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Time 1×03 – Episode 3TEMPO DI LETTURA 4 min

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Time 1x03 recensioneIl percorso di Time non poteva concludersi in maniera più “giusta” di questa. Con una sorta di poesia televisiva, una certa dose di riscatto ed un destino che non perdona nemmeno i più rigorosi. Ma in fondo, si parla sempre di giustizia.
Nella sua breve epopea di tre episodi, Jimmy McGovern è realistico, crudo ma anche un po’ romantico nel suo tentativo di regalare una chiusura del cerchio per Mark ed Eric. Per nessuno dei due c’è infatti un lieto fine (anche se effettivamente ad Eric va peggio) ma la quadratura del cerchio data da quell’inevitabile mix di karma e giustizia ha un suo perché ed è anche accettato ampiamente da entrambi. Da un lato Mark non sarà mai quello che era e si sentirà per sempre in colpa, dall’altro Eric, già conscio del rischio che correva per salvare il figlio, accetta la pena proporzionale alle sue colpe.
Il dualismo scenico è encomiabile ed arriva addirittura ad invertire i ruoli, chiarendo ulteriormente perché i due protagonisti erano stati scelti sin dal principio. In tal senso, come si ripeterà in seguito, la performance sia di Sean Bean che di Stephen Graham è immensa e meritevole di un riconoscimento per la difficoltà insita nella narrazione e per la capacità di immergersi in due personaggi dando vita a sensazioni contrastanti ma intense.
Inutile negare che l’intero impianto scenico creato appositamente per il piccolo schermo abbia un certo impatto nella narrazione, soprattutto nelle tempistiche di questo episodio, ma si può anche perdonare vista la necessità di coniugare con effetto diversi elementi. L’incontro tra un Mark che esce di prigione ed un Eric che vi entra è forzato ma proprio per questo perdonabile in quanto necessario ad enfatizzare il cambio di passo della storia. Allo stesso modo lo stop a Mark, proprio mentre sta per uscire di prigione per andare al funerale del padre, con un Eric testimone inerme rispetto alla vicenda, arriva con un montaggio giusto a livello scenico ma che sarebbe stato sicuramente reso diversamente in un romanzo. Il risultato, pur essendo ad effetto, è più finto che realistico e cozza un po’ con quanto visto nelle due puntate precedenti.

THE MARK


Il character interpretato da Sean Bean è sicuramente il più martoriato dei due nell’animo e nel corpo. La scelta di far morire il padre proprio durante la sua prigionia ha una motivazione ovviamente scenica ma un risultato molto emozionante e pienamente riuscito. Inutile dire che qualsiasi cosa potesse andare male va effettivamente peggio di quanto ci si potesse aspettare; tutto è molto scenografico ma tutto è anche molto atteso e temuto dallo spettatore che ha già visto ogni evento allinearsi sotto una cattiva stella.
Il percorso di crescita e di rinascita di Mark, però, raggiunge un effetto addirittura superiore alle aspettative proprio per colpa di queste ulteriori sofferenze che si aggiungono ad una vita in prigione che, di per sé, è già piuttosto dura. La ricerca disperata del perdono arriva solo alla fine e, pur essendo un po’ forzata nella scrittura, arriva solo dopo quello che sembra essere stato un percorso di redenzione degno di questo nome. Il pentimento è ovviamente parte integrante e necessaria per la conclusione del percorso iniziato nel pilot ma non arriva in maniera facile ed è la scelta sceneggiativa migliore che si potesse compiere.

THE ERIC


Rispetto a Mark, il percorso di Eric è diametralmente opposto ma è anche forzato da eventi esterni, cosa che invece non riguarda Mark. Le scelte di Eric sono fatte per salvare il figlio, vengono fatte a malincuore, deglutendo bocconi amari che vanno contro ogni suo principio morale, eppure sono scelte giustificate dal senso di sopravvivenza. Il fine giustifica i mezzi quasi sempre, specialmente per un genitore.
Probabilmente lo spettatore, pur non avendo mai sperimentato qualcosa del genere, empatizzerà molto con il character di Graham, condividerà le scelte e ne perdonerà il comportamento. La legge no, anche se fatto a fin di bene, anche se fatto per un bene superiore e per colpa proprio di quella legge che non è in grado di tutelare ogni persona sotto la propria giurisdizione e responsabilità. È con la storia di Eric, più che con quella di Mark, che McGovern vuole mettere in luce una realtà difficile, spesso ingiusta nella propria giustizia ma umana e difficile da mandare giù. Non c’è solo la visione del prigioniero, ma anche una difficile realtà dall’altra parte delle sbarre.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Sean Bean
  • Stephen Graham
  • Conclusioni opposte per le storie dei due personaggi
  • Regia molto ad effetto
  • Karma
  • A tratti un po’ meno reale del solito ma per necessità stilistiche

 

Il finale di Time si erge a miglior episodio del trittico, specialmente se comparato ad un pilot intenso ma piuttosto descrittivo. A visione postuma la serie di McGovern si conferma un’ottima sorpresa grazie ad una trama cruda e a due attori che si caricano sulle proprie spalle una narrazione intensa a cui però riescono ad aggiungere molto. Sicuramente consigliata a tutti.

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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.

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