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Bridge And Tunnel 1×01 – The GraduatesTEMPO DI LETTURA 3 min

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Bridge-And-Tunnel-1x01…E POI ARRIVÒ IL CRINGE


Per poter aprire questa recensione si potrebbero percorrere due strade differenti.
La prima prevede la spiegazione del titolo: “bridge and tunnel”, infatti, rappresenta uno slang made in USA utilizzato per descrivere le persone che vivono attorno a Manhattan, esattamente come i protagonisti di questa nuova serie tv prodotta da EPIX. Il termine fa riferimento al fatto che per arrivare a Manhattan si richieda un passaggio obbligato da un ponte o attraverso un tunnel.
Da uno slang ad un altro, la seconda strada che si sarebbe potuta utilizzare per aprire questa recensione ruota attorno ad una parola da poco entrata nel linguaggio “ufficiale” italiano: cringe. L’Accademia della Crusca concettualizza così il termine: “imbarazzante, detto di scene e comportamenti altrui che suscitano imbarazzo e disagio in chi le osserva”. Ecco, tutto questo giro pindarico per appuntare come Bridge And Tunnel riesca a suscitare nello spettatore un quantitativo di imbarazzo tale da rendere la visione raccapricciante sotto svariati punti di vista. Nemmeno la visione di Dawson’s Creek in età adulta riuscirà mai a raggiungere queste vette: la serie di Kevin Williamson, per quanto fanciullesca/adolescenziale sotto diversi punti di vista, riusciva a presentare fin dal primo episodio una storia che bene o male tentava di trovare la strada della narrazione. Il resto seguì a ruota. Bridge And Tunnel, quindi, è cringe. E lo è per tutti i 27 (quasi 28) minuti di messa in onda.
Un intro animalesca e quasi da soft porn; una connessione causa-effetto completamente assente; personaggi che reagiscono in maniera del tutto casuale a qualsiasi cosa; dialoghi superficiali senza né capo, né coda che si diluiscono nell’alcool sorseggiato durante le scene; scene lunghissime senza tagli e tutti incentrati attorno ai già citati noiosissimi dialoghi. E, dulcis in fundo, niente musica: fatta eccezione per due singole canzoni utilizzate tra jukebox ed intro il resto della puntata vive nel silenzio cittadino totale: soundtrack quindi assente ed ennesimo chiodo che si prepara a chiudere la bara con cui seppellire questo prodotto nei meandri della mente di chi lo ha partorito.
Anche il sunto narrativo risulta banale visto e considerato che la serie di per sé cerca di raccontare la vita di un gruppo di adolescenti (maggiorenni) negli anni ‘80. Coppie nate e distrutte, amore, gelosia, improbabili balli al bar ed una città che a parte i protagonisti (ed alcuni loro familiari) sembra non contare nessuno: probabilmente il budget residuo ha costretto la produzione a fare ampio uso di comparse “sfocate” visto che solamente sullo sfondo, sfocate ed indistinguibili, sembrano apparire altre persone oltre al sestetto di amici attorno a cui ruota la storia. La serie viene etichettata come dramedy anche se da un punto di vista puramente narrativo, ovviamente ristretto al solo primo episodio, si fatica a scorgere il lato drammatico considerando che l’unico elemento chiamato in causa da questo punto di vista è la diatriba amorosa tra la coppia (o ex coppia?) di protagonisti. Anche il lato comedy, d’altra parte, non eccelle: qualche striminzita battuta, qualche sfottò tra amici e qualche dialogo con doppio senso. Niente di più.
Una frase, detta da una delle ragazze mentre attende il ritorno dell’amica e del suo (non)ragazzo dal bagno, esemplifica benissimo la sensazione che si ha durante la visione di “The Graduates”: “can we get the fuck out of here now?”.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Se riuscite a trovarne uno fateci sapere, vi attendiamo numerosi
  • L’intro soft porn: diciamo che mostrare la focosità adolescenziale in scena non è il problema; lo diventa nel momento in cui rappresenta nocciolo centrale e ripetitivo dei primi cinque minuti di un prodotto di questo tipo
  • I consigli del papà
  • Il cambio di idea repentino ed immotivato della protagonista e non si giustifichi additando il fattore “adolescenza”: si tratta di pura e semplice incapacità in fase di sceneggiatura, nulla di più
  • Niente tagli
  • Niente musica
  • Dialoghi svuotati di qualsivoglia tipo di verve
  • Personaggi con il carattere di un cartonato
  • Le comparse sfocate sullo sfondo
  • Una città fantasma
  • Dawson’s Creek, ma fatto male
  • Imbarazzo durante la visione
  • Spreco di tempo sotto tutti i punti di vista

 

No, seriamente, chi ce lo ha fatto fare di perdere questi 27 (quasi 28) minuti di vita?

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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.

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