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Narcos: Mexico 1×01 – CamelotTEMPO DI LETTURA 6 min

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“Drug dealers are like cockroaches. You can poison them, step on them fuck, you can set them on fire, but they’ll Always come back usually stronger than ever. Any time you think you’ve knocked out the dope business, a smart trafficker, well, he’ll just find a better way.”

In principio fu Pablo Escobar, interpretato da un Wagner Moura stratosferico che sicuramente avrebbe meritato almeno un Emmy (ma si sa, gli Emmy son tutti truccati e pilotati). Poi Escobar morì, lasciando il posto al quartetto del cartello di Cali, i due fratelli Rodríguez e i soci Pacho e Chepe, forse non altrettanto carismatici e titanici ma di certo non meno spietati. Quando anche la loro corsa giunse al termine, sorse l’immancabile domanda: e adesso? Le ultime parole dell’agente Peña suonavano come una definitiva uscita di scena del personaggio che aveva fatto da trait d’union tra la saga di Escobar e quella dei Rodriguez, eppure la menzione del Messico faceva pensare a un naturale spostamento dell’azione nel grande stato centramericano dei secondi anni ’90, terra di un altro famoso signore della droga ispanico che risponde al nome di Joaquín “El Chapo” Guzmán. Peccato che proprio negli stessi anni di Narcos fosse stata realizzata (e co-prodotta da Netflix) una serie su Guzmán e questo deve aver forse spinto a optare per una diversa soluzione: spostarsi sì in Messico, ma risalire indietro nel tempo ai primi anni ’80 e raccontare la storia di un altro importante cartello latino-americano, quello di Guadalajara. Il risultato finale, Narcos: Mexico, diventa così una via di mezzo tra un prequel, un reboot e uno spin-off della serie madre, con un titolo che sembra voler sottolineare l’indipendenza da quest’ultima; eppure la si potrebbe benissimo considerare una 4° stagione perché la sostanza del racconto, lo stile peculiare che mescola narrazione e documentario, l’uso della voce narrante offscreen (che questa è volta di Scoot McNairy) e delle riprese di repertorio, persino la calda e sensuale sigla d’apertura sono rimasti invariati. Del resto squadra vincente non si cambia e se la ricetta di Narcos ha funzionato più che bene per tre stagioni non aveva senso rinunciarvi proprio adesso, tanto più che c’è tutto un nuovo mondo da presentare e lo spettatore ha bisogno di elementi che non lo facciano sentire troppo spaesato, che trasmettano un’aura familiare.
Guardando “Camelot” si ha la sensazione di essere di fronte non solo a un episodio molto introduttivo, forse anche troppo, ma addirittura a “Descenso” 2.0, una nuova versione aggiornata del pilot che Netflix rilasciò tre anni fa, sicché il veterano di Narcos rischia di provare in più frangenti una fastidiosa sensazione di déjà-vu. Gli stessi commenti della voce fuori campo riecheggiano spesso e volentieri motivi e idee già ampiamente ripetute per tre anni da Murphy e Peña e, se già in passato questi interventi non apparivano sempre necessari, a maggior ragione possono esserlo ora. Il pregio di quest’impostazione è che chi non ha mai visto l’opera madre può approcciarsi a Narcos: Mexico senza il timore di capirci poco, perché viene preso per mano e guidato passo dopo passo a familiarizzare col mood caratteristico del marchio Narcos.
Ma passiamo ai due protagonisti indiscussi della serie, o antagonista e protagonista a seconda dei punti di vista. Il Pablo Escobar di turno è Miguel Ángel Félix Gallardo, ex-poliziotto di Sinaloa che entra in scena proprio in uniforme, apparentemente catturando un criminale braccato dall’esercito, salvo poi rivelarsi un suo complice (e parente). Harvey Dent direbbe che non è morto da eroe ma è vissuto abbastanza a lungo da diventare il cattivo. Come Pablo, anche Gallardo è ambizioso, spregiudicato, pronto a tutto, a tratti persino incosciente, mosso da una visione che va ben al di là dei limitati orizzonti degli altri narcotrafficanti; è ancora un pesce piccolo in un mare popolato da squali ben più grossi di lui, ma l’epilogo della sua trasferta a Guadalajara dimostra che sa come muoversi e anche senza correre a leggere la sua biografia su Wikipedia si intuisce che è destinato a fondare un grosso impero della droga. Se costruita come si deve, la sua parabola narrativa potrebbe dar vita a un personaggio affascinante e carismatico quanto Pablo senza però esserne la copia spiccicata.
A fare da contraltare al futuro El Padrino, anche se per ora i due non si incontrano affatto, troviamo Kiki Camarena, che col vecchio protagonista Steve Murphy condivide il fatto di essere un agente della DEA trasferito dagli USA all’America Latina con moglie al seguito. Le similitudini però finiscono qui. Camarena è mosso da un’ambizione personale che mancava in Murphy, tanto da scegliere volontariamente di essere trasferito da Fresno a Guadalajara nella speranza di un avanzamento di carriera (peraltro giustificabile, con un figlio da crescere e un altro in arrivo i soldi non sono mai abbastanza); tuttavia è anche un agente che ama esporsi in prima persona e lavorare sul campo invece che dietro una scrivania, non a caso viene introdotto sulla scena durante un’operazione anti-droga sotto copertura. L’esito dell’operazione, mandata a monte dalla polizia locale, permette di mettere in luce un altro dettaglio importante: la DEA di Kiki Camarena non è la stessa istituzione di Murphy e Peña, rispettata e conosciuta da tutti, ma un’agenzia federale relativamente giovane, poco nota, costretta per il momento a svolgere il ruolo di ultima ruota del carro. Già si può intuire che a una testa calda come Kiki questa situazione va stretta e che ci vorrà poco prima che si ribelli al ruolo di mero raccoglitore di informazioni a cui vorrebbero tenerlo incatenato.
La necessità di privilegiare la presentazione del protagonista e dell’antagonista ha le sue ricadute sulla caratterizzazione degli altri personaggi, nel migliore dei casi tratteggiati superficialmente, nel peggiore semplicemente anonimi. Alcuni poi finiscono ridotti a vere e proprie macchiette, come don Neto, che praticamente regge tutta la linea comica della storyline di Gallardo ma è impossibile da prendere sul serio, almeno per ora. È un difetto tutt’altro che irreparabile e i prossimi episodi hanno il tempo e il modo per porvi rimedio, ma per ora frena in parte il giudizio sul nuovo capitolo della lotta ai narcotrafficanti.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Nuova storia, stessa ricetta vincente
  • Gallardo e Camarena sono personaggi dalle molte potenzialità
  • Episodio molto introduttivo e con un senso di déjà-vu per i veterani di Narcos
  • Comprimari e personaggi secondari caratterizzati superficialmente, se non addirittura ridotti a macchiette

 

La fortunata creatura di Netflix riparte da una nuova terra, il Messico, e da una nuova epoca, i primi anni ’80, ma senza rinunciare ai suoi elementi vincenti. È sicuramente troppo presto per dire se questa nuova storia sarà all’altezza delle precedenti, ma le potenzialità per fare bene anche questa volta ci sono tutte.

 

Camelot 1×01 ND milioni – ND rating

 

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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.

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