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Vikings 6×20 – The Last ActTEMPO DI LETTURA 6 min

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Vikings 6x20 recensioneFinisce Vikings, termina un’era, almeno per le serie tv di stampo storico.
La serie di casa History, seguita inizialmente da una piccola nicchia di spettatori, è letteralmente esplosa anno dopo anno, raggiungendo milioni di fan in tutto il mondo e dando l’input ad una massiccia produzione di serie tv storiche. Che la maggior parte di queste poi si siano rivelate spazzatura è altra storia, ma la serie di Micheal Hirst ha  senza dubbio rappresentato il punto di partenza di questo fenomeno.
Uno show che, con tutti i suoi difetti e inesattezze, ha comunque narrato splendidamente il mondo norreno, la sua società, le sua cultura, le sue gesta e battaglie, gli scontri con le diverse civiltà e le esplorazioni, che hanno portato i vichinghi in mezzo mondo.
Rimane la sensazione che la tragica decisione di passare da 10 a 20 episodi stagionali abbia inesorabilmente affossato la riuscita della serie, già duramente provata dalla morti di Ragnar, Athelsthan e Ecbert, per una seconda generazione di personaggi, sia norreni che cristiani, nemmeno lontanamente paragonabili ai predecessori.

UN CONTINUO SCONTRO TRA CIVILTA’ DIVERSE


In fin dei conti Vikings ha rappresentato proprio questo, un incessante incontro e scontro tra popoli diversi con relative culture, tradizioni e religioni annesse. La serie infatti ha lasciato ben presto la Scandinavia portando i suoi personaggi in Inghilterra, Francia, Africa, Europa Orientale, Africa, Islanda, Groenlandia, America del Nord, con un focus narrativo importante sulla cristianità europea.
Dopo un primo scontro avvenuto in “The Lord Giveth“, in questa ultima puntata si consuma la battaglia finale tra il Regno cristiano del Wessex, guidato da Re Alfred, contro gli invasori vichinghi agli ordini di Ivar The Boneless, con una lotta sanguinosa caratterizzata da una splendida colonna sonora, curata in gran parte dai Wardruna, che accompagna l’intera puntata e in particolar modo l’infuriare della mischia.
Nonostante la morte di Ivar sia visivamente splendida, con l’ultimo dei figli di Ragnar che sicuramente ne ha ereditato la mente strategica e la rabbia interiore, proprio non si comprende perché non sia morto combattendo, ma abbia volontariamente deciso di farsi ammazzare sul campo di battaglia senza colpo ferire, una scelta autoriale veramente poco condivisibile.
Altra questione incomprensibile rimane la sconfitta vichinga nella battaglia finale, uno scontro campale classico, dove i norreni nonostante la superiorità numerica e le catapulte dalla propria parte vengono inspiegabilmente sconfitti.
Ma il vero colpo di scena ha riguardato Hvitserk, il figlio più tormentato di Ragnar che condivide con il padre la tendenza all’autodistruzione, ad essere vittima di dipendenze ed, a quanto pare, anche ai dilemmi di fede: infatti dopo aver pianto sulla tomba del fratello, decide di convertirsi al cristianesimo, venendo battezzato col nome di Athelstan.
La portata di questo evento è sicuramente duplice, poiché se da una parte questa conversione risulta affascinante e catapulta lo spettatore direttamente nel Medioevo, dove la cultura norrena cederà il passo definitivamente a quella cristiana, dall’altra sembra essere molto forzata, visto che il personaggio non si era mai minimamente allontanato dalle sue credenze religiose.
Infine è da segnalare come purtroppo non via nessuna traccia di Rollo, per un character presente sin dalla prima stagione e totalmente scomparso, a cui però non si è più fatto nemmeno un riferimento in un dialogo tra personaggi e questo non può che dispiacere.

THE NEW WORLD


Quando due popoli caratterizzati da usi e costumi completamente diversi si incontrano, è solo questione di tempo prima che si scontrino e la sensazione che si ha dopo la visione di “The Last Act” è proprio quella, con Ubbe e soci che inevitabilmente prima o poi si scontreranno con i nativi nordamericani.
L’elemento mistico che permea l’intera puntata, qui raggiunge il suo apice, con il funerale del nativo e il richiamo alle tradizioni norrene di Ubbe, anche se la mancata aquila di sangue rappresenta una grossa delusione, visto la splendida resa visiva che tale rituale ha avuto nelle prime stagioni di Vikings.
Finalmente Ubbe e Floki hanno trovato il loro posto, con il secondogenito di Ragnar che forse è quello che gli somiglia di più, avendone ereditato il desiderio di esplorare nuove terre e incontrare nuovi popoli. La scena finale sulla spiaggia che chiude l’episodio e la serie stessa può avere molti significati diversi, ma una cosa è certa: è splendida.
La porzione di trama dedicata a Vinland è quella che ha convinto di più dell’intera puntata, peccato che sia emersa solo nella parte finale di questa sesta stagione, un errore imperdonabile da parte di Micheal Hirst.

IL TRAMONTO DI KATTEGAT


Si è già detto più volte come la storyline dedicata a Kattegat avesse ampiamente deluso le aspettative: la città commerciale più importante del mondo scandinavo, contesa a suon di battaglie tra i figli di Ragnar, è caduta infine sotto il potere di Ingrid, personaggio assolutamente non all’altezza degli illustri predecessori del trono.
L’eredità di Ragnar, con Ivar e Bjorn che si sono susseguiti al comando,  è infine finita a una strega, che oltre a sedurre Bjorn non ha avuto molti altri meriti.
Con la morte di Gunnhild in “All The Sea”  e successiva partenza di King Harald, la storyline ha definitivamente perso ogni interesse, una scelta precisa di Micheal Hirst visto che non solo lo screen-time dedicatole è stato esiguo, ma nel season finale solo pochissimi minuti riguardano Kattegat.
L’evoluzione di Ingrid, da schiava a Regina, è stata notevole, ma non per questo il personaggio interpretato da Lucy Martin ha mai bucato lo schermo o suscitato un minimo di interesse, visto che dopo la  morte di Bjorn e quella di Harald, i contendenti rimasti erano l’ex moglie di Ironside e uno Skogarmaor di basso rango, non proprio l’elite norrena. Ci si aspettava molto di più ma la gestione delle lotte interne per il trono è stata veramente pessima.

IL FUTURO DI VIKINGS


Vikings è giunta al termine, ma Netflix ha già acquistato i diritti per una serie spin-off che si chiamerà “Vikings: Valhalla“, curata sempre da Micheal Hirst che sarà affiancato anche da Jeb Stuart e Morgan O’ Sullivan.
La narrazione sarà ambientata circa 100 anni dopo quella della serie madre e dovrebbe narrare le gesta di Leif Erikson, Freydis Eriksdottir, Harald Harada e il Re normanno Guglielmo il Conquistatore.
Le riprese si erano quasi concluse prima dell’arrivo del Covid-19 e l’uscita della serie era prevista già per il 2021, ma a causa della pandemia non sa con esattezza quando la serie debutterà su Netflix. Non resta che aspettare.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • La morte di Ivar…
  • La conversione di Hvitserk…
  • Il misticismo che permea l’intera puntata
  • Il continuo incontro-scontro tra culture e società diverse
  • La splendida colonna sonora
  • Floki e Ubbe finalmente trovano il loro posto
  • … non in linea con il personaggio
  • … risulta essere alquanto forzata
  • La mancata Aquila di Sangue
  • L’inspiegabile sconfitta dei vichinghi in Wessex
  • Kattegat completamente trascurata
  • Nessuna notizia di Rollo

 

Un buon episodio per Vikings, caratterizzato da tanti elementi positivi quanto altrettanti negativi, esattamente in linea con le stagioni nate dopo la morte di Ragnar. Si poteva fare di più? Certamente sì, come ulteriormente dimostrato da questo season finale, in cui nel bene e nel male si trova tutto ciò che ha contraddistinto la serie negli ultimi anni. L’hype era molto alto, ma le aspettative sono state ripagate solo a metà, motivo per cui si opta per una semplice sufficienza, ma nulla di più.

 

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Venera due antiche divinità: Sergio Leone e Gian Maria Volontè.
Lostiano intransigente, zerocalcariano, il suo spirito guida è un mix tra Alessandro Barbero e Franco Battiato.

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