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Station Eleven 1×01 – Wheel Of FireTEMPO DI LETTURA 3 min

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recensione Station Eleven 1x01HBO prova ad adattare il romanzo di successo di Emily St. John Mandel, vincitore di un Arthur C. Clarke Award nel 2015, sfruttando inevitabilmente la paranoia di questi ultimi anni di pandemia globale.

PREMESSE MAI TANTO REALISTICHE


Ci sono tanti romanzi e altre opere di finzione che hanno ipotizzato un mondo devastato da un’epidemia letale ed estremamente contagiosa. Una premessa comune nelle distopie che molto probabilmente va ad agire su una delle paure più ataviche degli esseri umani: ammalarsi e morirne. Sembra quindi un azzardo provare a crearne un’altra, l’ennesima, se non fosse che la situazione attuale e reale dell’umanità, in certi momenti, ricorda molto quelle premesse. Approcciarsi a prodotti come questi sortisce un effetto quindi molto più “repulsivo” di quanto non succedesse prima della pandemia, e inevitabilmente la critica alla messa in scena risulta influenzata dal vissuto personale, rendendo la verosimiglianza una cosa imprescindibile dal resto.

COSA SUCCEDERÀ ALL’UMANITÀ


Rispettando un topos comune nel genere, già da questo pilot si ha la possibilità di vedere come sarà il mondo vent’anni dopo l’evento scatenante. Prima con piccoli flash dei luoghi attraversati dal protagonista Jeevan nella sua fuga per isolarsi dalla pandemia, poi spostando interamente la narrazione nel futuro, nell’ultima parte dell’episodio, consegnando lo scettro della protagonista a Kirsten, interpretata da adulta da MacKenzie David (mai troppo lodata nella sottovalutata serie Halt and Catch Fire). Nel pilot assistiamo quindi al loro incontro casuale dopo una tragica pièce teatrale di Re Lear, dove il protagonista è vittima di un infarto sul palco, probabilmente a causa della diffusione del virus appena sbarcato in città. Jeevan, preda di attacchi di panico generati dalla consapevolezza del pericolo di infezione anticipato dalla sorella infermeria, non trova a chi affidare la piccola Kristen, abbandonata da genitori e assistenti sociali, scegliendo quindi di portarla con sé nonostante l’iniziale ritrosia a farlo. In un gesto d’altruismo, si rinchiude con lei nell’appartamento del fratello disabile in un grattacielo. Ne usciranno solo molti giorni dopo, trovando un mondo sepolto dalla neve che copre anche tutti i cadaveri delle persone morte dopo l’infezione.

TUTTO PREVEDIBILE, QUINDI PERCHÈ VEDERLA?


Fondamentalmente perché la storia, abbastanza banale nella trama, sembra riservare interesse nei confronti del contesto su cui sceglie di focalizzarsi: il teatro e quello che rappresenta. Si parte da Re Lear con tutto il suo carico di morte e mancanza di speranza e si finisce vedendo Kirsten vivere insieme ad una compagnia di attori, girovaghi nel mondo post apocalittico sopravvissuto al virus.
La tensione drammatica dell’episodio non cerca nemmeno di sfruttare troppo il sentire comune dello spettatore, soffermandosi poco nello spiegare come funziona quella sensazione di panico e paranoia che ha preso più o meno tutti nell’ultimi due anni. L’attenzione si sposta quindi verso le sensazioni “anomale” provate da Jeevan, un uomo di cui non si riesce a definire bene neanche il lavoro e il suo “scopo” nella vita pre-pandemia. L’incontro e l’interazione con la Kirsten bambina risalta in positivo poiché altamente disfunzionale se lo si paragona alle scelte che, con le stesse premesse, sarebbero state molto più action. Forse in questo pilot c’è ancora troppo poco della narrazione principale (quella di vent’anni dopo) che fornisca una prospettiva al racconto e quindi una direzione in cui andare. Il comparto tecnico comunque fa il suo lavoro e il tutto è confezionato abbastanza bene.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Prodotto godibile dove nulla eccelle ma il livello è buono
  • Poco “futuro” in questo pilot per dare un’idea di cosa ci aspetterà dopo la catastrofe del presente.

Consigliare una serie di questo tipo in questo periodo potrebbe essere controproducente ma, con buone capacità di astrazione, può rivelarsi una buona visione da continuare.

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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.

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