A due episodi dal gran finale si può serenamente asserire che Outer Range non sia ancora riuscito a decollare. Non è un problema di minutaggio che è sempre piuttosto digeribile (nel range di 40-50 minuti), piuttosto è un problema legato alla sceneggiatura.
Sia “The Soil” che “The Family” non sono scritti dalla mano del creatore e showrunner, Brian Watkins, ma a dirla tutta non è questo il motivo principale che spiega la fattura di questi episodi. Certo forse Watkins avrebbe potuto fare un po’ meglio visto che “The Time”, unico episodio finora non scritto da lui, è effettivamente il punto più basso dello show, però potrebbe trattarsi semplicemente di una coincidenza. Oppure no. Rimane comunque il fatto che questi due episodi dimostrino più lacune che potenzialità, e non è proprio quello che ci si augurava dopo l’ottimo “The Loss”.
IL TERRENO TEMPORALE: LA TRAMA FANTASCIENTIFICA CHE FATICA
Facendo un po’ il punto della situazione, Outer Range può essere descritto come un drama famigliare tipico ma arricchito da degli elementi fantascientifici legati alla sfera temporale e mistica che intrigano. Il problema che sta emergendo sempre più, paradossalmente, non è la possibile ripetitività della trama famigliare ma la gestione di quella fantascientifica che è fin troppo pressapochista.
Come afferma Autumn, “time is a dimension” e come tale per quale motivo non può essere misurato e toccato con mano? Ottimo incipit iniziale che in questo duplice episodio si concretizza in un qualcosa di più visto che Royal, distruggendo la pietra di Autumn, sperimenta sulla sua mano un breve viaggio nel futuro. E fin qui questo lato della trama è gestito piuttosto bene, senza rallentare molto la narrazione e stuzzicando il pubblico quanto basta per tenerlo incollato, poi però arriva un orso parlante e qualcosa viene subito a crollare come un castello di carte.
Sarà che Autumn è un character estremamente e volutamente detestabile, sarà che la scena dell’orso ricorda Revenant per i motivi sbagliati, sarà che tutto insieme crea un certo fastidio. La sensazione di aver capito la direzione della serie viene improvvisamente interrotta da una voce che arriva dal nulla come un deus ex machina di cui si avrebbe fatto volentieri a meno e che è oggettivamente un po’ troppo.
LA FAMIGLIA ABBOTT: LA TRAMA DRAMMATICA CHE FUNZIONA
Come detto, la famiglia Abbott rappresenta il meglio che lo show è in grado di offrire al momento. Non solo Royal ma anche Perry e Rhett fanno la loro parte dopo un inizio piuttosto lento ed inquisitorio. Per motivi diversi i due fratelli stanno dando diverse soddisfazioni allo spettatore e la lotta in cucina con cui si conclude il sesto episodio è un qualcosa di completamente inaspettato che trascende i canoni seriali fatti di bugie, sotterfugi ed un generale rallentamento della trama fino all’eventuale resa dei conti.
Far confessare Perry è una mossa che mostra le cosiddette “contropalle”, portando la serie in una direzione inaspettata, ignota e decisamente poco famigliare al pubblico. Senza questa sterzata improvvisa, sia “The Soil” che “The Family” sarebbero state più da Slap Them All che da Save Them All, quindi va dato merito agli sceneggiatori per aver osato.
Se Perry e Rhett regalano soddisfazioni, Royal e Cecilia invece non sono al loro meglio. Quest’ultima in particolare non è particolarmente loquace e gli sceneggiatori stanno provando a ritagliarle un po’ di spazio in una storia di cui sembra essere più spettatrice che protagonista e la colpa è anche di come è stato gestito Royal ultimamente. Il character interpretato da Josh Brolin si è isolato dalla sua famiglia riducendo al minimo ogni tipo di interazione, il che implica minor minutaggio per Brolin, un limitatissimo numero di battute ed una superficialità che non si addice ad un personaggio tormentato ma potente.
I confronti con Autumn non possono e non devono bastare, si sente il bisogno di un netto cambiamento che porti i vari character a comunicare di più, specialmente se si vuole tridimensionalizzarli un po’.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Dopo aver fatto un passo in avanti, Outer Range ne compie due all’indietro riportando la serie e lo spettatore in un territorio incerto fatto di orsi parlanti, viaggi nel tempo e la confessione di un omicidio inaspettata. Se solo la trama fantascientifica venisse gestita con la stessa cura di quella drammatica allora Outer Range sarebbe il nuovo Lost un mezzo capolavoro.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.