La terza ed ultima stagione di Narcos: Mexico è giunta ad un passo dal suo series finale ed è quindi il momento di mettere pro e contro sull’ago della bilancia.
Orfani di Diego Luna e del suo Félix Gallardo, lo show ha puntato i riflettori su un impero messicano della droga ormai frammentato, con i vari cartelli che giocano a rincorrersi e farsi la guerra a vicenda, nonostante le false dichiarazioni di pace ed alleanze.
A contendersi il monopolio del traffico di stupefacenti, troviamo Juarez con un Amado Carrillo Fuentes dal passo felpato, ma capace di grandi guizzi di acume, come il progetto di creare una rete di cartelli indipendenti, ma allo stesso tempo autosufficienti ed in grado di difendersi dagli attacchi della DEA. Più vicini agli Stati Uniti, grazie al confine con San Diego, i fratelli Arellano-Félix comandano Tijuana e si dedicano alla classica vita opulenta da narcos.
Come fanalino di coda troviamo Sinaloa, costretta a raccogliere le briciole per via della sua posizione scomoda che non permette al cartello di emergere rispetto alle altre plazas.
Per condire il tutto con una buona dose di realismo, viene posto l’accento anche sulla situazione politica, sociale ed economica in cui verteva il Messico in quegli anni. Una situazione fatta di corruzione, menzogne e povertà: un mix letale che rompe gli equilibri e fa crollare anche il più integerrimo degli uomini.
LA DECISIONE DI AMADO
In questo nono episodio la situazione precipita e la resa dei conti (che dà il titolo alla puntata) sembra sempre più vicina. Amado, dopo una conversazione quasi profetica con Pacho Herrera, decide che il gioco non vale più la candela e mette in atto un piano B per fuggire lontano con la sua amata.
Da questo punto di vista, il “Señor de Los Cielos” si differenzia molto rispetto ai suoi predecessori seriali, come Félix Gallardo e Pablo Escobar. Per loro, infatti, l’impero veniva prima di tutto e non avrebbero rinunciato al loro potere per niente al mondo, famiglia e affetti compresi.
Amado, invece, fa una scelta diversa perché diverso è sempre stato il suo atteggiamento ed approccio o forse perché qualcosa cambia in lui, vuoi per la relazione con Marta, vuoi per la tragedia accaduta alla figlia.
Inoltre, anche per Walt le cose non sembrano mettersi bene. Dopo un tentativo fallito di arrestare Benjamin Arellano, l’operazione a Tijuana subisce un duro colpo quando Rebollo viene arrestato per aver sempre collaborato con Amado.
Non c’è scampo, dunque, alla corruzione di un paese e di uno Stato in difficoltà, dove miseria e povertà costringono qualsiasi persona a tentare il tutto e per tutto per sopravvivere.
STORYLINES DALLA DUBBIA FUNZIONE
Una novità di questa terza stagione è stata l’introduzione di due storylines parallele per dare un quadro più generale della situazione in Messico.
Così, Andrea con la sua inchiesta sui legami tra governo messicano e narcotrafficanti e Victor con la sua caccia al serial killer, mostrano un paese allo sbando, in cui nulla è solo bianco o solo nero.
Queste due sottotrame sono utili in quanto delineano un contorno più netto alla storia principale, donando una buona dose di realismo, ma si perdono troppo nei loro meandri.
Il minutaggio dedicato a queste storylines è, forse, eccessivo, dato che il cuore pulsante dello show è la spettacolarizzazione e la drammaticità. Il pubblico di Narcos, infatti, sceglie questo tipo di prodotto per assistere a sparatorie, teste mozzate, sangue, violenza e chi più ne ha più ne metta.
WE NEEDED A LITTLE MORE EL CHAPO
Un altro argomento da prendere in esame per tirare le somme di questa terza stagione è la gestione di Joaquín “El Chapo” Guzmán.
Per quanto la storyline si focalizzi principalmente su Amado, un altro nome altisonante nel panorama dei narcotrafficanti più famosi della storia è quello di El Chapo.
Interpretato da un ottimo Alejandro Edda (Fear The Walking Dead), Guzmán si era già distinto nelle scorse stagioni per il suo ingegno nelle questioni logistiche e per essere stato il primo ad usare una rete di tunnel per trasportare la droga.
In questa terza stagione assistiamo all’evolversi della figura di Guzmán, sempre però strettamente legata a quella di altri personaggi, come “El Güero Palma” o “El Azul”.
Tuttavia, nella realtà, le cose non stavano esattamente così. Più che un sottoposto, infatti, El Chapo era considerato un vero e proprio leader, con molto potere ed influenza.
La scelta dello show di ridimensionare il personaggio è capibile in virtù di una storia incentrata più sulla figura di Amado e la sua ascesa a “Señor de Los Cielos”.
Ciononostante, la serie perde di credibilità e coerenza in questo frangente. Félix prima ed Amado ora, infatti, non riescono a bucare lo schermo come Escobar, che faceva del suo lato psicotico-passionale il suo asso nella manica. Forse la drammaticità dello show avrebbe potuto essere spinta di più, anche grazie ad un focus maggiore sulla vera anima de El Chapo.
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Narcos: Mexico arriva ad un episodio dalla conclusione di una stagione altalenante, in cui si poteva osare decisamente di più.
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Se volete entrare nelle sue grazie, non dovete offendere: Buffy The Vampire Slayer, Harry Potter, la Juventus. In alternativa, offritele un Long Island. La prima Milf di Recenserie, ma guai a chiamarla mammina pancina.