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Orange Is The New Black 5×04 – Litchfield’s Got TalentTEMPO DI LETTURA 5 min

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Sono passati soltanto quattro episodi dall’inizio di questa quinta stagione e azzardare fin da ora un giudizio sul suo andamento sarebbe quantomeno prematuro. Accantonando dunque temporaneamente ogni osservazione che implichi un giudizio di valore, con il rischio di essere smentiti la volta successiva da un collega recensore, non ci resta che analizzare questo avvio stagionale concentrandoci su un puro e semplice dato di fatto: la variazione della struttura narrativa della serie rispetto alle precedenti annate.
Negli anni passati la progressione delle diverse storyline procedeva secondo il classico stile comedy: ogni puntata (o comunque gran parte di esse) raccontava una giornata tipo, talvolta anche più di una, all’interno del carcere di Litchfield e, giunti al termine della stagione, lo spettatore aveva percorso insieme alle galeotte un segmento di tempo di media durata, una settimana, un mese, un anno. Questa volta, invece, in perfetta continuità con il nuovo stile che la serie sembra aver attuato a partire dalle puntate finali della precedente stagione, ogni singolo episodio si concatena direttamente al seguente, formando un unico segmento narrativo che non necessita, come abbiamo già spiegato in occasione della recensione di “Riot FOMO“, del consueto previously che, nella maggior parte delle serie, precede la sigla d’apertura. Questa concatenazione, dunque, compatta la narrazione, concentrandola in una manciata di ore – al termine della stagione possiamo scommettere saranno passati soltanto diversi giorni dalla rivolta innescata da Dayanara – favorendo l’immedesimazione dello spettatore, specialmente con determinate detenute, proprio grazie a questa narrazione quasi in tempo reale.
Anche stavolta si riprende dunque da dove ci eravamo interrotti, cioè al momento dell’agguato che le guardie, almeno in teoria, avrebbero dovuto far scattare una volta ricevute le scorte di cibo. La presenza di Linda, però, costringe Caputo all’annullamento del piano e quindi, anche per questa “settimana”, le guardie saranno costrette a sottostare alle regole delle detenute.
Le vicende di Alex e Piper continuano a rimanere sullo sfondo, decisione che appare più che giustificata dal tipo di percorso che gli autori sembrano voler far intraprendere alle due “protagoniste” (virgolettato d’obbligo vista la coralità connaturata alla serie), una sorta di raggiungimento della consapevolezza circa la propria condizione di detenute, che però giunge con un tempismo decisamente sbagliato, guarda caso proprio nel momento in cui all’interno del carcere fioccano “riottose” da tutti gli angoli.
La consueta parentesi monografica questa volta interessa uno dei personaggi relativamente più nuovi, Alison Abdullah, della quale in realtà scopriamo poco o niente. E proprio questo, infatti, rappresenta l’unico vero difetto della puntata. Orange Is The New Black è divenuta celebre, oltre per l’originalità assoluta del concept, anche e soprattutto per il coraggio mostrato nella trattazione di tematiche d’attualità, legate principalmente alla figura femminile, al modo in cui essa viene percepita all’interno della società e, in particolare, in relazione al trattamento riservato alle donne detenute dal sistema penitenziario americano. In più di un’occasione si è arrivati a toccare temi scottanti, come droga, abbandono, violenza e quant’altro, e stavolta, vedendo spostarsi il focus in direzione di un’afro-americana di religione islamica, si era portati a pensare che venissero tirate fuori, in maniera più diretta, questioni legate, appunto, alla fede religiosa della ragazza. A maggior ragione tenendo conto del particolare momento storico che stiamo vivendo, dominato da sempre più frequenti atti di razzismo, conseguenza di una strumentalizzazione dell’estremismo religioso, e degli atti di terrorismo ad esso legati, che sempre più spesso porta alcune persone a sviluppare pregiudizi nei confronti del popolo piuttosto che nei confronti del singolo terrorista. Sicuramente si tornerà ad esplorare il passato della ragazza ma, per ora, ci si trova di fronte ad un’occasione mancata.
Il vero centro della narrazione, però, è l’evento da cui l’episodio trae la sua titolazione: il Litchfield’s Got Talent. Attraverso questo brillante espediente narrativo, gli attori ci regalano un po’ di sana comedy in stile Orange, facendo il verso ad alcuni dei reality più seguiti oltreoceano. Le esibizioni delle guardie ci fanno dimenticare per un attimo la serietà del momento – serietà che tra l’altro sembrano aver dimenticato anche le detenute – sottolineando però l’aspetto transitorio legato a puntate di questo genere. Normalmente li si chiamerebbe filler, archiviandoli con una valutazione negativa, questa volta invece, sarà per le rivelazioni sul passato di Piscatella o per le foto scattate sul finale, sarà per Josh che grida “viva la gnocca!”, ma l’episodio scorre bene, diverte e introduce (o in alcuni casi approfondisce) nuove storyline di stagione, come la seduta spiritica di Crazy Eyes e socie, la strana relazione aperta tra Kasey e il suo uomo sdentato o l’accoglienza inaspettata di Linda all’interno del gruppo di galeotte. Insomma, in questo episodio si sono gettate delle ottime basi, vedremo dalla prossima volta in che modo gli autori affronteranno la questione pussy riot interna a Litchfield.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • La pistola in mano alle sfattone
  • Litchfield’s Got Talent
  • Le esibizioni dei “concorrenti”
  • VIVA LA GNOCCA!
  • L’oscuro passato di Piscatella
  • La sequenza finale sul tetto
  • Flashback su Alison Abdullah poco sfruttato
  • Alcuni potranno lamentare il ruolo marginale di Piper e Alex in questo avvio stagionale

 

Un quarto episodio di chiara natura transitoria catapulta nel vivo della narrazione. Un’ultima occasione di farci due risate a cuor leggero, prima di passare alle questioni davvero serie.

 

Pissters! 5×03 ND milioni – ND rating
Litchfield’s Got Talent 5×04 ND milioni – ND rating

 

 
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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