Il nome di Seth MacFarlane, in ambito televisivo, è legato soprattutto alle sitcom animate in onda su FOX da lui create e prodotte: la fortunata Family Guy, che ironizza e dissacra l’american way of life con uno humour spesso demenziale e politicamente scorretto (non ai livelli di South Park ma nemmeno adagiato sul buonismo di The Simpsons); la sua “sorella minore” American Dad!, capace nel corso degli anni di rivelarsi ben più solida e artisticamente matura; lo spin-off della prima The Cleveland Show, chiuso dopo quattro stagioni, quando i piani alti del network hanno finalmente realizzato l’inutilità della sua esistenza.
Meno noti sono gli altri progetti televisivi a cui ha contributo, in veste di produttore esecutivo: il documentario del 2014 Cosmos: A Spacetime Odyssey, presentato da Neil deGrasse Tyson, e le due sfortunate sitcom Dads e Blunt Talk, rispettivamente per FOX e Starz, cancellate la prima nel 2014 dopo una sola stagione, la seconda nel 2016 dopo due nonostante potesse vantare nel suo cast un attore del calibro di Patrick Stewart. Ovviamente si tratta di una piccola parte del curriculum di MacFarlane, che spazia dall’attività di animatore e scrittore per i cartoni della Hanna-Barbera alla carriera musicale (il suo quarto album in studio, In Full Swing, uscirà proprio in questi giorni), dal doppiaggio alla regia dei film Ted, Ted 2 e A Million Ways to Die in the West, dando anche la voce all’omonimo orsetto di pezza animato dei primi due e interpretando il protagonista del terzo.
Nel 2017 il papà dei Griffin torna alla carica in televisione, ancora una volta per FOX, con la serie sci-fi The Orville, di cui è: creatore, produttore esecutivo, attore principale, sceneggiatore e regista (di alcuni episodi). La storia si svolge nel 2418, quattro secoli e un anno nel futuro a partire da adesso, e ha come protagonista Ed Mercer, nominato comandante della nave esplorativa USS Orville; purtroppo per lui deve dividere il comando col primo ufficiale Kelly Grayson, sua ex-moglie, da cui ha divorziato dopo averla beccata a letto con un alieno azzurro che eiacula dalle sopracciglia (dettaglio a metà tra la bizzarria esobiologica e il patetico tentativo di strappare una misera risata già al terzo minuto di visione). Il resto dell’equipaggio è composto dal timoniere Gordon Malloy, dal navigatore John Lamarr, dal medico di bordo Claire Finn, dall’ufficiale della sicurezza Alanna Kitan, dall’alieno unisex Bortus e dalla forma di vita artificiale Isaac: personaggi che il pilot, scritto dallo stesso MacFarlane e diretto da un regista di cinema spettacolare quale Jon Favreau, si limita a introdurre e tratteggiare in maniera più o meno vaga, demandando però ai prossimi episodi il compito di approfondirne la caratterizzazione.
“Old Wounds” mette anche bene in chiaro la natura della serie, cos’è e soprattutto cosa non è. Innanzitutto The Orville non è una comedy pura e semplice, ma più propriamente una comedy-drama, o dramedy se si preferisce il portmanteau, che cerca di portare avanti una storia dai toni seri (ma non troppo) senza rinunciare al suo lato faceto, che tuttavia è quello più zoppicante: le battute e i momenti umoristici capaci di strappare un sorriso non mancano, ma difficilmente si va oltre tale reazione perché sono poco incisivi, scialbi e senza sufficiente mordente. D’altro canto si intuisce che la serie ha ancora parecchie cartucce inesplose da sparare e non poco materiale su cui costruire la propria comicità (uno su tutti il razzismo e il senso di superiorità dei Kalyon, la specie di cui fa parte Isaac, verso le forme di vita biologiche, menzionato ma mai realmente portato in scena nel pilot), per cui sarà meglio rimandare il giudizio definitivo e aspettare di vedere come il versante comico della serie sarà sviluppato nei prossimi dodici episodi ordinati da FOX (sempre che la serie non venga cancellata prima).
In secondo luogo, The Orville non è una parodia del genere space opera né tanto meno di Star Trek (come molti avevano ipotizzato dopo la visione del trailer), non vuole essere il nuovo Galaxy Quest o la versione trekkiana di Spaceballs perché non vuole dissacrare o ridicolizzare l’opera in questione: è, semmai, una sorta di tributo, di omaggio sentito e rispettoso alla saga di Star Trek, di cui Seth MacFarlane è un grande fan e a cui hanno lavorato in passato altri due produttori esecutivi dello show, Brannon Braga e David A. Goodman.
I richiami a Star Trek ci sono a tutti i livelli, dall’impalcatura generale della trama ai dettagli più minuti come la nomenclatura dell’astronave protagonista, ma è soprattutto nelle atmosfere, nell’estetica e nei modi in cui la narrazione si svolge che “Old Wounds” sembra un vero e proprio pilot di una nuova incarnazione di Star Trek (ed è buffo pensare che proprio a breve debutterà anche Star Trek: Discovery, questa volta su CBS). Il rischio, a questo punto, è che The Orville non vada molto oltre la dimensione del puro e semplice omaggio a una saga pure tanto amata e nota al grande pubblico o, peggio ancora, della nostalgica rievocazione di un certo modo di fare fantascienza degli anni ’90 e primi anni ’00 che oramai può apparire stantio e superato; la speranza è che, essendo ancora al solo pilot, ci sia tempo per correggere la rotta e intraprendere una strada tutta propria, trovando una qualche cifra caratteristica.
Nei panni del protagonista, un novello capitano Kirk, Seth MacFarlane non convince pienamente, non riesce a bucare lo schermo né tanto meno a creare la giusta chimica con Adrianne Palicki, l’interprete del primo ufficiale Grayson, e questo è grave perché il rapporto tra il capitano e la sua ex-moglie rappresenterà presumibilmente la principale storyline della serie; va meglio proprio con la stessa Palicki e con Scott Grimes, a loro agio nei ruoli che sono stati chiamati a interpretare, mentre per valutare le capacità del resto del cast bisognerà aspettare i prossimi episodi, quando i loro personaggi avranno maggiore spazio e approfondimento. Ciò in cui il primo episodio di The Orville brilla davvero è tutto il comparto estetico e tecnico, con una CGI ed effetti speciali di buonissimo livello (soprattutto se si considera che è una produzione FOX e non HBO o Netflix), che si fanno apprezzare in particolare in tutte le sequenze spaziali, degne quasi di un film di Star Wars; ancora una volta, però, bisognerà andare oltre il pilot per capire se si tratta di una qualità che verrà mantenuta costante per tutti i tredici episodi o se si è scelto di profondere tutto il budget nel primo capitolo, per attirare e ammaliare gli spettatori, per poi andare al risparmio nei successivi (vedasi The Shannara Chronicles).
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Old Wounds 1×01 | 7.3 milioni – 2.3 rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.