenti il compito di portare avanti la componente horror, in quest’occasione decisamente sullo sfondo. L’incontro/scontro con Big Daddy, con ovvia sparizione del corpo, o i continui giochi mentali di Sam ai danni di chiunque gli sia a tiro, o ancora, la disturbante immagine che va a chiudere l’episodio, e che solleva immediatamente qualche dubbio  sulla reale necessità di concentrarsi così tanto sull’approfondimento dei personaggi a discapito di sequenze grottesche e disturbanti ben più memorabili.
Una sequenza che potrebbe anche nascondere, dietro al suo simbolismo, la morte di Theo a causa del virus e il doloroso percorso che l’ha preceduta. In tal senso, le corna di cervo in testa ai vari individui che circondano il ragazzo, probabilmente altre vittime dell’HIV, andrebbero proprio a simboleggiare la malattia stessa, almeno secondo la teoria secondo cui il contagio sarebbe avvenuto a partire dai cervi presenti su Fire Island. O magari no. Non è mai facile intuire in che direzione andrà a parare il season finale di American Horror Story. Sempre, naturalmente, che ce ne sia una.

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Henry che sguscia fuori dalle manette e salva la situazione ma…
  • Patrick che consegna alla giustizia (la sua) mr. Whitley
  • Gino e il suo articolo sul Pride
  • Zachary Quinto perfetto nel ruolo di viscido maniaco sadico omosessuale, senza dubbio la migliore performance
  • …Henry non c’era bisogno di tagliarsi una mano, bastava un mignolo, massimo due dita e con ste manine ci passavi tranquillamente
  • Episodio 7 da poco più di mezz’ora e forse un po’ troppo spedito che spezza forzatamente la narrazione in due atti
  • Episodio 8 un po’ sottotono e che risente dell’assenza del killer sullo sfondo

 

La valutazione globale di questi due episodi si attesta solo in zona gialla come risultato della media tra un settimo episodio più da zona verde e un ottavo episodio lì lì per prendersi un bel ceffone. Un voto che è anche un modo per rimanere in guardia, ripensando a tutte le volte che American Horror Story ha avuto la possibilità di fare qualcosa di bello e invece ha deciso di prendere la strada più semplice, quella del trash, rendendo così futili ore e ore passate dallo spettatore con il naso incollato allo schermo. Insomma, un Save Them All che è più che altro un invito a fare meglio. Anche perché, oggettivamente, questa undicesima stagione è stata una delle più convincenti viste finora, specialmente se paragonata a quelle più recenti. Sarebbe davvero un peccato rovinare tutto – per l’ennesima volta – proprio sul finale.

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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