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R.I.P. (Recenserie In Peace) – Six Feet UnderTEMPO DI LETTURA 4 min

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Sembra sia entrato nell’uso comune, più che seguire serie in contemporanea alla loro data di uscita, il recupero, con relativa maratona, di serie già concluse. Percependo la visione in tal modo, voglio parlare di Six Feet Under, gioiello di Alan Ball (autore di American Beauty e True Blood), andata in onda tra il 2001 (ere geologiche fa) e il 2005. Cosa vuol dire oggi vedere Six Feet Under per l’incallito spettatore da televisione, computer, streaming degli anni ’10? Significa cominciare una serie come tante, in cui attiviamo una retrospettiva verso l’origine di tanti miti televisivi. Parlando ovviamente in base alle conoscenze televisive del sottoscritto, possiamo riassumere la famiglia di protagonisti in questo modo: Dexter, la mamma di Barney Stinson, la rossa cattiva della quarta serie di Torchwood, un personaggio di Parenthood. In piccoli ruoli sparsi qua e là troveremo dei giovanissimi Ted Mosby, Regina di Once Upon a Time, Skyler e Hank di Breaking Bad, Dawn di Buffy The Vampire Slayer. Solo per citarne alcuni. Perché dire questo? Perché Six Feet Under può considerarsi un genitore delle serie più recenti. Si possono notare infiniti embrioni di attuali show dello stile più disparato. Ah, dimenticavo, c’è una piccola differenza: la storia che ci racconta SFU è qualcosa di unico ed irripetibile.

Ricapitoliamo, quindi: grande influenza nel repertorio televisivo futuro, ma attualissima originalità. Sul serio, pensate se arrivasse qualcuno suggerendovi una serie HBO con episodi superiori ai 50 minuti di durata, pieni zeppi di dialoghi, senza colonna sonora, tema predominante la morte. Anzi, tema predominante i morti. L’unico elemento seriale di Six Feet Under è questo incipit in cui, o per incidenti improbabili, o per naturalissima vecchiaia, persone più o meno sconosciute decedono. Un costante “Ricordati che devi morire!” di “troisiana” memoria, con la celeberrima luce bianca a sfumare in maniera macabra tutte le sequenze. Con questa base, si sviluppa la storia di un nucleo familiare, riunitosi a gestire un’impresa di pompe funebri dopo la morte incidentale del capofamiglia. Mi sono interrogato più volte su come potesse essere definito un genere così particolare per quelle che sono state poi le tendenze televisive del nuovo millennio. Alla fine la conclusione è spiazzante. I personaggi subiscono, chi più chi meno, una particolare evoluzione. Legati tra di loro per parentela, ognuno porta sullo schermo nuovi protagonisti (come Brenda o Keith) i quali sviluppano una storyline personale, ramificata in ulteriori personaggi. Bene signori: questa è una soap opera. Nient’altro che una bellissima, truce, dissacrante, sepolcrale soap opera. Certo, presentate ai produttori di telenovelas un soggetto del genere e vi sarà sbattuta la porta in faccia. Ecco quindi uno dei punti di forza di Six Feet Under che lo rende un prodotto difficilmente ripetibile: nobilissime caratteristiche recitative e di sceneggiatura mischiate all’elemento più “trash” della televisione seriale. E’ vero che questa descrizione potrebbe suonare tranquillamente come provocazione, considerando che l’altro filone a cui più si avvicina SFU è un elevatissimo tipo di introspettivo cinema d’autore. Non esiste un solo verso per cui la si può vedere. Che la creatura di Ball vada di diritto nell’olimpo degli show televisivi non è una novità (inutile quindi frugare tra i nobili natali), interessiamoci quindi alle strategie più “basse” che l’hanno reso prodotto fruibile, capace di far scorrere gli abbondanti 50 minuti così in fretta.
Pensiamoci un attimo. Il 2001. Anno di svolta nella vita statunitense, meno nell’arte televisiva. Lost è ancora una lontana idea; Friends e Buffy (serie cronologicamente antidiluviane) sono ancora in onda. Eppure certi particolari presentati fanno sorridere lo spettatore contemporaneo, di un sorriso ricolmo di ammirazione. Alzi la mano chi non vede un pizzico di Sheldon Cooper nei comportamenti e negli sguardi di Ruth Fisher (e anche nel fantastico personaggio di Arthur). Le fantasie a occhi aperti dei personaggi sono la controparte drammatica dell’allora contemporaneo e intramontabile Scrubs. Vogliamo parlare della quasi totale assenza di colonna sonora di sfondo, elemento tipico dei migliori show HBO e di recenti show AMC (Breaking Bad, The Walking Dead) che lascia poi spazio a brevi, ma molto incisivi, momenti musicali (David che canta “Some Other Time” è una scena altissima). La chiusura anticlimatica e improvvisa dell’episodio ricalca ulteriormente questo carattere. Allo stesso tempo, però, in un certo tipo di serialità televisiva, è molto molto raro il riferimento ed esternazione ad esplicite idee politiche. Particolare soprattutto in un’epoca come quella immediatamente posteriore all’11 settembre.
Da sottolineare come nell’ambito palesemente progressista, verso cui tende Ball, vengano derisi brillantemente molti stereotipi. Dalla famiglia di tormentati e intellettualoidi psicanalisti borghesi (la madre di Brenda arriva a provocare fastidio fisico), ai tormentatissimi pseudo-artisti vitelloni, fino ai salutisti ed ecologisti in totale paranoia con il mondo (a quanto ci dicono alcuni recenti show, Lisa non è realmente morta ma è stata catapultata nel futuro). E pensare che nel finale, l’unico personaggio che rasenta un certo grado di purezza e umanità è proprio l’avvocato Ted, repubblicano, frequentatore di confraternita studentesca.
Così è Six Feet Under: nessuna certezza, eccetto la più grande di tutte: la grande consolatrice. La scena finale dell’ultimo episodio è carica di un’angoscia unica. Per questo, dico, volete vedere Six Feet Under? Non fatelo. Se avete anche solo un briciolo di ansia, o pensieri che vi turbano, guardate altro. Esistono tante belle spensierate sit-com o serie di azione dove la gente muore per colpi di pistola. Non guardate questo meraviglioso e impeccabile telefilm.

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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.

5 Comments

  1. Abbiamo finito la nostra maratona di SFU ieri sera, io e marito, e ho pianto per il finale, vergognandomene tantissimo 😉 Bellissimo. Stupendo. Pregno di contenuti, di poesia. Oggi sono poche le serie tv che hanno ancora questo alto livello, l'era moderna si butta sul commerciale non sulle scommesse talentuose. Sono una grande fan di Alan Ball e il suo True Blood è stato un altro di quei capolavori unici (e totalmente controcorrente rispetto al clima "romantico" dei vampiretti mezzi effeminati di Twilight che si respirava all'epoca.), anche se si è un pò perso col tempo. Invece la famiglia Fisher… cosa posso dire… mi è entrata nel cuore con una delicatezza e un realismo tali da strapparmelo al momento del grande finale. Infine… una nota ironica spiazzante… questo è l'unico vero telefilm (perchè obiettivamente, di Lost, io, il finale, ancora non l'ho capito) in cui, alla fine, lo possiamo dire: muoiono tutti! Proprio come avviene nella vita vera. Una serie che parla di morte ma, paradossalmente, di vita. 😉

  2. Grazie per il commento, ho scritto di questa serie più di un anno fa dopo aver finito anche io la maratona e devo dire che dopo più di un anno il ricordo di Six Feet Under si fa vivo con un'intensità pazzesca. La cosa bella e brutta insieme è il non volerlo più vedere. Si può infatti tranquillamente dire di come sia una serie che "fa male", per quanto è vera e pungente. Personalmente sono contento non venga più riproposto niente del genere in quanto apparirebbe come pallida imitazione di un telefilm unico in quanto a importanza e presenza sullo schermo.
    Per quanto riguarda il finale di Lost, entro qualche mese verrà pubblicato nel nostro sito un articolo da me scritto in cui analizzo il finale di Lost cercando di comprendere le ragioni sul perché sia piaciuto o meno, nascondendo il mio personale e soggettivo punto di vista. E in quell'articolo (già pronto) faccio proprio riferimento a SFU, ad un certo punto. Spero di poter contare sulla vostra lettura 😉

  3. ho appena finito di vederlo, e devo dire che è spettacolare, un vero capolavoro e credo sia difficile trovare qualcosa che lo possa eguagliare o superare.

  4. Ci ho messo vent’anni prima di arrivare al meraviglioso finale di una delle serie TV più belle di sempre, un finale vero e non poteva essere altrimenti trattandosi di una serie sulla morte, l’unica certezza delle vite di tutti. Tutti dovrebbero vederla e viverla.

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