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The Good Nurse

La pellicola è senza infamia e senza lode, soffre di un minutaggio eccessivo specialmente nella prima parte, troppo didascalica, ma si riprende nella seconda metà anche se non brilla in nessun campo.

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Un famigerato infermiere, Charles Cullen (Eddie Redmayne), è implicato nella morte di centinaia di pazienti ospedalieri ed il tutto è riproposto dalla prospettiva della sua amica e collega Amy Loughren (Jessica Chastain).

The Good Nurse è un film distribuito da Netflix che vede in cabina di regia Tobias Lindholm (Il Sospetto).
Il film parla di fatti realmente accaduti prendendo spunto dall’omonimo romanzo di Charles Graeber, incentrato sull’arresto del serial killer Charles Cullen. La scorsa estate su Peacock era stata trasmessa la mini serie Dr. Death (con Joshua Jackson) che raccontava della striscia di corpi malridotti lasciati alle proprie spalle da Christopher Duntsch, un chirurgo che per una serie di motivi continuava ad operare nonostante fosse riconosciuto come un vero e proprio sadico macellaio della sala operatoria.
Per quanto le dinamiche siano leggermente differenti, The Good Nurse assomiglia sotto certi aspetti al prodotto di Peacock, specialmente per il continuo parallelismo tra vita privata e vita lavorativa dei due protagonisti.
La differenza fondamentale è che Charles Cullen, come si diceva, è a tutti gli effetti un serial killer le cui vittime sono di difficile stima. Ventinove sono quelle confermate (quaranta quelle da lui confessate), ma avendo prestato servizio come infermiere per oltre sedici anni e aver lavorato in diversi ospedali la cifra stimata di morti sospette lievita a quasi quattrocento. Una cifra spaventosa che lo vede oggi scontare 18 ergastoli.

Loro non mi hanno fermato.

Il film presenta il personaggio di Charles Cullen (Eddie Redmayne) attraverso gli occhi di Amy Loughren (Jessica Chastain), un’infermiera, mamma single con una cardiomiopatia alla quale non poteva operarsi causa la mancanza di un’assicurazione medica. La donna conosce Charles al Parkfield Memorial Hospital, da collega, ma stringe con l’uomo un’amicizia molto forte e sentita da parte di entrambi. La prima parte di film, fin quando le ricerche dei detective si fanno sempre più strette attorno a Charles, risulta per forza di cose molto lenta e compassata.
Allo spettatore viene fornito un ampio background sia di Amy che di Charles; il rapporto di amicizia tra i due ed il legame che Charles instaura con le figlie di Amy riceve ampio risalto per evidenziare ulteriormente quello che sarà poi il doloroso confronto tra i due personaggi, così profondamente entrati in sintonia. La prima metà, quindi, risente del peso introduttivo e dell’impegno in fase di adattamento nel sottolineare ogni singola peculiarità del legame tra Amy e Charles. In aggiunta, Lindholm tende ad enfatizzare determinate sequenze con lunghissime riprese, come per esempio la scena iniziale o quella riguardante la scoperta di Amy relativamente alle flebo manomesse.

Non posso. Non posso. Non posso. Non posso. Non posso. Non posso. Non posso. Non posso. Non posso. Non posso. Non posso. Non posso.

La seconda metà del film risulta invece molto più dinamica: il minutaggio a disposizione viene sfruttato in maniera saggia per le indagini dei due detective (Nnamdi Asomugha e Noah Emmerich) che progressivamente capiscono il tentativo da parte degli ospedali di allontanare le colpe dalle strutture, così da evitare ripercussioni. Un modello di “scarica barile” visto anche nel già citato Dr. Death: gli ospedali avrebbero modo di bloccare la carriera (e la libertà) sia di Duntsch che di Cullen, tuttavia preferiscono allontanarli con delle scuse così da non dar adito a possibili richieste di risarcimento o infangare il “buon nome dell’ospedale”. Pensieri e riflessioni raccapriccianti, soprattutto perché nel mentre i due carnefici in corsia hanno continuato imperterriti il loro lavoro.
A livello di recitazione c’è ben poco da dire: Jessica Chastain ed Eddie Redmayne sono eccezionali nella loro trasposizione. Anche se a colpire maggiormente (in positivo) è Redmayne: le varie scene di confronto tra Charles e Amy, unitamente agli interrogatori restituiscono, un’interpretazione fenomenale e molto in linea con il vero Charles Cullen soprattutto se si vanno a recuperare alcune curiosità relative al processo.
Quando nel novembre 2004 ebbe luogo il processo, il giudice si trovò costretto a imbavagliare Cullen in quanto lo interrompeva ripetutamente con fastidiose cantilene; cosa che si ripeté due anni più tardi in un’altra udienza sempre per il comportamento agitato e “spregiudicato” dell’imputato. La corte fu costretta ad usare il nastro adesivo e nonostante ciò, Cullen continuava la sua cantilena (“Your Honor, you need to step down”).

Io voglio parlare del Parkfield. Voglio parlare di quello che hai fatto.

Il giudizio conclusivo è una sufficienza piena che punta verso qualcosa di più. Tuttavia l’esposizione lascia alquanto a desiderare: Charles Cullen è (per stima) uno dei serial killer più prolifici degli Stati Uniti d’America, il film di Lindholm finisce per non evidenziarne a tutti gli effetti la cattiveria preferendo nascondersi dietro l’umanità della persona ed il ruolo di Amy nella scoperta della verità.
Elemento narrativo che, chiaramente, ha un peso anche nella storia vera, ma a mancare sono le voci delle vittime (i parenti che hanno perso un proprio caro). Per arrivare a ciò, però, occorreva ricostruire l’intero film visto e considerato che si trattava di arrivare fino al processo di Cullen.
The Good Nurse, come si intuisce dal titolo, prende maggiormente in esame la figura di Amy e ne evidenzia, come detto, il ruolo fondamentale (molti ex colleghi di Cullen sapevano ma non sono mai intervenuti), tuttavia visto che l’oggetto del film era, per quanto in modo indiretto, il serial killer, un minutaggio più attento nei suoi confronti non avrebbe sicuramente fatto storcere il naso.

Girava una voce su di lui. Che fosse responsabile di un decesso. Che avesse causato un’overdose. […] Trovarono insulina nella flebo di salina di un deceduto. E la trovarono anche in altre. Fori di siringa in quelle nel dispensario. Qualcuno le aveva alterate, prima che le prelevassero.


The Good Nurse è un film senza infamia e senza lode. Un ottimo accompagnamento per una serata da cui non si può pretendere un intrattenimento cervellotico, quanto piuttosto diverse sequenze ad alto tasso di pathos, sospinto in particolar modo da una soundtrack a tratti volutamente opprimente.
Le interpretazioni di Jessica Chastain ed Eddie Redmayne non sono sufficienti ad innalzare la votazione conclusiva che rispecchia, come ampiamente detto, un film che si lascia guardare, ma che si porta appresso diverse problematiche abbastanza importanti: la prima, fondamentale, la costruzione del film stesso; la seconda riguardante l’eccessivo minutaggio dedicato alla fase espositiva dei personaggi e del contesto della storia. Si poteva fare decisamente meglio.

 

TITOLO ORIGINALE: The Good Nurse
REGIA: Tobias Lindholm
SCENEGGIATURA: Krysty Wilson-Cairns; soggetto Charles Graeber
INTERPRETI: Jessica Chastain, Eddie Redmayne, Nnamdi Asomugha, Noah Emmerich, Kim Dickens, Malik Yoba, Maria Dizzia
DISTRIBUZIONE: Netflix
DURATA: 121′
ORIGINE: USA, 2022
DATA DI USCITA: 26/10/2022

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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.

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