A sole tre puntate dalla fine della serie, era doveroso proseguire la narrazione non concedendo molta tregua ai personaggi principali. Una scelta che deriva dalla sensazione dello spettatore medio di essere ad un punto ancora non ben precisato della prima metà della storyline. Una sensazione che ovviamente cozza direttamente con il numero di questo episodio, 3×07, che implica ben altro.
L’assenza di una componente temporale ben precisa (e chiaramente non voluta da Carlo Bernard) non aiuta a capire benissimo se siano passate solo settimane, mesi o anni. Si può dedurre che mesi ed anni siano la metrica più corretta solamente guardando alla villa di Amado e all’importanza che si è guadagnato tra i suoi colleghi e nemici. Eppure, improvvisamente, questa metrica sembra essere in procinto di cambiare e ridursi a giorni, se non ore.
Può quindi questo cambiamento giustificare il cambio passo a cui si sta assistendo in questa puntata? Sni.
LA VOZ DE ZETA
Come si supponeva nella recensione di “Como La Flor“, la testata giornalistica La Voz non è mai esistita ma prende ampiamente spunto da una che in realtà ha subito la medesima sorte (almeno fino ad un certo punto): Zeta.
La testata di Tijuana è stata fondata nel 1980, è ancora attiva e condivide molte caratteristiche riprese da Carlo Bernard per La Voz. La domanda che sorge spontanea circa il perché si sia optato per un altro nome viene quindi risposta dalla scelta di non (poter) fornire pubblicità gratuita a Zeta, però l’omaggio e l’ispirazione ci sono tutte.
“La Voz” ripropone alcuni fatti realmente accaduti con un certo realismo e trasmette una tensione che non si era ancora percepita. Le discussioni interne tra Salgado ed i suoi giornalisti, per quanto fini a loro stesse visto che non impattano la trama, hanno un loro perchè e concedono un’altra prospettiva a Narcos: Mexico che finora era venuta abbastanza a mancare.
LA RESURREZIONE DI SINALOA E LA SFIDA AD AMADO
Quando ad inizio della recensione si parlava di un trama improvvisamente riaccesa e spumeggiante, si parlava nello specifico di Amado e di Chapo. Ovviamente.
Dopo la decisione del cartello di Cali di chiudere i battenti sognando una pensione anticipata che, come si sa, non avverrà, la narrazione segue infatti una naturale evoluzione delle alleanze che portano ad un vicolo cieco per il cartello di Tijuana ma anche ad alcune reazioni “politiche”. Ed è questo il pregio principale di questo episodio perché, pur essendo davanti ad una spettacolarizzazione degli eventi, il tutto sembra accadere in maniera così fluida da non sembrare nemmeno sceneggiata. Tanto di cappello, in attesa che i fuochi d’artificio raggiungano il loro picco nei prossimi 180 minuti.
L’IMPOTENZA AMERICANA DI WALT DISNEY
Mentre la guerra tra cartelli fa dei progressi qualitativi, quella riguardante Walt ed i suoi soldatini messicani rimane molto deludente. Una delusione che non deriva tanto né dal minutaggio, né da quanto si vede su schermo che comunque non dispiace. Il vero problema è la delusione che si prova pensando a quanto potenziale sia attualmente sprecato lasciando in panchina un personaggio come Walt che, pur non essendo Steve Murphy o Javier Peña, ha il suo fascino.
La sua storyline continua lentamente a progredire ma sempre dietro l’ombra dell’esercito messicano che, fondamentalmente, è quello che detta le regole ed il ritmo delle ricerche. Si, Walt ha un certo peso specifico in tutto ciò ma non è nemmeno lontanamente paragonabile a quanto effettivamente potrebbe fare andando in solitaria o lavorando con più supporto della DEA. Il che potrebbe sicuramente essere aderente alla storia reale ma continua ad essere, visivamente ed emotivamente, una palla di piombo legata alla caviglia dell’agente Breslin.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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“La Voz” è un ottimo episodio, probabilmente uno dei migliori di questa stagione anche se non riesce a riproporre quei picchi qualitativi delle scorse stagioni. C’è ancora speranza però…
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.