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“Sono tutti morti.”
Partite in sordina e con pochi, ma fedeli, seguaci le produzioni originali Netflix indiane riservano sempre delle sorprese.
Dopo l’exploit di Sacred Games, ecco in arrivo una nuova mini-serie dove il mistery, l’horror e la fantascienza si fondono per dare vita ad un prodotto sicuramente notevole nel suo genere.
In un futuro distopico (neanche poi tanto lontano dalla realtà attuale) l’India è divisa in fasce sociali rigidamente ordinate e “la violenza settaria ha raggiunto un punto di crisi” (come recitano i titoli di testa all’inizio). Il regime oppressivo ha imposto il proprio credo e il culto della nazione, tutto ciò che è legato alle altre credenze e alle “culture diverse” viene censurato e bruciato e i nemici vengono additati come terroristi, ricercati e portati nei famigerati Centri di detenzione in cui nessuno sa cosa avvenga di preciso.
In tale contesto, durante un’operazione di polizia alla ricerca del leader dei “terroristi” Ali Saeed, viene trovato un individuo in stato di shock, semi-nudo e con uno strano marchio “tatuato” con il coltello sul petto. Le poche parole che pronuncia lasciano supporre che all’interno sia avvenuto uno strano rituale in cui tutti coloro che erano presenti sono morti. L’unico sopravvissuto a tutto questo (proprio il famoso Ali Saeed) sussurra qualcosa all’orecchio del comandante della polizia, qualcosa che evidentemente lo turba molto.
Già solo con questo incipit iniziale Ghoul riesce nell’impresa di immergere lo spettatore in un’atmosfera cupa e horrorifica quanto basta per procedere nella visione dell’episodio. La musica inquietante, gli effetti video distorti e le immagini tendenti allo splatter sono un ottimo viatico per gli appassionati del genere. Il contesto e la lingua “esotiche” fanno poi tutto il resto.
Purtroppo non si può dire lo stesso dei restanti 36 minuti di episodio.
Dopo l’incipit iniziale, infatti, viene descritto in maniera molto veloce l’evoluzione del regime oppressivo in cui si muovono i protagonisti della storia, in particolare Nida (Radhika Apte), donna soldato, totalmente devota al regime, a cui viene dato l’incarico di indagare proprio sul misterioso individuo all’interno del Centro di detenzione in cui è rinchiuso.
Questa parte è costruita apposta per inquadrare il carattere e le motivazioni che spingono la giovane Nida ad accettare un incarico del genere per cui nessuno fa certamente la fila, tantomeno le guardie carcerarie convinte che quell’individuo abbia strani poteri.
La descrizione si concentra più sull’evoluzione del regime oppressivo e sul difficile rapporto tra Nida e il padre, intellettuale in perenne contrasto con il regime, il quale viene arrestato e deportato proprio tramite la delazione della figlia. Proprio per lavarsi di dosso quest’onta, e per dimostrare di essere un buon soldato asservito al regime, Nida accetta l’incarico nel centro di detenzione, sebbene sia evidente fin da subito il suo disgusto verso l’ambiente e i suoi inquietanti abitanti.
Questa sequenza, come già detto, funziona solo in parte. da un lato si ha una breve ma concisa descrizione che sicuramente aiuta lo spettatore a orientarsi al meglio nel contesto descritto. Le numerose citazioni a Ray Bradbury (il rogo dei libri come in Farhenheit 451), Francis Scott Fitzgerald (il cartello che indica di fare attenzione ai terroristi è contornato da due occhi inquietanti come il cartellone pubblicitario de Il grande Gatsby), e soprattutto a George Orwell sono certamente ben apprezzate e un meraviglioso omaggio ai classici della letteratura distopica.
Il problema è che, così facendo, viene messo in secondo piano proprio l’aspetto horror della serie. Infatti, dopo l’incipit, bisogna aspettare il cliffhanger finale per tornare ad avere un’atmosfera simile.
“Out Of The Smokeless Fire” dunque è più thriller che horror vero e proprio e questo potrebbe far storcere il naso per una serie che si presenta fin da subito come horror puro. Relegare la parte “soprannaturale” solo nel finale potrebbe non essere la scelta migliore, e sicuramente il minutaggio in generale è da rivedere in quanto abbondano i tempi morti e i dialoghi espositivi che non dicono in realtà nulla e che potrebbero, quindi, facilmente essere tagliati.
Solo per questo motivo Ghoul si merita, per il momento, un Save, ma è comunque consigliabile attendere anche la visione delle altre due puntate dato che quel poco di buono mostrato finora promette molto bene. A cominciare dalla protagonista Nida, personaggio che si presenta fin da subito poco convenzionale. Già l’avere come protagonista una donna-soldato fedele ad un regime repressivo desta sicuramente molto interesse, soprattutto perché non sembrava affatto scontato in una serie indiana per giunta di genere horror (spesso accusato di essere maschilista per la maggior parte delle sue produzioni). A questo va aggiunta poi l’effettiva bravura di Radhika Apte come intensità espressiva e toni ogni volta diversi a seconda delle varie situazioni.
Seguono a ruota anche tutti gli altri co-protagonisti, per alcuni versi dei cliché di genere, ma allo stesso tempo efficaci per tenere in piedi la storia: il Colonnello-Dittatore del Centro di detenzione, inquietante come pochi altri, la carceriera sadicae già antipatica ai più e i due carcerieri con dubbi amletici sul proprio lavoro…
Ghoul è una serie che suscita una certa curiosità a prescindere dall’effetto finale, sicuramente una delle novità migliori targate Netflix di quest’estate.
Dopo l’exploit di Sacred Games, ecco in arrivo una nuova mini-serie dove il mistery, l’horror e la fantascienza si fondono per dare vita ad un prodotto sicuramente notevole nel suo genere.
In un futuro distopico (neanche poi tanto lontano dalla realtà attuale) l’India è divisa in fasce sociali rigidamente ordinate e “la violenza settaria ha raggiunto un punto di crisi” (come recitano i titoli di testa all’inizio). Il regime oppressivo ha imposto il proprio credo e il culto della nazione, tutto ciò che è legato alle altre credenze e alle “culture diverse” viene censurato e bruciato e i nemici vengono additati come terroristi, ricercati e portati nei famigerati Centri di detenzione in cui nessuno sa cosa avvenga di preciso.
In tale contesto, durante un’operazione di polizia alla ricerca del leader dei “terroristi” Ali Saeed, viene trovato un individuo in stato di shock, semi-nudo e con uno strano marchio “tatuato” con il coltello sul petto. Le poche parole che pronuncia lasciano supporre che all’interno sia avvenuto uno strano rituale in cui tutti coloro che erano presenti sono morti. L’unico sopravvissuto a tutto questo (proprio il famoso Ali Saeed) sussurra qualcosa all’orecchio del comandante della polizia, qualcosa che evidentemente lo turba molto.
Già solo con questo incipit iniziale Ghoul riesce nell’impresa di immergere lo spettatore in un’atmosfera cupa e horrorifica quanto basta per procedere nella visione dell’episodio. La musica inquietante, gli effetti video distorti e le immagini tendenti allo splatter sono un ottimo viatico per gli appassionati del genere. Il contesto e la lingua “esotiche” fanno poi tutto il resto.
Purtroppo non si può dire lo stesso dei restanti 36 minuti di episodio.
Dopo l’incipit iniziale, infatti, viene descritto in maniera molto veloce l’evoluzione del regime oppressivo in cui si muovono i protagonisti della storia, in particolare Nida (Radhika Apte), donna soldato, totalmente devota al regime, a cui viene dato l’incarico di indagare proprio sul misterioso individuo all’interno del Centro di detenzione in cui è rinchiuso.
Questa parte è costruita apposta per inquadrare il carattere e le motivazioni che spingono la giovane Nida ad accettare un incarico del genere per cui nessuno fa certamente la fila, tantomeno le guardie carcerarie convinte che quell’individuo abbia strani poteri.
La descrizione si concentra più sull’evoluzione del regime oppressivo e sul difficile rapporto tra Nida e il padre, intellettuale in perenne contrasto con il regime, il quale viene arrestato e deportato proprio tramite la delazione della figlia. Proprio per lavarsi di dosso quest’onta, e per dimostrare di essere un buon soldato asservito al regime, Nida accetta l’incarico nel centro di detenzione, sebbene sia evidente fin da subito il suo disgusto verso l’ambiente e i suoi inquietanti abitanti.
Questa sequenza, come già detto, funziona solo in parte. da un lato si ha una breve ma concisa descrizione che sicuramente aiuta lo spettatore a orientarsi al meglio nel contesto descritto. Le numerose citazioni a Ray Bradbury (il rogo dei libri come in Farhenheit 451), Francis Scott Fitzgerald (il cartello che indica di fare attenzione ai terroristi è contornato da due occhi inquietanti come il cartellone pubblicitario de Il grande Gatsby), e soprattutto a George Orwell sono certamente ben apprezzate e un meraviglioso omaggio ai classici della letteratura distopica.
Il problema è che, così facendo, viene messo in secondo piano proprio l’aspetto horror della serie. Infatti, dopo l’incipit, bisogna aspettare il cliffhanger finale per tornare ad avere un’atmosfera simile.
“Out Of The Smokeless Fire” dunque è più thriller che horror vero e proprio e questo potrebbe far storcere il naso per una serie che si presenta fin da subito come horror puro. Relegare la parte “soprannaturale” solo nel finale potrebbe non essere la scelta migliore, e sicuramente il minutaggio in generale è da rivedere in quanto abbondano i tempi morti e i dialoghi espositivi che non dicono in realtà nulla e che potrebbero, quindi, facilmente essere tagliati.
Solo per questo motivo Ghoul si merita, per il momento, un Save, ma è comunque consigliabile attendere anche la visione delle altre due puntate dato che quel poco di buono mostrato finora promette molto bene. A cominciare dalla protagonista Nida, personaggio che si presenta fin da subito poco convenzionale. Già l’avere come protagonista una donna-soldato fedele ad un regime repressivo desta sicuramente molto interesse, soprattutto perché non sembrava affatto scontato in una serie indiana per giunta di genere horror (spesso accusato di essere maschilista per la maggior parte delle sue produzioni). A questo va aggiunta poi l’effettiva bravura di Radhika Apte come intensità espressiva e toni ogni volta diversi a seconda delle varie situazioni.
Seguono a ruota anche tutti gli altri co-protagonisti, per alcuni versi dei cliché di genere, ma allo stesso tempo efficaci per tenere in piedi la storia: il Colonnello-Dittatore del Centro di detenzione, inquietante come pochi altri, la carceriera sadica
Ghoul è una serie che suscita una certa curiosità a prescindere dall’effetto finale, sicuramente una delle novità migliori targate Netflix di quest’estate.
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Nuova serie Netflix indiana, a metà tra l’horror e il thriller distopico. Il giudizio al momento è Save ma non deve per forza essere visto in maniera negativa, bensì come stimolo per procedere nella visione delle restanti due puntate.
Out Of The Smokeless Fire 1×01 | ND milioni – ND rating |
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!