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Doctor Who – Special: The Power Of The DoctorTEMPO DI LETTURA 6 min

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Doctor Who Special RecensioneL’episodio che segna il commiato di un interprete del Dottore, con il passare del tempo, ha costruito attorno a sé un alone di mito: da un lato l’imprevedibilità di ciò che sta per accadere, dall’altro la sua assoluta prevedibilità.
Prevedibilità dovuta anche al fatto che il tutto viene abbondantemente annunciato ai media e dai media con un buon anticipo. “Quello sarà l’ultimo episodio di tizia/o”, “il prossimo Dottore sarà Caio”: di conseguenza ciò che lo spettatore sa di aspettarsi è forse ciò che più di tutto crea attesa.
“The Power Of The Doctor” ha tutte le caratteristiche del tipico episodio di rigenerazione, il suo impatto scenico/estetico è sicuramente ampiamente soddisfacente. Eppure, a chiusura di questo filone, l’amarezza per l’occasione sprecata che è stata il duo Chibnall/Whittaker risuona più forte che mai.

LA COERENZA DI CHIBNALL


“The Power Of The Doctor” rappresenta, nel suo insieme, un manifesto di coerenza stilistica da parte del suo creatore. Chris Chibnall infatti, come in un “The End Of Time” qualsiasi, inserisce all’interno dell’episodio tutto il mondo narrativo che ha potuto esprimere in queste tre stagioni e qualcosa. C’è The Master in versione Sacha Dhawan, ci sono i Cybermen in versione Time Lords, ci sono riferimenti alle vite ultra-passate del Dottore (forse un po’ pochi: si teme a questo punto un reset completo di questo lato della narrazione), c’è Yaz caratterizzata più che mai, oltre al ritorno di Graham. Senza contare la trama apocalittica che mette insieme tutti i nemici più storici avendo come finalità il solito piano di distruggere e conquistare tutto.
Sperando che per i posteri non sia come su Community, quando Abed e Troy ricordavano come la versione femminile di Inspector Spacetime fosse la parentesi peggiore dello show, Chibnall dimostra di tenere al lavoro fatto.
Nel suo universo narrativo però vi è stata una rottura degli schemi che ha talvolta fatto storcere la bocca al pubblico. Dalla svolta più eclatante della 12×10, la sensazione è che lo showrunner abbia considerato che sessanta anni di show potessero essere plasmati a piacimento di chiunque se li fosse trovati tra le mani. Ecco quindi che anche in questo episodio la rigenerazione culmine viene “inquinata” da una scelta che potrebbe tranquillamente essere tacciata come trash. La rigenerazione forzata in cui The Master diventa effettivamente il Dottore è effettivamente un po’ oltre. A voler dare una botta al cerchio e una alla botte si può dire che Russel T Davies (non uno a caso) aveva in passato fatto ballare e cantare The Master (cosa che avviene anche qui) e soprattutto aveva trasformato l’intera popolazione terrestre nello storico villain. Non a caso non ci saranno problemi in un passaggio di consegne che probabilmente farà del trash e del fan-service la sua bandiera.
Chris dimostra quindi non solo di non essere da meno, ma lancia un’ulteriore frecciata, sul suo rispetto per lo show, con una delle carrellate più celebrative che ci siano mai state di volti della serie classica.

CELEBRAZIONE


Tegan e Ace erano state abbondantemente annunciate, ma la vera sorpresa sta in un nuovo unicum regalato da Chibnall: l’introspezione post-rigenerativa. David Bradley (ormai neo-Hartnell acquisito), Colin Baker, Sylvester McCoy, Peter Davison e Paul McGann (tutti inevitabilmente invecchiati) svolgono un ruolo di coscienza interiore che spinge il Dottore a non buttarsi in quel burrone che rappresenterebbe il totale cambio di personalità.
A proposito della coerenza di cui già si è parlato, Chibnall sceglie nuovamente la via “metafisica”, ovvero l’esplorazione della coscienza della protagonista, cosa forse mai avvenuta prima.
Che poi questo sia anche un fan-service grosso come una casa è palese e lampante, ma anche efficace. Tegan e Ace che incontrano gli ologrammi dei loro dottori era un qualcosa di dovuto e un omaggio sincero e affettuoso verso momenti meno “mainstream” del quasi sessantenne show.
La vera chicca è nel finale. Il raduno di ex-companion (assai deficitario, non c’è che dire) vede un anzianissimo Ian, ovvero uno dei primissimi compagni di viaggio del primo Dottore interpretato da William Hartnell. Insieme alla collega Barbara e a Susan, la nipote del Dottore, furono infatti le prime figure al fianco del protagonista nell’ormai lontanissimo 1963.
La cosa positiva è che di fianco all’enorme amarcord generato da questa scelta narrativa, Yaz e la sua silenziosa commozione non sfigurano affatto.

WHAT?


Il momento della rigenerazione ha al suo interno una poetica assolutamente azzeccata. L’incarnazione femminile mette in campo una personalità completamente diversa: la protagonista vuole essere sola, esce dal Tardis per evitare di fare danni, guarda verso il mare e non fa esplodere niente, la curiosità verso la sua prossima vita è tanta. Niente drammi: Yaz versa le sue lacrime da sola senza singhiozzare, La Time Lady ha dalla sua una saggezza differente, cosciente di aver vissuto molte più vite di quante avesse mai immaginato.
Jodie Whittaker ha interpretato un Dottore votato alla leggerezza, una leggerezza sapiente, attenta alle cose veramente importanti. Il gelato mangiato sul tetto del Tardis è forse il manifesto di questo nuovo modo di essere. Modo di essere che rischia anche di snervare il fan più accanito, questo non è da negare.
Sarebbe stato bello sublimare questo finale poetico e perfettamente coerente degnando Jodie Whittaker di poter essere avvicendata dal suo effettivo successore. Si è scelto il colpo di teatro che sicuramente (speriamo) verrà degnamente giustificato e farà saltare sulla sedia orde di fan adoranti. Non si può non essere contenti nel rivedere l’ennesimo vecchio volto (un po’ meno vecchio questa volta).
Ma si intravede in questo modo una nuova direzione, un passaggio intriso di autocelebrazione che il nuovo/vecchio showrunner intende percorrere. Il fatto che nella rigenerazione sia stato incluso il cambio di abito lascia ben intendere in che direzione si stia andando. Occorre solo sperare che la narrazione fantascientifica sana non venga sopraffatta dalla pura voglia di marcare il territorio e di compiacere nell’immediato chi assiste.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Tegan, Ace, David Bradley, Peter Davison, Colin Baker, Sylvester Mc Coy, Paul McGann
  • E ancora: Jo, Mel e soprattutto Ian
  • Il differente modo di porsi durante la rigenerazione
  • The Master come Rasputin
  • Yaz e la sua tristezza contenuta
  • Tutto sommato quello finale è un bel colpo di teatro…
  • Chibnall e le occasioni sprecate (il personaggio di Vinder ad esempio non ha nessuno sbocco utile)
  • Un po’ troppo inserire una rigenerazione molto audace all’interno di un episodio che ne avrebbe prevista comunque una alla fine
  • …che comunque lascia interdetti

 

Non un episodio qualsiasi, non un episodio sbrigativo e privo di qualsivoglia impatto emotivo. Il vero punto di forza è la suggestione completamente diversa nel momento del commiato a Jodie Whittaker. Attrice che ha portato senz’altro freschezza e novità.
Ora occorre sperare in una coerenza narrativa che non svilisca la brillante sequenza finale.

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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.

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